Intervista a Carlo Shalom Hintermann, autore di “The Dark Side of the Sun”
È in questi giorni nelle sale The Dark Side of the Sun di Carlo Shalom Hintermann, regista italiano di origini ebraiche. Il film (assolutamente splendido) è un mix di documentario e cinema d’animazione (la parte animata è curata da Lorenzo Ceccotti) e descrive la vicenda di un gruppo di bambini affetti da XP, Xeroderma Pigmentoso, una malattia molto rara che impedisce a chi ne soffre qualsiasi contatto con la luce del sole, pena il rischio di contrarre tumori della pelle. I coniugi Mahar, genitori di Katie, una delle bambine affette da questa malattia, hanno fondato nel 1996 un luogo dal significativo nome di Camp Sundown, dove i bambini hanno la possibilità di interagire tra loro, di stare insieme, di giocare, utilizzando naturalmente le ore notturne. Ne parliamo con il regista.
Mi racconti un po’ la storia della lavorazione del film? Come hai conosciuto Camp Sundown e qual è stato l’approccio con la realtà di questi bambini e dei loro genitori?
Ho saputo di Camp Sundown quando ero a New York dove frequentavo un corso di regia alla New York Academy. Mi imbattei in un articolo pubblicato sul “New York Post” e decisi di visitare la comunità. Rimasi molto colpito dalla storia di questi bambini e decisi di farne un film. Ne parlai con i genitori rassicurandoli sul fatto che non intendevo fare nulla di sensazionalistico. Specificai che sarebbe stato un film fatto nel tempo che mostrasse la vita che si svolgeva a Camp Sundown sul lungo periodo e che ovviamente avremmo deciso insieme il metodo di lavoro. Era il 2008. La lavorazione è poi andata avanti per tre anni e la prima internazionale del film si è svolta al Festival di Roma del 2011. Tuttavia, la primissima proiezione del film, che per me resta la più importante, è stata quella svoltasi nell’estate del 2011 a Camp Sundown insieme a tutti gli ospiti del campo.
Come nasce l’idea di inserire degli inserti animati per così dire “narrativi” da alternare con la parte più specificamente documentaristica?
L’animazione del film è stata effettuata da Lorenzo Ceccotti con cui avevo già lavorato per il documentario Chatzer – Volti e storie di ebrei a Venezia e per un corto di animazione dal titolo H2O. Ci è venuta questa idea di un workshop con i bambini, con interviste in cui i bambini raccontavano ed esprimevano il loro immaginario attraverso dei disegni. Ci siamo subito accorti che i bambini avevano dentro di loro un mondo meraviglioso e che questo rapporto esclusivo con la notte li faceva immaginare mondi assolutamente straordinari. Ad esempio, la storia dei tassi come animaletti portatori di luce è stata un’invenzione della piccola Rachel, una bambina con un universo interiore assolutamente straordinario.
Il film racconta una realtà dura e dolorosa riuscendo a trasfigurarla in maniera meravigliosamente poetica. La mia impressione è che la parte documentaria descriva la vita reale dei bambini mentre quella animata il loro immaginario, i loro sogni e desideri. Come siete riusciti a trovare questo equilibrio e quali sono state e le reazioni dei genitori?
Quanto a quello che dici sul ruolo del documentario e dell’animazione è assolutamente esatto ed è quello che volevamo rendere! I genitori l’hanno presa benissimo, e alla fine ci hanno detto che questa esperienza li aveva aiutati a scoprire cose sui loro figli che prima ignoravano. I bambini hanno avuta una parte importantissima nella “sceneggiatura” del film e hanno doppiato se stessi nella versione originale. Inoltre, alla primissima proiezione ci siamo commossi nel vedere che Patrick, il bambino sano, e Kate hanno assistito al film mano nella mano.
Nel film una degli ospiti di Camp Sundown è Fatima, una bambina italiana. Avete indagato se esistono in Italia delle strutture capaci di trattare efficacemente questa malattia?
In realtà, in Italia i casi di XP sono pochissimi e questo impedisce che vi possano essere molti centri specializzati. Tra l’altro, c’è ancora scarsissima conoscenza di questa malattia da parte degli stessi operatori sanitari. L’importanza di una diagnosi precoce è molto importante e purtroppo spesso l’XP non viene immediatamente riconosciuta. Ora per fortuna qualcosa si sta facendo: l’Istituto Superiore di Sanità ha aperto un centro per lo studio delle malattie rare diretto dalla dottoressa Domenica Taruscio e un ruolo importante ha assunto anche “UNIAMO”, una onlus che si occupa delle malattie rare e che ha contribuito in maniera determinante al film. Quanto a Fatima, la bambina italiana che si vede nel film, ora vive in Francia dove c’è appunto un centro specializzato per questa malattia.
Uno dei temi che a mio avviso percorre costantemente il film, sia nella parte documentaristica che in quella animata, è quello dell’accettazione, cioè della difficoltà da parte delle persone “normali” di accogliere e comprendere il mondo di questi bambini. Questa difficoltà mi sembra sia espressa perfettamente nel personaggio del bambino Patrick. Che idea ti sei fatto sul modo in cui questo mondo viene percepito dai cosiddetti sani?
Beh, ovviamente la malattia è sempre qualcosa che spaventa, in particolare poi se si tratta di una patologia rara. Il film vuole mostrare, tra le altre cose, come i bambini si dimostrino più empatici degli adulti e posseggano anche la straordinaria capacità di metabolizzare e di cercare di capire ciò che avviene intorno a loro. Quello che noi abbiamo imparato durante la nostra permanenza a Camp Sundown è che siamo noi “sani” quelli cui manca una vera capacità di creare relazioni. A Camp Sundown ci si aiuta gli uni con gli altri, si soffre e ci si diverte insieme, si capisce cosa significa poter contare su un’altra persona o, al contrario, l’importanza dell’aiuto che si è capaci di fornire all’altro.
Qual è stata la storia distributiva del film, che esce nelle sale tre anni dopo a prima proiezione al festival di Roma?
In realtà, c’era un distributore che aveva opzionato il mio film insieme ad alcuni altri titoli, tra cui La Leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli. Purtroppo questo distributore è fallito e ciò è stato ovviamente causa di ritardi. Poi il film ha vinto il concorso “Doc.it”, il cui premio consisteva proprio nell’uscita in sala del film. Abbiamo così doppiato il film che ora è in sala.
Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?
Con la nostra casa di produzione [la Citrullo International, ndr] stiamo preparando il mio prossimo film, che sarà un’opera di finzione, ancora una volta collegato in qualche modo all’universo delle malattie rare. Abbiamo inoltre coprodotto il nuovo film di Amos Gitai. Inoltre produrremo il prossimo film dell’iraniano Amir Naderi e un documentario di Giovanni Cioni dal titolo “ULTIMO”, che racconta la storia dell’ultimo sopravvissuto del campo di prigionia di Mauthausen. Infine, una cosa cui tengo molto è uno spot sulle malattie rare che girerò l’anno prossimo e che conterrà anch’esso una parte animata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it