Intervista a Bledar Hasko sul confine greco-macedone. A Idomeni un’umanità in fuga
Idomeni (in greco Ειδομένη), località conosciuta prima del 1926 col nome di Sechovo, è una frazione del comune di Paionia, dell’unità periferica di Kilkis, nella Macedonia Centrale, in Grecia. In questo momento il confine greco-macedone è tra i luoghi più critici di un’emergenza umanitaria che vede migliaia di persone fuggire dai loro paesi.
Bledar Hasko, giornalista reporter free lance, è stato a Idomeni per documentare quanto avviene su quella linea di confine. Ecco un suo filmato pubblicato su Balcanicaucaso.org Osservatorio Balcani e Caucaso
Da dove vengono queste persone? E dove vanno?
Nel campo di Idomeni la maggioranza è composta da cittadini siriani e iracheni. Una parte è di nazionalità afghana e pachistana. Sono persone che scappano dal loro paese, dalla guerra e dalla miseria. Loro non hanno più una casa. Ce l’avevano ma ora non ce l’hanno più. Ecco perché non torneranno indietro. Non hanno più un posto dove tornare. Vogliono trovare un posto dove ricominciare, dove far crescere i loro figli senza essere costretti a scappare di nuovo. A Idomeni la maggior parte delle persone con cui ho parlato hanno parenti in Germania, in Austria e in altri paesi europei. Vorrebbero raggiungere questi paesi dove avrebbero opportunità di trovare qualche possibilità. Chi nelle loro condizioni non farebbe la stessa cosa?
Il commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha visitato il campo profughi di Idomeni e ha dichiarato che la situazione è tragica e che il meccanismo di trasferimento dei migranti deve cominciare a funzionare immediatamente. Chi deve intervenire? Soprattutto, ci sono le condizioni per sperare in un intervento efficace?
Sono rimasto molto impressionato dall’ospitalità del popolo greco. La provincia di Kilkis, una delle zone più periferiche della Grecia, è un’area rurale poco sviluppata. Ospita migliaia di profughi. Solo a Idomeni sono più di diecimila. Nella prima settimana di marzo il governo greco ha proclamato lo stato d’emergenza. La Grecia è in ginocchio e, nonostante tutto, ha dimostrato tanto. Le stesse ong presenti al campo sono in affanno. Parliamo di Medici Senza Frontiere, Unhcr e altre grandi organizzazioni che lanciano allarmi ogni giorno. L’Europa deve assolutamente avvertire il peso di ogni sofferenza, per poter risolvere la situazione. Tutto deve avvenire prima possibile. In proporzione, una popolazione di quasi 500 milioni di abitanti non può aiutare cinquantamila disperati? Il 30% sono bambini. Purtroppo la questione dei migranti sta diventando merce di scambio. E’ diventato un vero e proprio strumento di potere.
Secondo gli organi di stampa il guado dei fiumi Konska e Suva Reka sta facendo anche alcune vittime. Chi è presente per aiutare queste persone?
Stando alle testimonianze di giornalisti che ho incontrato e che erano lì, pare che un gruppo di volontari abbia aiutato l’attraversamento del fiume montando dei supporti fatti con le corde. Alcuni giornali hanno addirittura parlato dell’utilizzo di volantini in arabo che sarebbero serviti da mappa per i migranti. Al di là di ipotetici clamori mediatici, comprendo chi cerca di correre ai ripari in qualunque modo. Si tratta di un’emergenza. Osservando la situazione da vicino, però, ho potuto riflettere su due aspetti. Camminando tra le tende di Idomeni, vedendo le lunghe file per ottenere viveri, o vedendo persone la sera sistemarsi intorno al fuoco, pensavo che io ho dove tornare. Ho una casa, ho delle persone che mi aspettano. Loro no, loro hanno tutto addosso, si portano tutto dietro. Tutto quello che materializza i ricordi di una vita è stato messo insieme in fretta e furia. Quelle persone hanno parenti e amici dispersi, e per andare avanti possono contare solo su loro stesse.
Fino a che punto tutto può diventare utile e affidabile per queste persone, anche rispetto alle attività delle organizzazioni presenti? Esiste una prudenza del soccorso?
Proprio quello che mi chiedo anch’io. Questi ragazzi che si assumono una responsabilità cosi grande a far passare dei migranti disperati hanno veramente a cuore la situazione o rischiano di rendersi protagonisti dell’ipocrisia di una lotta che sta montando anche tra volontari e autorità. Gli unici a rimetterci sono le persone che per disperazione credono al primo che sembra rendersi disponibile ai loro occhi. Chi agisce in maniera deliberata non capisce che a pagarne le conseguenze sono gli stessi migranti, talvolta caricati su dei camion e portati via, anche con la forza, di nuovo a Idomeni.
La Macedonia ha respinto circa 1500 migranti? È vero che anche alcuni giornalisti non riescono a passare il confine? Cosa avviene davanti alle autorità macedoni?
Centinaia di persone sono state respinte anche con l’uso della violenza. Sembra che la storia non ci abbia insegnato niente. Le persone che qualche anno fa erano medici, avvocati, artigiani, orafi, studenti, alunni, lì, nel campo, diventano numeri. Numeri per la fila dal medico, numeri per la fila per i viveri, numeri per le autorità. Per quanto riguarda l’aspetto dei reporter fermati alla frontiera, si tratta di una procedura normale. Se io passo il confine di un altro stato illegalmente, senza passare dal punto d’ingresso, la legge prevede l’arresto, una multa e un foglio di via, in questo caso di sei mesi. Per quanto riguarda quello che è successo in Macedonia, alcuni giornalisti hanno denunciato azioni violente e comportamenti aggressivi da parte delle autorità macedoni. Questo va condannato. Se una persona, poi, vuole passare legalmente, non c’è alcun problema. A volte i problemi sorgono in situazioni in cui la necessità di dover seguire vicende che si svolgono velocemente impedisce di poter rispettare certe procedure.
Qual è il nemico più grande in questa emergenza?
Il tempo. Non ce n’è più. E’ stato superato il limite. Le persone sono in quelle condizioni da troppo tempo. In secondo luogo, l’uso propagandistico della vicenda dei migranti nei singoli paesi europei non giova alla risoluzione del problema. Le strumentalizzazioni elettorali, il mercato che si nasconde dietro questo problema, tutto rischia di far perdere completamente il senso della realtà. E invece è una realtà tremenda, di un sistema che sta ripetendo in maniera più silenziosa e raffinata azioni terribili già verificate nel secolo appena trascorso. Sono forme di deportazione, deportazioni fredde. Questo un giorno l’Europa lo pagherà a caro prezzo.
E noi?
Chi è privilegiato non deve commettere l’errore di pensare a queste persone come lontane, appartenenti a un’altra realtà, che niente avrebbe a che fare, secondo un’illusione sbagliata, con quella di chi non ha percezione di questo dramma. Allontanare la loro tragedia è sbagliato. Queste persone esistono, e si trovano in campi pieni di fango nel bel mezzo dell’Europa.
Sembra ieri che molte delle popolazioni che oggi si sentono lontane, di un altro mondo, al sicuro da quanto tremendamente provato da chi vive realtà e luoghi assai più angusti e ostili, si siano trovate nelle stesse condizioni di chi adesso fugge perché non ha altra scelta. Fuggire è tra le peggiori condanne. Eppure, gli scenari di morte e di distruzione della guerra ancora tormentano gli incubi di chi ha vissuto quegli anni. Sono ancora vivi quelli che possono raccontarlo. L’Europa ha completamente dimenticato di essersi trovata nelle stesse condizioni di queste persone in fuga da quegli stessi incubi. Esiste un’Europa che professa un cambiamento che essa stessa tende a non perseguire. L’Europa non esiste. “Esistono persone che si trovano in campi pieni di fango.”