“NOTTEPASOLINI”, l’omaggio al Poeta del bivio
“Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto.”
Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini è il Poeta del bivio. La sua figura siede allo snodo della tentazione critica, a lungo pervasa da cruente, talvolta maldestre, incursioni filologiche e interpretative, e della condivisione, a volte timorosa, altre volte spavalda, del suo luogo letterario, ahinoi, ancora oggi, nonostante il volume di attenzioni intorno al Poeta, parzialmente del tutto inesplorato.
Come l’Ercole al bivio, dipinto da Domenico Beccafumi e da Annibale Carracci, nelle due diverse versioni raffiguranti il dubbio morale dell’eroe antico seduto a riflettere su quale strada scegliere, se quella rassicurante e virtuosa, presieduta dalla personificazione allegorica di una figura femminile che rappresenta la Virtù, col monito che una lunga strada in salita, faticosa da percorrere, che però condurrà alle sfere più alte della conoscenza, oppure se prendere il sentiero custodito da una figura femminile allegoricamente riconducibile ai piaceri della voluttà, ma col destino segnato a epilogarsi dentro gli smarrimenti della vacuità e della perdizione. Nella versione di Carracci ai piedi di quest’ultima sono sistemate le maschere che l’eroe dovrà indossare per consumare l’effimera ebbrezza di una strada senza serena destinazione. Ai piedi della figura femminile a guardia del cammino diretto alla conquista della virtù sosta una figura di poeta, pronto a declamare il merito a Ercole se questi sceglierà la via della nobile conoscenza.
Adesso non si creda che Pasolini sia una di queste figure, che il suo ricordo, che il suo patrimonio letterario sia riconducibile in una di queste allegorie. Pasolini è il Poeta che ha fatto visita ai tormenti di Ercole, alle tentazioni della voluttà e alla quiete della virtù, interrogando il poeta in attesa di cantare i suoi versi, interrogandosi sull’origine del mito, rassegnandosi al fatto che prima o dopo il futuro gli avrebbe riservato, invece, giudizi sommari, nel “male”, e, nel “bene”, adulatorie e inutili facilonerie, utili più al consumo che alla conservazione della parola poetica. Prima o poi è destinato a chiunque giungere come un Ercole davanti al bivio delle deviazioni, se in quota solitaria o collettiva, se reduci da gioie e dolori privati o rimasti vivi dalle vicissitudini di massa, passando, non senza un briciolo di costernazione, per trafile storiche e civili infinitamente provanti. Davanti a quel bivio possono transitare anime sole e umanità in folla. Quasi sempre, senza ravvedersi del più prezioso e illuminante soccorso poetico, di quelli come Pasolini.
Pure la letteratura ha commesso i suoi errori, probabilmente, nella rivisitazione postuma del Poeta, anche nelle frammentazioni più accorte e ossequiose. “Liberi” da ogni urgenza didascalica, non si può aggiungere la critica alla critica, l’analisi all’analisi, la profezia alla profezia. Sono sommatorie altrettanto maldestre, almeno quanto, se non di più, le incursioni critiche appena accennate. Se il Rien va di Tommaso Landolfi spuntasse di tanto in tanto tra le pagine rigide e dogmatiche delle incaute esplorazioni della retorica intellettuale, ammonirebbe di gusto che non si può fare letteratura con la letteratura e non si può ipotizzare la creazione di una rappresentazione artistica attraverso l’uso di un elemento primario identico al risultato. Per decenni una parte consistente della critica estetica italiana è incorsa in questo equivoco, nella più totale, o quasi, trascuratezza dei frammenti più profondi e infinitesimali della letteratura e della parola “minore”, non per condizione gerarchica, ma per ovvia adozione politica del potere. A lungo si è discusso sulle origini e sulle destinazioni della poesia, con il grottesco pretesto di definirle entrambe, a mo’ di equazione algebrica, di formula parabolica della traiettoria poetica.
L’incontro delle solitudini avvenuto per tracciare gli avamposti poetici, nel senso delle più intime regioni leopardiane, spoglie da ogni frivolo dovere di adesione, hanno eletto, senza volerlo, la parola portatrice di un antidoto ai processi di desertificazione, sia pur nei transiti angoscianti e solitari di chi questi luoghi di deserto ha saputo e sa abitarli, talvolta inchiodando a una croce unica tutte le inquietudini inconfessabili, poi prodigiosamente tradotte in linguaggio poetico, alternativa umana e sovrumana alle uniche due soluzioni lasciate allo snodo del cammino di Ercole.
Ecco che “Notte Pasolini” si propone l’intento di non timbrare l’ingresso a una di queste due strade, ma di fermarsi ad ascoltare i suoni e i rumori di fondo del bivio occupato dalla “presenza” di Pasolini, senza pretesa di identificare il Poeta, tutt’altro, evitando di ipotizzare persino di scorgerlo, ancor meno di prestare il fianco a processi di assoluzione o di condanna a chiunque vi sosti, pure da intruso. Piuttosto di presenziarvi, per un momento, a quel bivio dove, forse, detto ancora più sottovoce, sarebbe il caso di non compiere scelta alcuna, per non essere colti di sorpresa da un buio che annuncia già abbastanza spesso molte delle sue anticipazioni nell’assurdo quotidiano. Non si fraintenda. Nessuna ignavia di sorta deve diventare l’ipotesi terza incomoda nei tentennamenti di Ercole, perché fermarsi, a quel bivio, presuppone il principio ai gradi ennesimi di resistenza, tanto per le tentazioni quanto per gli avvilenti stati di rassegnazione. In fondo il Novecento, appartenuto a tutta forza al poeta, ha assunto in dosi massicce questi due veleni.
Non afferriamo la poesia, non facciamone un inanimato oggetto di culto. Lasciamo che sia la poesia ad afferrarci. È sufficiente sostarvi, con la saggezza che non definisce l’ignoto, salvifico soltanto dentro le percezioni più profonde della sensibilità e dell’intelligenza. Solo così, in misura tremendamente mortale, tenere al Poeta un qualche genere di compagnia. Borges ha detto “Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto. Io sono orgoglioso di quelle che ho letto”. Divina condizione di una destinazione della poesia troppo spesso trascurata. Siede anch’essa al bivio degli inganni e delle virtù.
Articolo pubblicato anche sul sito del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Deliza