Berlinale 2016: Concorso e dintorni, previsioni rispettate
Seppure con risultati artisticamente diseguali, le previsioni della vigilia, che volevano un Concorso sotto il segno dell’impegno civile, sono state rispettate. D’altronde, già lo scorso anno l’Orso d’oro era andato a Taxi, girato in clandestinità dal regista iraniano Jafar Panahi e il cui premio fu ritirato dalla piccola protagonista in lacrime, confermando la vocazione “impegnata” del Festival tedesco. Così, dopo l’applaudito film di apertura Hail, Caesar! (Fuori Concorso) di Joel e Ethan Coen, ad aprire la kermesse dei film che si contendono il premio principale (ne sono passati sinora undici su diciotto) è stato il tunisino Hedi dell’esordiente Mohammed Ben Attia: un film onesto ma eccessivamente didascalico che racconta la storia di un giovane tunisino diviso tra un matrimonio combinato e l’amore per una donna più grande ed emancipata in un contesto in cui i giorni della primavera araba sembrano un lontano ricordo.
Sempre in termini di impegno è stato poi il turno del film di Gianfranco Rosi su Lampedusa (di cui abbiamo parlato nei due articoli precedenti. A Fuocoammare si sono poi aggiunti Cartas da guerra, altra opera prima, che porta la firma di Ivo M. Ferreira e che, attraverso il filtro di alcune lettere che un medico invia alla moglie dal fronte, descrive il colonialismo portoghese in Angola ma che si risolve purtroppo in uno sterile e verboso esercizio di stile à la Terrence Malick ma con meno talento, e il bellissimo Death in Sarajevo di Danis Tanović. Girato ai tempi del centenario dello scoppio della prima guerra mondiale, il film del regista bosniaco, tornato ai fasti del folgorante esordio No Man’s Land, è una splendida requisitoria sull’ipocrisia dell’Europa e la distruzione di una possibile comunione tra i diversi Paesi dell’ex-Jugoslavia.
Ad avviso di chi scrive, sia il film di Tanović che Fuocoammare potrebbero dire la loro nel palmarès sebbene, in attesa del nuovo fluviale Lav Diaz (48 minuti la durata del suo film), l’opera forse esteticamente più convincente e affascinante del Concorso vista sinora è stata il meraviglioso Crosscurrent del cinese Yang Chao, storia di un capitano di nave che compie un viaggio di un mese sul fiume Yangtze per compiere un rito religioso in onore del padre appena defunto, ma il cui peregrinare si trasforma nella ricerca della donna ideale e del significato della vita. Film di grande fascino visivo, ricco di immagini ammalianti, ma ostico, criptico, impervio, Crosscurrent è parsa un’opera magnifica che richiede però spettatori attivi.
Delusione invece per Midnight Special del pur bravo Jeff Nichols, che con questa storia di un bambino dotato di poteri speciali, ha realizzato la sua opera più ambiziosa ed allo stesso tempo più derivativa, che guarda al cinema di Spielberg e Carpenter, e strizza l’occhio allo Shyamalan de Il sesto senso, con risultati assai meno efficaci. Assai brutti il tedesco 24 Weeks di Anne Zohra Berrached, storia di una coppia che deve decidere se far nascere il proprio bambino affetto da sindrome di Down, e il canadese Boris sans Béatrice di Denis Côté, storia di un borghese egoista e fedifrago, con moglie depressa e figlia alternativa, che deve fronteggiare i propri sensi di colpa. Infine, buon successo del cinema francese con il buon L’avenir di Mia Hansen-Løve, moglie del grande Olivier Assayas, che vede Isabelle Huppert (favorita per il premio come migliore attrice), nei panni di un’insegnante di filosofia che le circostanze della vita costringono ad interrogarsi sulla differenza tra le teorie scritte nei libri e la vita vera, e soprattutto con l’ottimo Quand on a 17 ans, del veterano André Téchiné, storia del rapporto turbolento tra due ragazzi adolescenti, compagni di classe. Scritto dal regista con Céline Sciamma (Tomboy, Bande des filles), il film conferma la grande perizia del cinema d’Oltralpe nel trattare soggetti con protagonisti giovanissimi e nel raccontare i loro turbamenti negli anni cruciali della formazione e della maturità.
Per le altre sezioni che, a dire il vero abbiamo frequentato molto poco, spiccano l’interessante documentario sulle rovine lasciate nell’uomo e “fotografate” con immagini di grande vigore Homo sapiens di Nikolaus Geyrhalter, e l’ottimo thriller Creepy, magistralmente diretto da un Kiyoshi Kurosawa in gran forma.
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