Maradona, sociologia di un mito globale
di Vincenzo Del Gaudio
Federico Buffa racconta che quando Maradona partì da Villa Fiorito, poverissimo quartiere di Buenos Aires dove viveva, per andare al suo primo provino con l’Argentinos Junior siccome era più forte di tutti gli altri ragazzi presenti venne scambiato per un nano. Questa storia è emblematica per mostrare come, sin dalla tenera età, le vicende riguardanti la vita di Diego Armando Maradona si intreccino con leggende e miti che determinano la costruzione non soltanto del calciatore, del campione, ma anche e soprattutto del doppio mediale che, al pari del calciatore, costituisce un necessario ambito di ricerca per comprendere la particolare figura dell’immaginario che Maradona determina. Il libro Maradona, Sociologia di un mito globale edito per Ipermedium e curato da Vittorio Dini e Luca Bifulco ha come scopo proprio quello di indagare le figure simboliche a partire dalle quali il significato della figura maradoniana si intreccia con i processi culturali, il consumo mediale, e determina una particolare deflagrazione del doppio che si sgancia dal corpo del Maradona calciatore per incarnarsi in modelli e figure dell’immaginario che ne amplificano, se non ne creano, il particolare status di mito.
Per spiegare meglio tale processo si potrebbe prendere in prestito una delle più note teorie attoriali del novecento, forse la prima, che impropriamente è conosciuta con la formula di “metodo Stanislavskij”. Dietro tale formula si nasconde l’idea che tra l’attore e personaggio debba esserci immedesimazione totale fino a determinare una sparizione dell’attore nel personaggio, tale processo nel sistema stanisvaskijano è frutto di un particolare apparato tecnico – la psicotecnica – e di un approccio volontario che permettono la messa in moto del processo di immaginazione prima e di immedesimazione poi. Per la figura di Maradona invece tra il personaggio e il calciatore avviene si un processo di immedesimazione ma tale immedesimazione non è frutto di una volontà o di una tecnica specifica ma piuttosto di un particolare processo di costruzione per il quale l’attore non sparisce nel personaggio ma nel personaggio è sempre presente. Tale meccanismo è più vicino alle modalità attraverso le quali costruisce il personaggio il danzatore inglese Lindsay Kemp per il quale, partendo dal movimento, proprio come un calciatore, il personaggio costruito porta sempre con se la traccia dell’attore che lo interpreta.
Insomma per la figura di Maradona studiare il personaggio significa studiare anche il calciatore e viceversa al fine di circoscrivere le zone in cui la macchina mitologica, per usare una felice formulazione di Furio Jesi, produce i propri significati. Esplicitare tale presupposto significa comprendere a pieno il senso del testo curato da Dini e Bifulco dove, le figure maradoniane vengono indagate da diversi punti di vista per giungere a diversi esiti che tenuti insieme disegnano un universo e costruiscono uno spazio decisivo d’analisi per lo studio dei processi culturali. É la presa globale che le figure prodotte dalla macchina mitologica maradoniana hanno a spingere i due curatori a ritenere fondamentale “che le Scienze Sociali si interroghino e ragionino sulla consistenza mitica di un simile personaggio”[1]. Lo scopo principale del libro quindi è quello di cercare di capire perché media, ma anche persone di diversa estrazione sociale, di diversa nazionalità, di diversa cultura abbiano elaborato una tanto complessa macchina.
Il libro è diviso in tre sessioni, ognuna della quali funziona come una sorta di bussola che guida il lettore all’interno dell’oceano di immagini e figure che la cultura popolare ha dato del mito del pibe de oro. Nella prima sezione intitolata: “Per una mitologia dell’eroe sportivo” ci sono i saggi di Dini, Bifulco, Brancato e Pecchinenda, che partendo del concetto di mito d’oggi coniato da Roland Barhes, che sposta l’attenzione mitologica dall’oggetto alle modalità attraverso le quali tale oggetto viene comunicato, ricostruiscono il particolare status di mito e lo applicano alle figure maradoniane per cercare di comprendere come tale concetto si applichi a Maradona e come questo muti proprio a partire dalle categorie dell’eroe sportivo come modalità tutta novecentesca di costruzione del mito. I saggi ci mostrano come quello di Maradona sia un mito tecnicizzato, per dirla con Kerenyi, cioè un mito costruito tecnicamente attraverso un particolare circolo semiotico che funziona a partire dal Maradona calciatore ma che non in esso esaurisce tutto il proprio senso per costituire nell’immaginario collettivo la figura del Maradona semi-dio, del Maradona legato ad un certo modo di esperire il sacro proprio di Napoli e del Sud America, come ci suggerisce Pecchinenda, del Maradona capopopolo e liberatore, del Maradona/Masaniello.
La seconda sezione del libro, intitolata “Il mito azzurro”, analizza gli anni di Maradona a Napoli, il rapporto con la città, con i suoi antichi archetipi, con i tifosi. Il punto di partenza sono ovviamente i sette anni in cui Diego a Napoli è stato re indiscusso per poi giungere, come nel saggio di Bifulco, ad un analisi postuma di cosa nelle generazioni successive è rimasto di quei sette anni, delle modalità attraverso le quali il mito maradoniano di trasmette tra generazioni, di come cambia e si modifica da una generazione all’altra.
É chiaro che per Napoli Diego ha significato molte cose, che c’è una linea di demarcazione tra coloro i quali hanno visto giocare Maradona, vivevano in quella Napoli degli anni ’80, e coloro che in qualche modo accedono al mito in un momento successivo. Mircea Eliade chiamava tempo sacro il tempo della nascita della divinità, della nascita del Dio, e tempo profano il tempo del ricordo e della ritualizzazione di tale nascita[2].
Per il mito maradoniano il tempo sacro è quello degli anni ’80, il tempo in cui il Dio del calcio si è manifestato al mondo, cambiandone profondamente le fondamenta, costruendo una macchina liturgica che ancora oggi resiste – Il saggio di Pecchinenda ricostruisce molti di questi motivi liturgici -. La terza è ultima sezione, intitolata “Argentina, calcio e patria” è stata scritta principalmente da studiosi sudamericani e analizza le figure di Diego in patria, dal eterno paragone con Leo Messi all’analisi del culto maradoniano sfociato nella chiesa maradoniana di Buenos Aires.
Insomma il testo ha tante anime proprio perché multiforme è il mito di Maradona, forse l’unica analisi che manca è sui prodotti mediali che il mito maradoniano ha ispirato, film, canzoni, fumetti, libri, insomma forse in un analisi del genere avrebbero dovuto trovar posto anche le disseminazioni che il corpo di Diego ha prodotto nei vari media perché esse rappresentano delle modalità decisive attraverso le quali la cultura di massa ha elaborato ed elabora il tempo sacro della nascita del mito Maradona. Ciò non toglie che questo sia un testo coraggioso perché cerca di districare il complesso universo simbolico che ruota intorno al D1ES per comprenderne i travasi di senso e il rapporto che questo intrattiene con il corpo sociale e con l’universo mediale, in maniera scientifica, senza sfociare in facili apologie o in analisi di parte.
Un’ultima immagine. 5 luglio 2010 dopo la cocente sconfitta nei quarti di finale del mondiale Sudafricano per 4-0 contro la Germania, L’Argentina da guidata da Maradona torna in patria e sorprendentemente viene accolta da un bagno di folla, sono lì solo per lui, per Diego, per chiedere alla mano di Dio di non lasciare la panchina della nazionale, di rimanere al suo posto, e sono tanti, sembrano tutti ancora una volta, come nel 1986 quando quel ragazzino scambiato per un nano era tornato dal Messico con in dono un mondiale vinto praticamente da solo, e ancora una volta come nella canzone che il cantautore argentino Rodrigo Bueno ha scritto per lui, todo el pueblo cantò “Maradò, Maradò”.
[1] V. Dini, L. Bifulco Maradona. Sociologia di un mito globale” Ipermedium, S.M. Capua Vetere, 2014 pag.12
[2] Eliade, M. il sacro e il profano, Bollati e boringhieri, Torino, 2006