67º Festival di Cannes, scala (a pioli) verso il Paradiso
Ultimi fuochi per il Festival di Cannes. La Croisette al punto massimo del suo fermento con strade assiepate di appassionati e di curiosi che, sin dal mattino presto, la affollano con tanto di scala a pioli, nella speranza di imbattersi e di poter fotografare la propria star preferita.
L’evento cinematografico più atteso dell’anno ha ormai superato il suo giro di boa e si avvia verso la conclusione con la consegna della Palma d’Oro che avverrà sabato 24 maggio, con un giorno di anticipo rispetto alla data prevista a causa delle elezioni europee di domenica prossima.
Al momento in cui scriviamo, sono tredici (su diciotto) i film in concorso già passati, quasi tutti di ottimo livello, sebbene non sono mancate opere spiazzanti come il delirante Relatos Salvajes di Damián Szifrón, prodotto da Pedro Almodóvar, e film dei quali verrebbe da chiedere conto ai selezionatori come The Search di Michel Hazanavicius, il regista premio Oscar per The Artist, e The Captive, thriller perverso firmato da Atom Egoyan, autore in fase sempre più calante. Tra le opere viste sinora la nostra personale Palma d’Oro va al meraviglioso Still the Water di Naomi Kawase, film sulla morte e la rinascita che è anche una delicata storia d’amore tra due adolescenti ed un poema lirico sulla Natura, sulla sua forza inesorabile e la sua commovente fragilità.
Molto belli anche Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan, ambientato sulle nevi dell’Anatolia centrale, che narra la storia di una coppia che deve fare i conti con la dissoluzione del suo rapporto; The Homesman, sorta di western anarchico e crepuscolare di Tommy Lee Jones al suo secondo film; Mr. Turner di Mike Leigh, raffinata opera sulla vita del grande paesaggista britannico J.M.W. Turner; Deux jours, une nuit, il nuovo film dei fratelli Dardenne. Piuttosto ben accolto (abbastanza meritatamente) l’unico film italiano in concorso, Le meraviglie, opus n. 2 di Alice Rohrwacher che riesce a coniugare in maniera abbastanza intrigante il realismo della messinscena con i non pochi aspetti simbolici di cui il film è impregnato; non privo di interesse ma al di sotto delle aspettative Timbuktu del regista mauritano Abderrahmane Sissako.
Un discorso a parte invece merita a nostro avviso Maps to the Stars, l’ultima fatica di David Cronenberg, il film sul mondo di Hollywood che ha spaccato in due il fronte dei critici. Per alcuni si tratta dell’ennesimo capolavoro del regista canadese, altri accusano l’autore di Cosmopolis di usare (male) Hollywood come pretesto per mettere in scena, in maniera poco innovativa, le sue personali ossessioni. Piaccia o no, l’idea è che sia un film che necessiti di più di una visione e che permette di riflettere ancora una volta su un mondo dove non basta scalare dei pioli per raggiungere le stelle.
©RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it