Berlinale 2016: “A Lullaby to the Sorrowful Mistery” di Lav Diaz
Fare cinema è lavorare con i mezzi dell’arte.
Perciò non esistono limiti o durate da rispettare.
Un film è come una poesia, come la musica.
Un film è come l’Iliade
Lav Diaz
Era uno dei film più attesi dalla critica e non ha deluso le aspettative. Oggi in Concorso alla Berlinale è stata la volta di A Lullaby to te Sorrowful Mistery, il nuovo splendido parto creativo di Lav Diaz, opera fluviale della durata di 485 minuti, la cui proiezione è iniziata alle 09,30 del mattino per concludersi in serata dopo una pausa pranzo di un’ora, al termine della quale la presenza in sala si è inevitabilmente ridotta rimanendo comunque consistente, con gli spettatori (pubblico e stampa insieme) abbagliati dalla bellezza di un film che sarà difficile dimenticare. Ambientato nelle Filippine nel periodo 1896-97, anno della rivoluzione contro il dominio coloniale spagnolo capitanata da Andrés Bonifacio, A Lullaby to te Sorrowful Mistery è un potentissimo affresco storico e allo stesso tempo un racconto morale (e corale) che segue la vicenda di vari personaggi: Gregoria de Jésus, la donna di Andrès che spera di ritrovare il suo eroe, o almeno il suo corpo; Caesaria Bellarmino, che l’aiuta nella ricerca insieme all’anziano Karyo e a Hule, e che deve fare i conti con una terribile colpa da scontare; Simoun, un uomo d’affari che ha tradito i suoi connazionali e traffica con gli spagnoli; Isagani, giovane poeta diviso tra la bellezza dell’arte e la forza della Storia.
Film esplicitamente politico, quindi. Ma non solo. Attraverso un susseguirsi di immagini ipnotiche, con il consueto utilizzo del bianco e nero e lavorando come sempre sulla dilatazione dei tempi, il regista filippino esplora anche i territori del magico e del meraviglioso, immerge le mani ed il cuore nella mitologia e nella religione del suo Paese, ragiona sull’arte “il cui sinonimo non può essere che libertà”, come afferma uno dei personaggi, allarga i suoi orizzonti per mettere in scena uno straziante e sconsolato ritratto dell’essere umano, le cui principali caratteristiche sembrano essere la cupidigia, l’ignavia e la crudeltà.
Durante la conferenza stampa, Lav Diaz ha parlato della lavorazione del film, durata ben diciassette anni, delle difficoltà di far circolare il suo lavoro nel suo Paese, dell’amore per il cinema di Béla Tarr e Andrej Tarkovskij, dei punti di contatto tra il suo cinema e quello di Roberto Rossellini, del quale il regista filippino ha detto di apprezzare l’impegno politico unito all’afflato poetico. A chi gli ha posto la domanda sulla lunghezza, e di conseguenza sul rischio di scarsa fruibilità, delle sue opere il regista, pur mantenendo il suo sorriso smagliante, ha risposto in maniera decisa dicendo: “Per me tutto quel che accade è cinema. Perciò quando giro non mi piace avere vincoli sulla durata di un mio lavoro. Un poeta non decide quanto sarà lunga la poesia che sta scrivendo né un musicista quante note in tutto dovrà avere la sua composizione. Omero non avrebbe certamente ridotto l’Iliade se qualcuno glielo avesse chiesto”.
Rispondendo, poi, ad una nostra domanda relativa al perché avesse inserito una sequenza in cui si vede un vecchio film dei fratelli Lumière che si conclude con l’intervento di tre personaggi che in Lullaby rappresentano la mitologia ed il fantastico, Lav Diaz ha risposto: “In realtà abbiamo riflettuto sul fatto che l’anno della rivoluzione filippina coincideva più o meno con il periodo in cui nasce il cinematografo. La conclusione di quella sequenza pone al centro la questione che probabilmente anche il cinema, a suo modo, costituisce un incantesimo, l’ingresso di un ‘mondo altro’, alternativo alla vita reale”.
Se questo è vero, allora A Lullaby to te Sorrowful Mistery è probabilmente l’incantesimo di questo 66° Concorso della Berlinale, il film nei confronti del quale è difficile sollevare riserve e che, dato il livello piuttosto modesto di molte opere passate nei giorni precedenti, difficilmente la Giuria presieduta da Meryl Streep potrà ignorare nell’assegnazione dei premi. Forse A Lullaby to the Sorrowful Mistery non è l’Iliade ma non è detto che, fra alcuni secoli, quando il cinema avrà il posto che gli compete tra le arti, non lo possa diventare. Forse non è l’Iliade ma è di certo il lavoro grandioso, bigger than life, di uno dei più grandi registi viventi.
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