L’accordo di Parigi (COP21) è debole
di Rodrigo de Castro Amédée Péret
Pensare e condividere. Sulla COP21 tutti hanno detto: “Abbiamo un accordo”. Salutiamolo. I 196 paesi presenti al COP21 hanno raggiunto questo nuovo accordo internazionale, di carattere vincolante, per limitare l’aumento della temperatura media globale. Tutto è diretto a evitare che ci siano mutazioni climatiche ancora più gravi. I punti considerati chiave sono: contenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi centigradi – con l’intenzione di limitare questo aumento al valore di 1,5 – cento miliardi di dollari per i paesi “in via di sviluppo” e la revisione periodica, prevista ogni 5 anni, della riduzione delle emissioni nocive.
Tuttavia, molte questioni restano sospese. Eccone alcune.
Come sarà raggiunto questo limite? Nonostante la chiamata a un senso di responsabilità comune e differenziato, in relazione alle condizioni dei paesi del nord e del sud, nelle forme previste dall’INDC (l’acronimo inglese dei Contributi previsti a livello nazionale), determinati obiettivi di riduzione delle emissioni che ogni paese hanno formulato in precedenza, registrano un aumento della temperatura che può arrivare a + 3 gradi centigradi, stando a quanto dicono gli specialisti del movimento ambientalista globale. Il testo di Parigi resta quindi vago, perché non c’è una cifra precisa della percentuale rispetto a cui gas a effetto serra dovrebbero diminuire. Inoltre, non richiede ai paesi la diminuzione delle emissioni entro il 2020, menzionando soltanto un impegno di “equilibrio” nella seconda metà del secolo.
Come sia possibile credere che questi accordi siano giuridicamente vincolanti? Non sono previste sanzioni per chi non dovesse rispettare questi impegni. Non c’è qualcosa che vincoli realmente gli stati, né l’ONU dispone di strumenti per sanzionarli.
Come considerare i finanziamenti ai cosiddetti paesi in via di sviluppo? Il valore di 100 miliardi di dollari all’anno, che i paesi maggiormente sviluppati promettono a quelli in via di sviluppo come strumento di azione di contrasto al cambiamento climatico, pur trattandosi di un piano che sarà rivisto nel 2025, rappresenta appena il 15% di quanto necessario, rispetto all’analisi attuale del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (US $ 670.000.000.000 all’anno per ridurre le emissioni e $ 150 miliardi l’anno per l’adattamento e la protezione dagli impatti dei cambiamenti climatici).
Il testo di Parigi, inoltre, non menziona l’espressione “Combustibili fossili”. Perché? Quando sappiamo che per riuscire a raggiungere l’obiettivo dell’aumento di temperatura nel valore di 1,5 gradi centigradi la comunità scientifica ha affermato che è necessario stabilizzare l’80% dei combustibili fossili conosciuti incontaminati ed evitare ulteriori estrazioni. Già questo evidenzia una forte fragilità del documento di Parigi.
A Parigi, la riunione della COP21 ha attirato l’attenzione per il coinvolgimento anche di molte corporazioni aziendali, insieme ai rappresentanti degli Stati. Una opportunità di visibilità che le organizzazioni e i movimenti sociali hanno definito la “conquista corporativa dell’ONU”. Sappiamo che stiamo vivendo un momento dal quale non è possibile tornare indietro. Dobbiamo iniziare a chiederci come sarà il nostro mondo. Ma ciò a cui stiamo assistendo è la crescita e l’affermazione delle multinazionali, la privatizzazione degli Stati e la controversia sulla questione del cambiamento climatico come nuovo mercato.
I popoli, le diversità culturali, le differenti visioni del mondo e della vita di tutto il pianeta non compaiono. Questo dimostra il fatto che la COP continua a discutere di come continuare a sfruttare la natura, ma senza parlare delle modalità di sfruttamento. Come modificare il sistema di sfruttamento è una voce sempre assente nell’agenda. Nel testo di Parigi si parla di adozione e trasferimento tecnologici. Ci si chiede chi detiene queste tecnologie? Il problema sarà risolto con la vendita di tecnologia? Questo può essere utile agli investimenti delle corporazioni per garantirsi flussi continui nel mercato finanziario. Ma il pianeta continua a restare in balia del mercato: è in vendita. Tutto è in vendita. Come cambiare questa direzione? Iniziando a riconoscere realmente la centralità dei diritti umani, dei diritti della natura e della giustizia climatica. Tutto questo resta assente.
Il testo di Parigi riconosce “la priorità fondamentale di salvaguardare la sicurezza alimentare e di porre fine alla fame, e dalla particolare vulnerabilità dei sistemi di produzione alimentare agli impatti negativi dei cambiamenti climatici”. Tutto si riduce a evitare che venga minacciata la produzione alimentare, ma questo non garantisce cibo ai più poveri, né la “sovranità alimentare” dei popoli stessi. Ingiustizie e disuguaglianze restano fuori dal testo di Parigi.
Emergono, quindi, evidenti lacune dal testo della COP21, dal punto di vista dell’Ecologia Integrale, anche rispetto alle parole di esortazione dell’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’: “Non esistono due crisi separate: una ambientale e un’altra sociale, ma un’unica e complessa crisi socio-ambientale”.