Esclusiva – Intervista a David Grieco, autore de “La macchinazione”

“Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”
Pier Paolo Pasolini

Dopo alcune anteprime in tutta Italia, una delle quali ieri al Cinema “Modernissimo” di Napoli, arriva oggi in sala La macchinazione, il film di David Grieco che racconta una verità alternativa sull’assassinio di Pier Paolo Pasolini, una storia antitetica a quella riportata dalle sentenze giudiziarie che vedono Pino Pelosi come unico esecutore del delitto. Il film, tratto dal libro scritto dallo stesso autore e uscito lo scorso anno per i tipi Rizzoli, racconta gli ultimi mesi di vita dell’intellettuale bolognese realizzando un film-inchiesta che strizza l’occhio al thriller. Abbiamo incontrato il regista, che sta facendo una sorta di “tour” per accompagnare il film nel suo percorso nelle sale cinematografiche.

Come nasce La macchinazione? L’impressione è quella di un’idea e di un progetto coltivati per anni.

Sì, certo. Potrei dire che, a livello inconscio, l’idea del libro e poi del film nasce praticamente a dicembre del 1975, un mese dopo l’omicidio di Pasolini. In effetti, la storia che io racconto andava raccontata in realtà immediatamente, quando il corpo di Pier Paolo era ancora caldo. Poi, a decidermi definitivamente è stato l’incontro con Abel Ferrara che mi contattò all’epoca in cui stava pensando al suo Pasolini.

Qual è stato il suo rapporto con Ferrara?

Ero stato incaricato dalla produzione di scrivere la sceneggiatura del film del regista americano. Così, dopo averne parlato con lui e avergli spiegato la mia idea, Ferrara mi ha detto: “David, io non voglio fare una spy-story!”. Ferrara, poi, durante una cena mi disse anche che, pur ammirando Pasolini, bisognava ammettere che lui era in definitiva una persona ricca che comprava corpi, il che non era esattamente quello che pensavo io. Poi mi capitò di vedere il penultimo film di Ferrara, Welcome to New York, la storia di Strauss-Kahn e dei suoi continui incontri sessuali con ragazze giovani, interpretato da Gérard Depardieu praticamente nudo per quasi tutto il film, e questo mi ha convinto definitivamente ad abbandonare il progetto.

Il film, e prima ancora il libro, oltre a raccontare gli ultimi giorni di Pasolini, traccia un quadro inquietante dell’Italia repubblicana.

Se volessimo dire da dove nasce tutto questo, cioè lo stragismo, la P2, Gladio e il connubio politico-mafioso che ha attraversato l’Italia, secondo me bisognerebbe risalire addirittura fino all’8 settembre del 1943, con l’armistizio che sancisce di fatto la fine del potere di Mussolini. In quel momento il nostro Paese si trova con un piede in due staffe, con i tedeschi ex-alleati in casa e con gli Alleati, a fianco dei quali bisognava concludere la guerra. Ecco, questa ambiguità è rimasta in maniera subdola anche negli anni successivi di relativa pace, e sembra che a tutt’oggi vi siano ancora delle scorie e delle incrostazioni dalle quali sia difficile liberarsi.

Perché Pasolini deve morire? Il film e soprattutto il libro ce lo raccontano in maniera approfondita. Però, secondo lei, qual è la causa principale di questa macchinazione: Cefis, i fascisti, la crisi della Democrazia Cristiana con l’avanzata del Partito Comunista?

Vedi, in realtà, come accade un po’ per tutte le storie “nere” di quegli anni, ci sono dei poteri occulti che si mescolano e spesso utilizzano manovalanza più o meno bassa quando nasce un “problema” che è necessario risolvere. Il processo democratico ha sempre fatto fatica ad imporsi veramente qui in Italia. Basta pensare ad un discorso molto citato di Cefis, tenuto in quegli anni all’Accademia di Modena, che sostanzialmente vedeva nella democrazia un pericolo e una cosa da sorpassare. Inoltre, c’è da aggiungere la fondamentale questione del petrolio. Andando di nuovo indietro nel tempo, pochi ricordano (o sanno) che Giacomo Matteotti in realtà non fu ucciso per il suo antifascismo ma perché aveva scoperto che l’Italia stava vendendo il petrolio agli inglesi in cambio di mazzette che alcuni politici avevano intascato. Poi c’è l’omicidio di Enrico Mattei, cui Cefis succederà alla presidenza dell’ENI, poi il libro del misterioso Giorgio Steimetz dal titolo “Questo è Cefis” che mette sotto accusa Cefis e che racconta un intreccio di scatole cinesi in cui è molto difficile districarsi. Il libro scompare dopo 24 ore. E infine il “Petrolio” di Pasolini in cui lo scrittore stava raccontando tutta questa storia. Insomma, in Italia in quegli anni chi toccava il petrolio moriva. E d’altronde i giornalisti Mino Pecorelli e Walter De Mauro furono uccisi per molto meno.

Ho notato che nel film, oltre ad alcuni fatti inoppugnabili, ci sono anche degli elementi di finzione in cui lei si prende qualche “licenza poetica”, forse per tappare qualche buco.

Sì nel film ci sono degli elementi di pura invenzione del film e sono sostanzialmente due. Il primo è la serie di incontri tra Pasolini e Giorgio Steimetz che non ci sono in realtà mai stati. Steimetz è un personaggio la cui identità resta ancora sconosciuta ed è evidente che ormai nessuno saprà mai chi ha scritto “Questo è Cefis” e soprattutto come abbia fatto Pasolini a procurarsene una copia. L’altra invenzione è il fatto che Pelosi stesse girando un film in cui interpretava un giovane che ammazza un omosessuale e fa poi la sua confessione alla polizia da imparare a memoria perché utile “all’occorrenza”. In realtà, se si legge il documento relativo alla confessione di Pelosi la notte del 2 novembre si nota subito che il dattiloscritto mostrava un livello di alfabetizzazione e di perizia del linguaggio che Pelosi non poteva sicuramente possedere. Per questo, altra piccola invenzione, nel film abbiamo supposto che la confessione di Pelosi viene portata in questura già scritta e pronta per la firma ad opera dell’avvocato, interpretato da Tony Laudadio.

Eppure, al di là delle bugie e delle macchinazioni, qualcuno che potrebbe fornire utili dettagli è proprio Pelosi che però si è dimostrato sempre inattendibile. Secondo lei perché ormai Pelosi non dice quello che sa?

Pelosi è una persona che è rimasta suo malgrado ossessionata da Pasolini. Ogni tanto fa qualche comparsata, come è stato nel 2005 quando andò ospite da Franca Leosini a “Ombre sul giallo”, dice delle cose mescolando verità e bugie ma si è sempre dimostrato inattendibile e, nel complesso reticente. Quando andò in TV nel 2005, immediatamente dopo venne aperto un fascicolo, subito chiuso quando si seppe che Pelosi aveva intascato una grossa somma per l’intervista. D’altronde, un amico di Pelosi che si trovava una volta a pranzo a casa sua e a cui lui raccontava alcuni fatti sulla morte di Pasolini, pare abbia raccontato che la madre lo zittì dicendo: “Pino, ricorda che Pasolini è la tua pensione”. Non credo che riusciremo mai a cavare nessuna verità definitiva da Pino Pelosi.

Massimo Ranieri è, dal punto di vista fisico, molto aderente a Pasolini. La sua è stata una scelta immediata?

Beh sì, più o meno. La somiglianza di Massimo Ranieri è impressionante, tanto che lui ogni giorno stava al trucco al massimo dieci minuti, il tempo di una pettinatura. D’altronde, noi ne ridevamo spesso con lo stesso Pasolini. Ranieri, infatti, era già abbastanza conosciuto all’età di 14 anni quando accompagnava Sergio Bruni in tournée e già cantava. Capitava di vedere qualche sua foto e noi prendevamo in giro Pasolini dicendo che forse Massimo era suo figlio. Lui si arrabbiava ma poi era il primo a riconoscere la somiglianza.

Come si è calato nel personaggio?

Le riprese del film sono durate 33 giorni, nel corso dei quali a me è sembrato di lavorare con Pasolini redivivo. Ad un certo punto, stavamo a Villa Borghese su una panchina e ho chiesto a Massimo come si sentisse e lui ha confessato di sentirsi imbambolato. Ecco, il modo in cui l’ha detto e la sua figura fisica in quel momento mi hanno fatto capire che era “diventato” Pier Paolo.

A livello politico, il libro e il film hanno stanno già avendo qualche effetto?

Sì, quello di far nascere una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’omicidio di Pasolini. Il film è stato proiettato qualche giorno fa alla Camera, alla presenza della Presidente Laura Boldrini e del vicepresidente Luigi Di Maio, che si sono mostrati molto sensibili. Ma la cosa che più mi ha colpito è che alcuni magistrati presenti, alcuni dei quali molto autorevoli e uno dei quali sotto scorta da trent’anni, mi hanno detto: “David, è andata proprio così, e lo si è sempre saputo”.

 

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