Il secondo inchino, l’omaggio della Rivista Milena agli attori “spalla”
“Napule è ‘nu paese curioso:
è ‘nu teatro antico, sempre apierto.
Ce nasce gente ca senza cuncierto
scenne p’ ‘e strate e sape recità.”
Eduardo De Filippo
Troppe volte ascoltiamo, ormai quasi senza turbamento, la frase per cui la Napoli di una volta non esiste più. Un breve recitativo che dura ormai da più di mezzo secolo. Eduardo De Filippo aveva tracciato la sua linea di confine sulla Napoli ritrovata dallo straniamento del reduce Gennaro Jovine, tranviere costretto alla seconda guerra mondiale, affezionato alle sue radici, anche attraverso i racconti della prima, che lui stesso aveva vissuto e che, al suo ritorno, era riuscito a conquistare l’attenzione di grandi e piccoli grazie alle sue testimonianze sulla Grande guerra, ma che, dopo il ritorno dal secondo conflitto mondiale, non aveva più verificato la stessa sensibilità. Antonio Ghirelli aveva temuto la svolta nella sua introduzione al volumetto di novelle di Salvatore Di Giacomo, percependo la distanza tra la nuova Napoli e il poeta nel lungo silenzio letterario dello scrittore, durato quasi vent’anni, prima di morire. “In una Napoli che ormai non gli appartiene perché non gli somiglia più”.
Il Novecento napoletano, in balia di questo motto per cui Napoli non somiglierebbe più alla “Napoli di una volta” – ammesso che un luogo così antico possa essere inquadrato in un archetipo immutabile – ha visto esibirsi molti grandi attori, del teatro e del cinema. Una delle figure attoriali che meglio ha rappresentato la forza espressiva della “Napoli attrice” è stata quella della cosiddetta “Spalla”, che un tempo veniva anche definita come “personaggio-comodino”, ovvero il non-protagonista, colui destinato a fungere da sponda all’ingombro protagonista. Attenzione al rischio di considerare l’attore spalla come una funzione secondaria, esclusivamente comprimaria, rispetto a quella del protagonista. Senza l’intelligenza sottile e discreta dei loro fedeli e mansueti gregari, i grandi protagonisti non avrebbero potuto contare sulla fama della quale, proprio grazie a questi pazienti accompagnatori, hanno goduto. E guai se questi li avessero traditi. Mai fedeltà fu più grande e astuta di quella della spalla che, a mo’ di voce della coscienza, vegliò sul ridicolo del primo attore. Pure Franz Kafka ha azzardato la valutazione di merito. E non sull’ultimo dei comprimari. “La disgrazia di Don Chisciotte non è la sua fantasia, è Sancho Pancia”.
Quante figure preziose hanno caratterizzato il teatro e il cinema napoletani del Ventesimo secolo. Una folla. Tante delle loro storie sono andate quasi perdute. Quanti oggi ancora ricordano Ugo D’Alessio, o l’epilogo vissuto in povertà di Gennaro Palumbo, la sagoma sottile di Gino Maringola, o il brio di Nunzia e Nuccia Fumo? Napoli, quella senza tempo, quella affaccendata a vivere per conto proprio, in un disparte di amarezze e di ironie, ha transitato sulle voci e sui gesti dei fratelli De Rege, sulla saggezza e la nostalgia di Tina Pica, l’istrionismo di Luigi Schroeder e ancora, ancora, per il nobile “vicolame” di un campionario umano nato sotto una costellazione di stelle minori, minori nei costumi di scena, ma ardenti tanto quanto quelle che in ogni film, in ogni rappresentazione teatrale, le hanno volute al loro fianco.
Rivista Milena, attraverso un percorso di singole uscite settimanali, omaggerà alcune di queste figure, passando in rassegna attori e attrici di quella Metropoli antica archiviata nel luogo comune della “Napoli che non esiste più”. Con registri diversi, con occhi diversi, ogni articolo racconterà, descriverà, donerà un tratto sommesso e ossequioso a uno di questi personaggi. “Il secondo inchino”, come quello dell’attore che a teatro, sulla ribalta, davanti all’applauso del pubblico, segue quello del capocomico. Se Davila diceva che non esistono ruoli secondari, ma solo attori secondari, Napoli, nella sua versione “jentile”, mai si è permessa di fissare un qualche ordine gerarchico tra queste figure. Ognuna di esse occupa un posto, in quell’affresco dove la linea di fondo è orizzontale, e che, di tanto in tanto, in un movimento che non è visibile agli occhi, sinuosamente si muove avanzando e indietreggiando, porgendo al nostro sguardo ora un personaggio adesso un altro. Questa Napoli non somiglia a niente che non sia se stessa. E non teme estinzioni.