Cannes 2016: un Ken Loach di ottima annata e l’immenso Neruda di Pablo Larraín

Se si guarda all’aspetto glamour del Festival di Cannes, piuttosto che inseguire gli itinerari più artistici e “d’autore”, l’evento della giornata di ieri è stato Money Monster, quarto film da regista di Jodie Foster interpretato da George Clooney e Julia Roberts che ha avuto una buona accoglienza alla proiezione stampa. C’è stata inoltre l’apertura della sezione “Un Certain Regard” con le proiezioni dell’israeliano Personal Affairs, esordio alla regia di Maha Haj, opera minimalista e graziosa, e di Clash di Mohammed Diab, film egiziano che racconta gli scontri a Il Cairo tra i gruppi contrapposti del partito dei Fratelli Musulmani del deposto Presidente e i sostenitori dell’esercito. Il film, girato a ritmo convulso tutto all’interno di un furgone della polizia, racconta l’impossibile convivenza di fazioni che si odiano con immagini di grande vigore.

La giornata odierna ha regalato invece il primo capolavoro sbarcato alla Croisette, l’immenso Neruda di Pablo Larraín (in concorso alla “Quinzaine des Réalisateurs”) che si conferma uno dei migliori registi della sua generazione. Con questo film, il geniale autore cileno scardina tutte le convenzioni del biopic raccontando la vita del grande poeta, Premio Nobel per la letteratura e senatore all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, costretto alla fuga e alla clandestinità dal governo del Presidente González Videla. Partendo da quanto disse lo stesso Neruda (“Non so quanto ho raccontato della mia vita corrisponde alla verità, e quanto sia invece frutto dell’invenzione e del sogno”) Larraín evita con maestria tutte le trappole del genere inventandosi (letteralmente) una storia in cui la vicenda biografica si trasforma in meta-narrazione e diventa riflessione sulla costruzione del mito e della leggenda relativa a personaggi prestigiosi da additare come esempi per il popolo e destinati all’ammirazione dei posteri. Il regista immagina che sia lo stesso Neruda a inventare la storia che il film viene narrando, delineando il personaggio principale (se stesso) e quelli secondari, e che servirà da esempio imperituro e da antidoto alla disillusione e allo scoramento del popolo. Messinscena raffinatissima e ottime prove di attori per un autore che non smette di stupire.

Risultati immagini per foto daniel blake loachPer quanto riguarda il Concorso, una bella sorpresa (visti gli ultimi esiti non proprio esaltanti) è arrivata da Ken Loach, tornato in grande forma con il bellissimo I, Daniel Blake, storia di un lavoratore quasi sessantenne che, in seguito ad un infarto, viene considerato inabile al lavoro ma la cui infermità non è sufficiente a garantirgli un sussidio, e di una ragazza madre con due figli da mantenere, troppo povera per potersi permettere di vivere a Londra, costretta ad un’emigrazione forzata verso la meno cara Newcastle. Il protagonista eponimo, sorta di esodato made in England, cerca di aiutare la ragazza mentre, al contempo, dal canto suo rischia di finire schiacciato da una burocrazia e da un sistema di welfare sempre più spietati. Sono inoltre già passati (uno ieri ed uno oggi) anche i primi due film del Concorso diretti da registi francesi: Rester vertical di Alain Guiraudie, e Ma Loute di Bruno Dumont, entrambi accolti molto freddamente. Il primo, diretto dall’autore del sopravvalutato Lo sconosciuto del lago, premio per la regia a Cannes nel 2013 nella sezione “Un Certain Regard”, è un’opera spiazzante e volutamente scandalosa (sebbene nel complesso innocua e, per dirla tutta, pretenziosa e inconsistente) che racconta il peregrinare di un regista e la sua personalissima ricerca di idee che lo porta ad una serie di incontri e ad un susseguirsi di situazioni destinate a sfociare in congressi carnali cui Guiraudie vorrebbe probabilmente infondere un senso simbolico e persino politico ma che invece fa scivolare più volte il film nel ridicolo involontario.

Risultati immagini per foto ma louteCocente delusione invece per il film di Dumont, già vincitore a Cannes di due Grand Prix con il bellissimo L’Humanité e con Flandres, rispettivamente nel 1999 e 2006. Interpretato da un cast d’eccezione, tutto rigorosamente d’Oltralpe, formato da Fabrice Luchini, Juliette Binoche e Valeria Bruni TedeschiMa Loute ruota intorno a due famiglie, una borghese e altolocata, l’altra costituita da pescatori, alla relazione tra due giovani delle rispettive famiglie, ad una serie di efferati omicidi i cui autori lo spettatore scopre subito, e a due improbabili investigatori, fisicamente simili a Stan Laurel e Oliver Hardy. Grottesco, pesantemente caricaturale, il film segue la falsariga del precedente lavoro del regista, la miniserie P’tit Quinquin, dimostrando che il tono farsesco e brillante è fuori dalle sue corde. Il gioco infatti diventa presto ripetitivo nella reiterazione di situazioni analoghe e di gag identici l’uno all’altro.

Infine, inserito nel mini-panorama delle “Proiezioni Speciali”, oggi abbiamo potuto ammirare anche Exil, il nuovo bellissimo parto creativo di Rithy Panh, maestro del cinema cambogiano, da anni in esilio in Francia. Il documentario è una riflessione, più che un’indagine, sul significato della parola “rivoluzione”, attraverso citazioni politiche e letterarie (Mao e Robespierre, ma anche Baudelaire) e una magnifica esplosioni di splendide immagini. In sala anche Gianfranco Rosi, fresco vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino, che è stato salutato da Thierry Frémaux, Delegato Generale del Festival.

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