Cannes 2016: arriva “The Neon Demon” di Nicolas Winding Refn. E sono fischi
Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia
Lorenzo de’ Medici
Destinato ad essere detestato dai più e amato dai meno, oggi è la giornata di Nicolas Winding Refn e del suo nuovo parto creativo, The Neon Demon, accolto da molti fischi e da silenzi imbarazzati all’anteprima stampa, ma la cui peculiarità estetica troverà i suoi ammiratori, pronti a difenderlo fino alla morte, a definirlo il “film del Festival” o quello dell’anno o del secolo, a seconda del livello di adorazione feticistica verso un autore dalle ambizioni smisurate e sul cui talento non tutti, compreso chi scrive, sono pronti a giurare.
The Neon Demon comincia, in medias res, con l’immagine di una ragazza distesa su un canapè molto chic, la gola tagliata, gli occhi spalancati che guardano nel vuoto. Ma in realtà non è successo nulla: Jesse (una Elle Fanning molto in parte) sta solo posando per un libro fotografico, decisa a conquistare Los Angeles e a penetrare nell’universo della moda. Al termine della posa, Jesse incontra Ruby (Jena Malone) che la aiuta a introdursi nell’ambiente e le presenta le sue amiche, Sarah e Gigi, due bellissime modelle dal corpo rifatto. La bellezza acerba e adolescenziale della ragazza, che ha solo sedici anni, suscita l’invidia e l’ostilità delle altre donne, soprattutto quando Jesse viene loro preferita ad un provino. A livello narrativo non dice molto altro The Neon Demon, dove Refn, autore anche del soggetto e della sceneggiatura (quest’ultima insieme a Mary Laws), si serve di un intreccio ancora più scarnificato del precedente Only God Forgives, con il quale condivide la presenza in Concorso a Cannes e l’accoglienza in sala tutt’altro che trionfale, per dare libero sfogo al suo estro visivo.
Dal punto di vista formale, il film alterna il kitsch più sfrenato con momenti in cui a prevalere è il bianco, il colore del ghiaccio, che sembra rivestire, insieme agli abiti succinti, questi corpi congelati che invidiano la gioventù e la perfezione dell’ancor giovane Jesse. La ragazza viene così a rappresentare, con un simbolismo piuttosto pesante e sin troppo marcato, la bellezza perduta e impossibile da ritrovare, il sogno irraggiungibile di rendere per sempre ammirato lo sguardo che l’altro ci rivolge perché ciò che conta è la crosta esterna e non ciò che essa contiene. Massiccio e assordante è l’impianto sonoro impiegato da Cliff Martinez (collaboratore, tra gli altri, di Steven Soderbergh e autore per Refn anche delle musiche di Drive e Only God Forgives), che ha nel film un ruolo fondamentale, senza il quale The Neon Demon probabilmente perderebbe gran parte della sua ragion d’essere.
Per il resto, ci si muove tra atmosfere horror senza suspense, congressi carnali necrofili, bocche che sputano occhi, felini amanti dei motel, luci psichedeliche, abiti così sgargianti che qualcuno ha ironizzato definendo il film una satira delle serate glamour in scena alla Croisette. Al di là delle diverse opinioni che il film ha suscitato (con forte prevalenza di commenti negativi) non si può negare al regista danese la capacità di fare un cinema molto personale, che può attrarre o respingere, ma che è fedele a se stesso e alla sua idea di cinema, un’idea di cinema che risulta assai discutibile, spesso in bilico sul ridicolo involontario e che somiglia a un enorme e coloratissimo guscio vuoto, entro il quale non si ritrovano ossessioni ma solo una grande vacuità. Per questa ragione, chissà, The Neon Demon non è nient’altro che una metafora del cinema del suo autore.
Vale la pena segnalare allora che, nello stesso giorno in cui viene proiettato The Neon Demon, all’interno delle “Séances Spéciales”, è stato possibile ammirare La mort de Louis XIV, il nuovo film di Albert Serra, grande autore catalano, della stessa generazione di Refn. Il film, interpretato da uno straordinario Jean-Pierre Léaud, condivide con il pur diversissimo The Neon Demon la questione della messa in scena del corpo, delle sue piaghe, delle sue ferite, del suo lento e inesorabile disfacimento. La mort de Louis XIV, infatti, ruota attorno agli ultimi giorni di vita del Re Sole, e ci mostra il suo corpo pesante costretto a letto, in seguito ad un incidente da cavallo, attaccato dalla cancrena, incapace di inghiottire cibo e destinato a diventare un oggetto nelle mani della corte e della servitù diventando anch’esso metafora stavolta straordinaria della putrefazione del Potere.
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