“Le ore buie”: i racconti di Vincenzo Barone Lumaga
di Andrea Corona
Le ore buie, nei 17 racconti che lo compongono, non consiste in una mera raccolta di variazioni sul tema del paranormale, quanto, piuttosto, in un percorso: un tragitto, nient’affatto banale o retorico, sulla discesa nell’oscurità e sull’ascesa verso la luce.
Non è un caso che il volume sia diviso in tre parti – emblematicamente intitolate “Il crepuscolo”, “L’ora delle streghe” e “Prima dell’alba” – e che, nel suo complesso, riproponga gli stessi simboli di una lunga tradizione letteraria, salvo farlo in chiave contemporanea, urbana e metropolitana. Il tema della discesa e della risalita, presente sin dagli antichi racconti dei viaggi degli sciamani nella terra degli Spiriti, oltre che nelle Upanishad (si ripensi ai versi «Dalle tenebre conducimi alla luce / Dalla morte conducimi all’immortalità»), richiama naturalmente anche a Dante, che nelle tre cantiche della Divina Commedia raggiunge il punto più profondo dell’Inferno, per poi muovere il primo passo verso l’alto, alla volta del Paradiso. Analogamente, nel Libro tibetano dei morti, si compie il viaggio (ancora in tre parti) attraverso il Bardo Thödol; viaggio che si conclude con l’illuminazione.
Nella fattispecie, quel che Vincenzo Barone Lumaga offre è un’opera dal carattere multiverso, nella quale si fondono leggende metropolitane (Brindisi per il morto), echi e rimandi ottocenteschi (L’ospite della Miramon), miti e folklore (Tsantzas, Amadryas), sino a toccare dei veri picchi di introspezione, delle punte tese a scandagliare i più remoti recessi della mente umana, e in particolare, direi, la parte Ombra della psiche. In ciò, un racconto come Il bacio dell’abisso (collocato nella parte più buia del testo, cioè ne “L’ora delle streghe”) rappresenta il punto di massimo orrore di un incubo. Ed è qui che l’autore riaccompagna per mano il lettore verso la luce, fino ai conclusivi Stanza 106 e Sentieri di muschio, profumo di funghi, un racconto che è a tutti gli effetti la sublimazione di un tragitto in cui l’incubo lascia il posto ad un sogno non più angoscioso.
«Viveva solo e nella sua casa il disordine seppelliva, giorno dopo giorno, le carcasse ancora sanguinanti dei suoi sogni spezzati». Tratta dal racconto I volti, questa frase è molto rappresentativa dello stile di Barone Lumaga; uno stile evocativo e carico si pathos, che si accompagna di volta in volta alla narrazione e alle situazioni ricercate. Una narrazione breve che, in poche battute, riesce a far calare il lettore negli scenari più sovrannaturali e fantastici, e a fargli respirare le atmosfere cupe con una sensazione di plausibilità, quando non addirittura di verosimiglianza. Personalmente, avevo sempre nutrito un certo scetticismo nei confronti della scrittura breve, e in particolare di quella horror e fantasy, in quanto, generalmente, una narrazione “massimalista” e più ricca di dettagli funziona meglio se si vuol coinvolgere il lettore e inserirlo all’interno di un mondo costituito di mostri, demoni e leggi sovrannaturali. Nondimeno, la lettura de Le ore buie mi ha portato a rivedere questo principio.
E forse, se sentiamo certi eventi sovrannaturali tanto familiari, chissà che non sia il caso di recuperare un pensiero di Carl Gustav Jung, che in uno scritto sulla psicologia dei processi inconsci asseriva: «In quanto noi attraverso il nostro inconscio partecipiamo della psiche collettiva storica, viviamo – naturalmente in modo inconscio – in un mondo di lupi mannari, maghi, demoni, ecc., perché queste cose hanno riempito di eccitazioni fortissime tutte le epoche precedenti la nostra».