Incontro con Antonia Lezza: “Antologia teatrale” e le sue Lezioni intorno al binomio scrittura teatro
Antologia teatrale, pubblicato dalla Liguori Editore nella collana “Critica e letteratura”, contiene una silloge di autori, scenografi, attori, registi e studiosi che hanno dato e continuano ad assicurare un importante contributo al fermento teatrale italiano. Il volume è a cura di Antonia Lezza, Docente di Letteratura italiana e di Letteratura teatrale italiana all’Università degli Studi di Salerno e di Annunziata Acanfora e di Carmela Lucia, dottori di ricerca e insegnanti negli Istituti Secondari Superiori.
Il testo è articolato in quattro sezioni. Questioni di teatro analizza aspetti storici e filologici della testualità teatrale, rispetto all’editoria e alle influenze delle letterature teatrali regionali. Scrivere per il teatro contiene scritti di poetica teatrale, mentre la sezione Per un teatro contemporaneo riflette sul rapporto tra il teatro e la regia e sulla rinascita del radiodramma. La quarta parte, Lezioni di teatro, completa l’impianto testuale con un ciclo di sei “Incontri con l’autore” svoltosi negli anni accademici 2000\2001 e 2001\2002 nell’ambito delle attività seminariali della cattedra di Letteratura Teatrale italiana, presso l’Università degli Studi di Salerno.
Tra le testimonianze presenti nel testo sono raccolte anche quelle di Ruggero Cappuccio, Enzo Moscato e Manlio Santanelli, tre fra i più autorevoli esponenti della drammaturgia contemporanea. Gli scritti di Antologia teatrale sono di Antonia Lezza, Anna Scannapieco, Annunziata Acanfora, Giuseppe Rocca, Carmela Lucia, Franco Autiero, Paola Daniela Giovanelli, Enzo Moscato, Manlio Santanelli, Antonio Tarantino, Francesco Saponaro, Maurizio Zanardi, Giorgio Taffon, Elena Bucci, Stella Casiraghi, Tiziana Paladini, Stefania Stefanelli, Ruggero Cappuccio.
Rivista Milena ha incontrato Antonia Lezza per una breve discussione sui contenuti dell’Antologia e sulle vicende che riguardano la parola teatro.
Professoressa, nell’Antologia da lei curata uno dei punti maggiormente presenti è la scrittura del teatro. Nel suo libro si susseguono analisi e testimonianze di studiosi e di importanti esponenti teatrali. Scrittura e teatro rappresentano un binomio antico, continuamente alimentato da incursioni teoriche e da pratiche di scena. Questo processo, in qualche modo fatto di addizioni, secondo lei ha fornito un risultato, un elemento unico?
Gli interventi di natura teatrale sono tanti e di varia natura. Se ci sia un risultato? Credo proprio di no. La società stessa è più preoccupata di privilegiare altri aspetti del sapere. In Spagna, per esempio, risulta attuale la denuncia per cui gli studi umanistici sono sempre più sottomessi alla mancanza delle attenzioni alle lingue come il greco e il latino. È sempre più a rischio lo strumento dello studio e del rigore. Ci sono scrittori e studiosi che si muovono per sensibilizzare anche su questo problema, ma lo fanno con fatica. La mia stessa disciplina fatica ad emergere. La difficoltà sta pure nella mancanza di strumenti editoriali. C’è scarsa predisposizione. Eduardo De Filippo, Dario Fo, per citare i più conosciuti, hanno avuto la possibilità di pubblicare e di contare su importanti mezzi di diffusione, riuscendo, così, a consolidare la loro preziosa produzione artistica. L’Antologia teatrale, non a caso, cerca di contribuire anche a questa necessità. Sono presenti cenni direttamente scritti da autori, anche per dare un segnale sull’importanza del teatro scritto. Non avremo mai un teatro solido e importante se non riusciremo dare la giusta importanza tanto al teatro tradizionale che a quello sperimentale. E per importanza intendo anche la frequente disposizione a verbalizzarlo.
Forse l’unico elemento frutto del processo che abbiamo citato è la resistenza stessa del teatro?
Certo. Il teatro reclama se stesso, talvolta anche attraverso la sua pratica artistica. Pure la creatività è coinvolta. A mio avviso non bisogna cadere nel rischio di arenarsi a un teatro sempre uguale a se stesso, poco disposto ad accogliere nuove sperimentazioni e nuove idee. Da una parte, per diverse ragioni, abbiamo un teatro dei cartelloni che propone quasi sempre le stesse “confezioni”, dall’altra abbiamo la tendenza a restare ancorati a patrimoni letterari e teatrali storici, importanti, ma che non devono passare come gli unici esistenti o esistiti. Eduardo è una macchina perfetta, ma non è l’unica macchina.
Del resto il teatro non funziona sempre secondo il teatro soltanto, ma ha bisogno di molte altre fonti e ispirazioni.
Anche. Infatti il discorso diventa più ampio nel momento in cui pensiamo ai contributi dei romanzieri, come Malaparte e Ortese, per citarne alcuni, ispiratori del riadattamento teatrale, oppure delle rielaborazioni dei traduttori. A volte si dimentica quanto i traduttori e gli autori che riscrivono e riadattano testi della tradizione siano capaci di restituire rappresentazioni dal forte carattere sperimentale e al tempo stesso di notevole efficacia. Penso, volendo fare un esempio recente, al riadattamento di Fausto Russo Alesi del Natale in casa Cupiello o al lavoro di Pino Caspanello. Il teatro può e deve essere nutrito da una molteplicità di fonti e di ispirazioni. La professione che svolgo, da sempre, tiene conto anche di questa preoccupazione. Ricercare, evidenziare nuovi modi di lavorare, di esprimere la parola teatro con metodi innovativi.
Come è riportato anche nel testo dell’Antologia, Giorgio Strehler ha invitato attori e registi a fare questo. “Fate il teatro che è più grande di tutti noi e persino di quelli che l’hanno scritto”.
Esatto, proprio per avvalorare l’importanza del doppio compito di chi fa e osserva il teatro. La sua cura è affidata alla conservazione della tradizione e a nuove interpretazioni, ma, allo stesso tempo, alla facoltà di innovarla, sperimentando nuovi percorsi.
Nel testo è presente anche un capitolo dedicato a un dato nevrotico dell’espressione popolare, un elemento non sempre rilevato, quello degli acrostici e delle scritte murali, anche come riferimento genetico delle espressioni popolari. Oggi come si manifesta la naturalezza teatrale a livello popolare? Possiamo ancora ritenere vivo quel teatro, per alcuni tipicamente napoletano e meridionale, che potremmo definire involontario?
Probabilmente molte cose sono cambiate. Ci sono state delle trasformazioni antropologiche, dei cambiamenti forti. Anche gli autori e gli attori lo hanno percepito. Penso, ad esempio, a Mimmo Borrelli e a Davide Iodice. Potremmo, però, citare anche molti altri autori e registi che riescono, sia pur con qualche limite, a rappresentare mondi moderni occupandosi di aspetti e di tensioni tipici di quelli passati. Il teatro rappresenta anche i cambiamenti, su un asse che non è solo napoletano, ma che secondo me riguarda tutta l’Italia meridionale.
Anche nel suo libro questo aspetto è evidenziato, laddove è affrontato il legame storico e indissolubile tra il teatro siciliano e quello napoletano, legame ovviamente anche letterario.
E non solo. Il nuovo teatro meridionale non conta soltanto su rappresentanti siciliani, come Emma Dante e Vincenzo Pirrotta, sempre per fare alcuni esempi, ma pure su autori, registi e attori calabresi, pugliesi, capaci di portare avanti un teatro che si affaccia sulle incertezze del terzo millennio. Naturalmente è una considerazione che conforta l’aspettativa di un teatro sempre più affidato a nuovi fermenti, a nuove temperie, capaci di creare interferenze utili al teatro stesso e per la nascita di nuove avanguardie.
L’Antologia teatrale si sofferma anche sulla riconoscibilità dello “statuto teatrale” e di quanto questo processo sia così delicato e complesso, oltre che ancora oggi difficilmente valutabile. Già prima della seconda guerra mondiale gli uomini di teatro si erano interrogati sull’eventualità di formare e di costituire un riferimento di teatro stabile che potesse in qualche modo codificare la lingua e il linguaggio teatrali e il suo movimento. Questo, però, non ha eluso la necessità di istanze rivolte, allo stesso tempo, a ribadire il rifiuto di imposizioni politiche e accademiche in un contrasto apparente in cui, forse, il teatro, aspetto deducibile a distanza di un secolo, ha sempre cercato il pieno riconoscimento, anche politico, ma salvaguardando l’inviolabilità del suo arbitrio.
Strehler traduceva nella sua scrittura l’essenza della concezione teatrale, Silvio d’Amico ha sottolineato l’etica dello statuto teatrale, Eduardo De Filippo ha più volte sottolineato la necessità di un riconoscimento alla figura dell’attore di teatro. Tutto si è sempre mosso in parallelo alla sacralità dell’indipendenza espressiva. Che sia possibile scovarvi un manifesto? Un manifesto sottoposto a esaltazioni e a disfacimenti, ma sempre celato nell’eterna emergenza teatrale, nella quale non è escluso che il teatro stesso abbia trasformato in fonte ulteriore di identificazione e di ispirazione. Quel teatro che per Welles era un “divino anacronismo, una cosa che non è del presente.”