Cannes 2016: lo splendido “Baccalauréat” di Cristian Mungiu. Delusione Dolan
Che Xavier Dolan sia un grande talento nessuno può metterlo in dubbio. Nel 2009, a soli vent’anni, firma J’ai tué ma mère, storia di un contrastato rapporto tra un adolescente, interpretato dallo stesso regista, e sua madre, la bravissima Anne Dorval. All’età di ventisette anni, l’enfant prodige è già al sesto lungometraggio, ha già vinto un Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2014 con Mommy (ex-aequo con Adieu au langage di Jean-Luc Godard). Infine, dei suoi film è anche produttore, sceneggiatore, montatore, talvolta interprete e persino disegnatore dei costumi. Canadese di nascita, è stato praticamente adottato dai francesi e qui in Croisette è quasi un idolo al punto che, nella giornata di ieri, è stato necessario aggiungere un’ulteriore proiezione stampa alle due già previste, in modo da dare a tutti la possibilità di vedere Juste la fin du monde, il suo ultimo lavoro, presentato in Concorso e interpretato da un cast stellare formato da Nathalie Baye, Vincent Cassel, Marion Cotillard e Léa Séydoux.
Peccato allora che il film sia largamente al di sotto delle aspettative e che la storia di questo scrittore che torna nella casa di famiglia dove manca da dodici anni per comunicare ai suoi congiunti che sta per morire sia sicuramente la sua opera meno riuscita. Si sente innanzitutto la difficoltà del regista nel confrontarsi con un testo non suo (la pièce di Jean-Luc Lagarce scritta nel 1990) e il suo disagio nel padroneggiare gli elementi del kammerspiel. Dolan cerca di rivestire di cinema la cornice da “teatro in scatola” ma tutto quello che riesce a realizzare si risolve in un uso massiccio dei primi piani e in qualche uscita dall’appartamento, sede del gioco al massacro tra Louis e i suoi familiari, attraverso dei flashback che qua e là fanno emergere il talento visivo dell’autore ma che, nell’economia del racconto, finiscono per avere una semplice funzione di riempimento e aggiungere poco o nulla al quadro che si viene delineando. Per questa ragione, la speranza è che Dolan possa essere capace nelle prossime prove, a partire già dal prossimo The Death and Life of John F. Donovan interpretato da Jessica Chastain e attualmente in fase di pre-produzione, di sollecitare le giuste corde e di aderire a temi e messinscena a lui più congeniali.
Il secondo film del Concorso che abbiamo invece ammirato stamattina è Bacalauréat di Cristian Mungiu, un regista che conferma la sua statura con un’opera perfettamente compatta e ricchissima di temi. Ambientata in una piccola città della Transilvania, la vicenda ruota attorno al medico Romeo Aldea, che ha organizzato tutto affinché sua figlia Eliza possa trasferirsi nel Regno Unito usufruendo di una borsa di studio che potrà ottenere, però, soltanto al termine dell’ultimo esame che gli garantisca la media-voti necessaria. Ma Eliza viene aggredita da un malvivente proprio il giorno prima di un importante test rischiando di far abbassare il punteggio. Questo evento spinge Romeo a ricercare mezzi poco leciti per ottenere il risultato (che per lui è una vera e propria ossessione) mettendo così in discussione tutti i valori con i quali l’uomo ha allevato la figlia.
Citando Oscar Wilde, verrebbe da dire che si tratta di un film su “l’importanza di essere onesti”. Cosa fare, infatti, quando ci si impegna ad essere retti e giusti e ad agire con correttezza in un contesto dove tutti invece brigano e sono pronti ad accettare mediazioni e compromessi e, anzi, ti spingono a cercare queste strade? Quanto è giusto sentirsi in colpa se si fa qualcosa di disonesto per il bene dei propri figli soprattutto quando si è vissuta la propria gioventù sotto una dittatura che tarpava le esistenze personali e annullava i rapporti umani? Ricchissimo di temi e di personaggi, supportato da una sceneggiatura da manuale, Bacalauréat è senza dubbio uno dei migliori film visti in Concorso e potrebbe dire la sua nel palmarès finale, e chissà che non possa addirittura bissare la Palma d’oro vinta dal regista nel 2007 con l’ottimo 4 mesi, tre settimane, due giorni.
Infine, vale la pena ricordare almeno altre tre opere che hanno impreziosito il programma del Festival nelle ultime ore: After the Storm (Un Certain Regard), il nuovo lieve e sublime film di Kore-eda Hirokazu, storia dei rapporti familiari e comunitari che vede al centro la figura di un detective-scrittore che, dopo la separazione dalla moglie, cerca di riavvicinarsi a lei e di conservare la stima di suo figlio; La Tortue Rouge, film d’animazione, esordio nel lungometraggio di Michael Dudok De Wit (anch’esso in concorso nella sezione “Un Certain Regard”), delicata storia d’amore, coprodotta dallo Studio Ghibli: Le Cancre, la nuova follia dell’indomabile Paul Vecchiali, per la prima volta a Cannes alla veneranda età di 86 anni, il cui film è stato ospitato in una “Séance Spéciale”.
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