Visita al “Museo dello Sbarco e Salerno Capitale”
“È una risposta impossibile per uno storico. Il Novecento, per me, è soltanto il tentativo sempre ripetuto di capirlo.”
Franco Venturi, Storico italiano
Il Museo dello Sbarco e Salerno Capitale, situato a Salerno, in via Generale Clark, contiene un intenso quanto nutrito campionario di documenti e di testimonianze sulla seconda guerra mondiale, con particolare attenzione alle vicende che hanno interessato la Città di Salerno durante le operazioni di sbarco eseguite attraverso l’operazione militare “Avalanche”, avvenuta il 9 settembre del 1943.
Il Professore Antonio Palo, esperto di Storia Contemporanea, ha ricostruito per noi i momenti e le tappe più significative dello Sbarco, raccontandoci aneddoti e curiosità intorno alla nascita e alla vita del museo.
Lo sbarco e l’operazione Avalanche
Una testimonianza del reporter di guerra Jack Belden, inviato del Life Magazine, sbarcato a Paestum, introduce al meglio l’importanza e il valore dell’Operazione Avalanche. “Le bombe lampeggiavano sull’acqua, le fiamme ingiallivano il cielo… Il marinaio gridò: tenetevi pronti! Il mezzo da sbarco sussultò e la rampa discese. Un uomo balzò nel vuoto e sparì nella schiuma biancastra che traboccava precipitosa verso la riva. Poi scesi io. Affondai fino alle ginocchia, toccai coi piedi il suolo sabbioso d’Italia, a Salerno. Eccomi infine sul Continente europeo!”
Il 9 settembre 1943, con l’Operazione Avalanche, gli Alleati mettono piede nel continente europeo. 170mila uomini, 100mila inglesi e 70mila statunitensi, comandati dal generale Mark Wayne Clark, realizzano la prima grande operazione militare anfibia del secondo conflitto mondiale, che, successivamente, sarà verificata come seconda soltanto allo Sbarco in Normandia, che avverrà nel 6 giugno 1944.
Fino al mese di giugno del 1943 Salerno non è stata ancora bombardata. Napoli subisce la prima incursione aerea nel 1 novembre del 1940, e alla fine della guerra il capoluogo campano conterà 101 bombardamenti e circa 15mila vittime civili. I salernitani, invece, fino al giugno del ’43 non sono abituati alle bombe. Vedono soltanto passare le fortezze volanti che vanno a lanciare bombe su Napoli, e questo, dopo oltre tre anni di conflitto mondiale, fa sentire abbastanza sicuri i salernitani. I cittadini di Salerno avvertono la loro città quasi fuori dal conflitto. In realtà, secondo il generale Eisenhower, e secondo il suggerimento di Churchill, per il quale bisogna attaccare la “Fortezza Europa” di Hitler, risulta necessario sbarcare anche a Salerno.
Un briefing svoltosi in Sicilia, il 24 agosto del 1943, dove l’approdo di poche settimane prima, Operazione Husky, non era stato ritenuto sufficiente per assicurarsi il controllo dell’area mediterranea del Vecchio Continente, stabilisce il piano di sbarco a Salerno. La città campana viene scelta perché il suo golfo offre condizioni ideali per uno sbarco militare, a causa delle sue spiagge ampie e perché Salerno offre migliori opportunità, dal punto di vista strategico e geografico, per il rifornimento dei caccia. Per questo viene scartata l’ipotesi Gaeta, inizialmente ipotizzata come luogo dello sbarco. L’unico dettaglio, non da poco, trascurato dalle truppe alleate, è una delle caratteristiche morfologiche del territorio. Intorno a Salerno ci sono montagne e colline, una condizione ideale per chi deve difendersi. Questo consentirà ai tedeschi di difendersi a lungo.
In realtà, questa apparente trascuratezza fu in parte prevista da Eisenhower, che, alla luce dell’operazione Avalanche, avrebbe giocato sull’effetto sorpresa rispetto all’annuncio dell’armistizio da parte di Badoglio. L’annuncio dell’armistizio avrebbe, secondo il generale statunitense, procurato un forte sbandamento sia all’esercito italiano che a quello tedesco. In realtà, poi, a rimanere soprese sono solo le truppe italiane, perché quelle tedesche riescono a organizzare una forte resistenza capace di tenere testa all’operazione di sbarco per ben tre settimane di battaglie, che costeranno migliaia di vittime, di dispersi e di feriti.
“Ciccio ‘o ferroviere”
Dall’inizio di giugno su Salerno iniziano le ricognizioni giornaliere di un mosquito inglese che, ogni sera, alle 22.00, provenendo dalla linea ferroviaria di Battipaglia, scatta una serie di foto al litorale, alla costa, alle spiagge, in via preparatoria all’azione militare, rendendosi molto utile ai piani dell’operazione Avalanche. Questo piccolo aereo inglese, viste le sue ripetute e frequenti ricognizioni aeree lungo la linea ferroviaria, viene battezzato dai salernitani “Ciccio ‘o ferroviere”. I voli di Ciccio ‘o Ferroviere in qualche modo annunciano il primo bombardamento su Salerno, avvenuto il 21 giugno, nel giorno di San Luigi, alle ore 13.15, quindici minuti dopo un allarme antiaereo a cui i salernitani sono però abituati, perché soliti ascoltarli durante le incursioni su Napoli. Il 21 giugno del ’43, durante una splendida giornata di sole, i B17 dell’aviazione degli Stati Uniti sorprendono la popolazione locale, scatenando l’inferno sulla città. I salernitani sono tutti per strada e in spiaggia, perché non sono soliti frequentare i rifugi, mal concepiti perché previsti sotto i palazzi, e per questo paradossalmente evitabili, più che utilizzabili come luogo di messa in sicurezza della popolazione.
Gli obiettivi sono militari e industriali. Vengono colpite la stazione ferroviaria e le casermette a Torrione alto. Poi tocca a due pastifici su Corso Garibaldi, il “Natella” e lo “Scaramella”. Subisce un bombardamento anche un silurificio in zona Torrione. Il centro di Salerno non viene risparmiato dai raid. Via Diaz, Via Nizza, Corso Vittorio Emanuele, il rione San Petrillo e il rione San Giovanniello, alle spalle di Portanova, e la caserma Umberto I, sede di una scuola di allievi ufficiali, sono sottoposti ai lanci degli ordigni alleati. Il giorno del bombardamento la caserma Umberto I non è occupata dagli allievi ufficiali, trasferiti a Cuneo alcuni mesi prima. Il sito militare viene adibito per la ricezione di giovani reclute. 120 ragazzi perdono la vita, mitragliati dagli aerei a bassa quota. Salerno subirà, prima dello sbarco, circa una ventina di bombardamenti, tutti previsti come azione propedeutica all’Operazione Avalanche. Oltre alle bombe, su Salerno cadono anche i volantini della contropropaganda. I “fogli volanti” informano la popolazione sugli insuccessi e le menzogne di Hitler e di Mussolini. Gli Alleati non rinunciano alle azioni propagandiste, oltre a quelle militari.
Il museo
Il museo dello sbarco non è un museo della guerra, ma della memoria. Il suo scopo è quello di conservare il ricordo storico di due avvenimenti: l’Operazione Avalanche e gli sviluppi politici che hanno direttamente coinvolto la città di Salerno. Infatti Salerno per sei mesi è la capitale del Regno d’Italia del Sud. Inoltre, la città vede la formazione di due governi di unità nazionale (aprile e giugno 1944), governi nei quali entrano anche esponenti del CLN, la sigla che rappresenta le forze politiche antifasciste. L’ultimo governo, quello Bonomi, concepirà l’idea di scrivere una nuova Costituzione per quella che sarà la nascente “Repubblica Italiana”.
L’intenzione di dare a Salerno un museo di questo tipo è un sogno coltivato per circa trent’anni. Il 28 settembre del 2012 la Regione Campania affida all’Associazione Parco della Memoria della Campania i locali che ospitano tutti i documenti e le testimonianze sui coinvolgimenti di Salerno e provincia nel secondo conflitto mondiale. Per il Professor Antonio Palo “Il Museo dello Sbarco ha ospitato e ospita ogni anno migliaia di visitatori, molti studenti, anche provenienti da istituti scolastici esteri. Per noi è un luogo che teniamo a far vivere come un’opportunità viva e dinamica per il territorio, superando l’idea “classica” della staticità museale. Consentiamo, oltre all’organizzazione di importanti iniziative culturali, anche agli stessi visitatori di toccare i documenti presenti. Il contatto diretto ha per noi un forte valore simbolico, di efficace trasmissione emotiva”.
Il ritorno di Gregorio VII
Quando gli Alleati prendono il controllo di Salerno, quasi tutte le autorità locali sono fuggite. Il Prefetto, il Podestà, il Federale non sono più in città. L’unica autorità di riferimento rimasta per il comandante Thomas Aloysius Lane, cattolico di origine irlandese, è l’Arcivescovo Nicola Monterisi. Quando arriva in città, Lane chiede all’arcivescovo di accompagnarlo sulla tomba di Papa Gregorio VII, Ildebrando di Sovana, morto a Salerno nel 1085. Una volta in visita alla tomba di Gregorio VII, Lane, secondo una testimonianza di monsignor Arturo Carucci, cappellano nel Sanatorio di Salerno, dopo aver pregato, confessa all’arcivescovo Monterisi: “Io in questo momento mi sento come Ildebrando di Sovana, perché anch’io sto combattendo contro i tedeschi”. Ildebrando aveva combattuto contro Enrico VI, in uno dei periodi storici, la fine dell’Anno Mille, tra i più delicati dei rapporti tra il potere politico degli imperatori e quello della Chiesa.
I parroci sono molto presenti a Salerno in quei giorni di battaglia. Il 16 settembre Don Felice Ventura, parroco trentaquattrenne della chiesa di Santa Margherita di Pastena, muore nella sua canonica colpito da una cannonata, insieme ad altri due giovani parrocchiani. Questa è una delle testimonianze più importanti di quei giorni, a dimostrazione del fatto che in quelle settimane di così grande difficoltà, le autorità più vicine alla città sono i parroci, anche grazie alle richieste inizialmente espresse da Monsignor Monterisi, il quale, aveva chiesto ai parroci di non abbandonare le canoniche per nessuna ragione.
“Documenti umani”
Il museo, anche nella sua funzione più viva e diretta, è spesso occasione per registrare aneddoti ed episodi particolari su testimonianze commoventi, talvolta curiose, ma sempre caratterizzate da una forte connotazione umana. Una delle fotografie presenti nel museo raffigura quattro ragazzi che camminano lungo Corso Garibaldi. Pochi giorni dopo l’apertura, tra i visitatori giunti al museo, un signore di nome Vincenzo Scalero, ultraottantenne, si riconosce nella foto. Questi quattro ragazzi immortalati nella fotografia vengono da Ogliara e sono a Salerno per controllare in che condizioni sono ridotte le loro case. Salerno in quei giorni si è ridotta a 6mila abitanti, a causa dello sfollamento dovuto ai bombardamenti. Questi quattro ragazzi arrivano davanti a un negozio e si accorgono di cinque damigiane nascoste nella penombra. Uno di loro si accorge che il contenuto delle damigiane è olio. Vincenzo Scalero, durante il suo racconto, precisa che in tempo di guerra l’olio viene venduto a peso d’oro. In realtà, dentro quelle damigiane non c’era olio, ma vermut, tenuto sotto una piccola coltre di olio versato in superficie a mo’ di protezione. La scoperta di una fortuna che si rivela un “fiasco” finisce in una grande sbornia.
In un’altra fotografia è ritratto un certo Vito Frank Ruocco, originario di Agropoli, emigrato in America del nord. Durante lo sbarco Vito si trova nella sua barchetta. Appena viene raccolto dai soldati alleati, tiene subito a precisare e a rassicurare che ad Agropoli non ci sono i tedeschi. Questa informazione aiuterà la città di Agropoli a essere risparmiata dai bombardamenti.
Il professor Palo racconta che il museo è diventato anche un luogo dove è possibile assistere a situazioni molto commoventi, come quando, riferisce il professore, ci vengono a trovare i figli dei reduci. “Un giorno al museo viene a farci visita tale Chris Vacca, reduce statunitense ormai quasi novantenne. Il signor Vacca, in quello stesso momento, si incontra per caso con la figlia di un soldato tedesco morto a Cava de’ Tirreni proprio durante lo sbarco. La figlia di questo soldato tedesco è nel museo perché è stata a Cava col marito per visitare il luogo dove era morto il padre. Ecco che avviene questo incontro del tutto occasionale tra Chris Vacca e questa signora, figlia di un soldato tedesco. I due, in un momento di forte imbarazzo, ma anche di notevole sollecitazione emotiva, non trovano altro di meglio da fare che abbracciarsi e dirsi Peace, Pace”.
John Lennon e una “passeggiata al sole”
Un giorno, invece, al museo giunge un certo Henry Blisset, figlio di un capitano inglese sbarcato a Vietri sul mare. Henry porta con sé alcune fotografie del padre, diventato poi, dopo la guerra, insegnante di geografia. Blisset rivela che tra i suoi allievi suo padre ha avuto anche John Lennon.
Nel 1945 a Salerno arriva un regista americano che gira un film sullo sbarco, intitolato “A walk in the sun”, Una passeggiata al sole. I soldati alleati pensano che lo sbarco sia una passeggiata, ma dovranno presto ricredersi sulla presunta facilità dell’operazione. Il film esce in italiano col titolo “L’ora X”. La pellicola è dedicata alla psicologia del soldato, più che alle dinamiche di azione militare. Steven Spielberg si ispirerà a questo film per girare alcune scene di Salvate il soldato Ryan.
Gli artisti del museo
Il museo dello Sbarco, tra i suoi documenti, ospita anche diverse opere artistiche dedicate a quegli anni di guerra. Le opere risalgono a dipinti e a contributi del periodo storico e a realizzazioni recenti. Tra queste, un’istallazione intitolata Per gli involontari di guerra, in dedica alle vittime della seconda guerra mondiale.
Il vagone per Auschwitz
All’esterno del museo sono esposti anche alcuni strumenti militari. Tra questi, due contraeree della Breda di Milano, recuperate e restaurate, e un pontoon bridge, una sorta di ponte mobile utile a far passare da una sponda all’altra dei fiumi camion e carri armati. Nell’atrio del museo si trova anche uno Sherman, un carro armato statunitense molto utilizzato durante la guerra.
Un vero e proprio monumento internazionale è uno degli ultimi carri ferroviari adibiti, durante la seconda guerra mondiale, al trasporto dei deportati ad Auschwitz-Birkenau. In Italia ne sono rimasti quattro, tre a Milano, sul binario 21 (da dove partivano i convogli tedeschi per Auschwitz) e un altro è stato affidato al Museo dello Sbarco. Questo carro, originariamente delle ferrovie italiane, viene inizialmente costruito per il trasporto del bestiame. Su questo tipo di carri viene scritto “Cavalli 8, uomini 40”. In realtà le truppe tedesche riempiono il carro fino a costipare anche 100 ebrei. Dall’Italia alla Polonia il viaggio può durare anche una settimana. Il 20% dei deportati muore sistematicamente durante il trasporto. In media, a 20 ebrei su 100 è assicurata la morte durante il viaggio all’interno di questi convogli che prima della partenza vengono piombati.
Una volta giunti ad Auschwitz, le guardie tedesche fanno scendere prima le donne e i bambini. Con la scusa di lavarli, vengono tutti condotti nelle camere a gas, dove, soltanto dopo averli spogliati e tagliato loro i capelli, nel giro di una ventina di minuti gli internati trovano la morte all’interno delle camere a gas. I capelli tagliati ai deportati vengono utilizzati per la fabbricazione di micce per le bombe.
I convogli non vengono adibiti soltanto per le deportazioni degli ebrei, ma anche per il trasporto dei soldati italiani fatti prigionieri dopo l’armistizio. Nei campi di concentramento tedeschi, di tutta Europa, alla fine della guerra risulteranno deportati 960mila soldati italiani. Soltanto chi aderisce alla Repubblica Sociale di Salò, fondata da Mussolini, può lasciare i campi. 50mila internati aderiscono, molti dei quali lo fanno solo per sfuggire alla prigionia. Sono molti gli italiani che perdono la vita nei campi tedeschi. Ad Auschwitz-Birkenau vengono deportati 5mila ebrei italiani. Ne toneranno 960. Tra questi Primo Levi, autore di Se questo è un uomo.
Curiosità piuttosto particolare. Il carro presente al Museo dello Sbarco quando è stato portato nella struttura ha avuto bisogno di un trattamento effettuato con una vernice speciale, per proteggerlo dalle intemperie, vista l’impossibilità di coprirlo diversamente. La vernice speciale adoperata dal restauratore viene prodotta in Germania.
“Qui non ho visto nessuna farfalla”
All’interno di una delle sale della struttura che ospita il museo, l’associazione Coordinamento Solidarietà e Cooperazione ha avviato un progetto di formazione per gli studenti compresi tra i 12 e i 16 anni. Il progetto, inoltre, attraverso uno dei suoi pannelli esplicativi ricorda molti altri genocidi perpetrati durante i decenni anteriori e posteriori alla Shoah.
Qui non ho visto nessuna farfalla consiste nell’opportunità di guidare i ragazzi all’interno di un percorso dove è possibile osservare e sperimentare alcune dinamiche dei campi di concentramento. Il percorso prevede 10 tappe: La discriminazione, La destinazione ignota, La lingua sconosciuta, La divisa, La punizione, Il freddo e la fame, La solidarietà, La fatica e il lavoro, I ricordi, Il ritorno. Ogni tappa un significato, ogni punto del percorso un’esperienza, tra le più brutali delle storia del Novecento, riservata a milioni di persone.
Il filosofo Isaiah Berlin ha detto, “Ricordo il ventesimo secolo soltanto come il secolo più terribile della storia occidentale, che io ho vissuto quasi per intero. Devo dire senza traversie personali”. Ecco che l’unica lezione di cui possiamo veramente disporre è l’apprendimento, indirizzato a molti di noi, di quel significato profondo che va sotto la parola “Privilegio”. Ci soccorra sempre, quando dobbiamo prendere una decisione.
La Rivista Milena ringrazia sentitamente:
Il Professore Antonio Paolo, guida paziente e indispensabile
L’Associazione “Parco della memoria della Campania”
Il Museo dello Sbarco e Salerno Capitale, nelle persone di
Professore Nicola Oddati
Dottore Eduardo Scotti
Generale Sergio Cuofano
La realizzazione museale a cura del Professor Giuseppe Natella di Bottega San Lazzaro
Si ringrazia l’Associazione “Coordinamento Solidarietà e Cooperazione”
Un caloroso ringraziamento al prezioso supporto della Dottoressa Daniela Lovisetto