Italo Celoro, volto scolpito e attore della voce
Sembra che una divinità gli abbia fuso sul volto la maschera di Pulcinella. Vitrea e sottile, incollata dalla fronte rugosa e rattrappita verso un groviglio di rughe in mezzo agli occhi, la sua forma ispiratrice deve aver penetrato la pelle per giungere viva a far magia nella sua voce e nelle sua espressione ringhiosa e circospetta. Italo Celoro, detto ‘o Prufessore (a causa dei suoi trascorsi di insegnante presso l’Istituto tecnico industriale “Leonardo Fea”), attore, nativo di Castellammare di Stabia, interprete di un cinema di transizione e del teatro di Viviani, celebre autore a lui compaesano, precursore di quel teatro della modernità, in anticipo sui tormenti di quello metropolitano.
Da Viviani ad Annibale Ruccello, Castellammare ne ha avuti di scrittori e di attori, di figure del teatro allevate in mezzo ai fuochi invisibili del vesuviano “infelice”, diviso tra il candore e la ferocia dell’antichità e i veleni di quest’epoca moderna di cui non si prevede luogo e tempo di scadenza. Italo Celoro è stato uno di questi attori. Maschera ruvida, voce tuonante e tenebrosa, dosata su ottave di calma apparente, dentro una posa curva di sospetto e ricolma di parole “scure” e arroventate.
Celoro è stato a lungo guida artistica della Cooperativa Centro di Attività Teatrali (C.A.T.), proprio nella sua Castellammare, attirando l’attenzione di registi e autori come Armando Pugliese ed Elvio Porta. Da una testimonianza di Marcella Celoro (pubblicata su bibliocamorra.alteravista.com) si apprende che quando al C.A.T. si decise di portare in scena L’ultimo scugnizzo di Viviani, Vittorio, figlio del drammaturgo stabiese, inviò una scrittura della Rumba degli scugnizzi, poi musicata da Enrico Forte. Quel momento fu decisivo per “l’incontro” definitivo tra Celoro e il teatro di Viviani. Non mancano le produzioni originali del Celoro scrittore, autore di testi teatrali e di liriche e poemetti.
Nel cinema in alcune interpretazioni la sua maschera acuisce i toni più velenosi della sua voce intensa e inimitabile. In Luna rossa, di Antonio Capuano, interpreta un boss spietato capace, complice anche la raffinatezza della sceneggiatura, di rappresentare la spiritualità gelida e spietata del calcolo criminale. Il Tony Cammarano di Italo Celoro è la ferocia della pantera che fa da sfondo al suo volto oscurato dalla malvagità e dalla brutalità. Celoro, nei panni, di un carnefice mitologico e filosofico, calibra tonalità e musicalità luciferine, grazie alla sua voce ruvida, a tratti musicale, quasi come se entrambi i sessi gli fossero stati registrati dentro per consentirgli di farsi verbo angelico nero e subdolo. Da Cafè express, Scugnizzi e Pacco doppio pacco e contropaccotto di Nanny Loy, passando per L’amore molesto di Mario Martone, fino al monologo del mister ne L’uomo in più di Paolo Sorrentino, gli occhi cangianti di Italo Celoro si fanno sguardo paziente e rabbioso, in una vocalità multiforme e sofferente. La voce, su ogni altra cosa la sua voce inconfondibile.
La recitazione di Italo Celoro mi viene di legarla, quasi a mo’ di motto rappresentativo, proprio ai versi di Raffaele Viviani, dalla poesia Marì…Rafè…
“Chello ca nuie dicennolo
Pruvammo, è cosa nova.
So’ doie parole semplice
Ma ognuna ‘e cheste ‘nchiova”