Cannes 2016: Palma d’oro a Ken Loach, sulla Croisette trionfa l’impegno civile
“Un altro mondo non è soltanto una cosa possibile ma anche necessaria”. Dopo i ringraziamenti di rito in francese, Ken Loach ha lanciato il suo sferzante attacco contro il militarismo facendo direttamente riferimento alla Siria e ai nuovi poveri generati da questo conflitto. Tra pochi giorni il regista inglese compirà ottant’anni ma a lui ci si potrebbe rivolgere come fa Robert Redford con Barbra Streisand nel finale di Come eravamo di Sidney Pollack vedendola a fare volantinaggio per strada: “Tu non molli mai, eh?”. Con I, Daniel Blake, Loach racconta un’altra storia di ambiente operaio che ruota attorno ad un lavoratore ammalato, cui i medici proibiscono di lavorare e che lo Stato non considera abbastanza malato da poter ricevere un sussidio. Daniel Blake, il protagonista eponimo, si trova così in un guado, schiacciato tra le fauci di un mostro burocratico, eppure ancora capace di lottare e difendersi, e soprattutto di non incanaglirsi dando, invece, una mano ad una ragazza madre con due figli da mantenere, scaraventata da Londra alla periferia di Newcastle dove la vita è meno cara. È un film molto bello quello che la Giuria, presieduta da George Miller, ha incoronato in questa 69° edizione del Festival di Cannes: un’opera tesa, dura, toccante, uno dei migliori risultati recenti di un autore che, per quanto sempre generoso, aveva perso un po’ il suo smalto. Ora, con questa sua nuova fatica, il cineasta inglese riceve per la seconda volta la Palma d’oro (la prima fu esattamente dieci anni fa con Il vento accarezza l’erba) e, sebbene a livello di messa in scena e di resa artistica I, Daniel Blake non era probabilmente la cosa migliore di un Concorso di livello davvero ottimo, forse questa volta va bene così.
Il Gran Premio della Giuria (questo sì, davvero immeritato) è andato a Xavier Dolan, giovanissimo talento canadese, che la Francia ha praticamente adottato, e che si aggiudica il secondo riconoscimento consecutivo dopo il Premio Speciale della Giuria vinto due anni fa con Mommy. Juste la fin du monde è il sesto e il meno riuscito lavoro di questo enfant prodige, coccolato dalla critica francese. Si tratta di un kammerspiel in cui i membri di una famiglia si sputano addosso tutto il loro livore, in occasione del ritorno a casa, dopo dodici anni, di uno di loro. Di grandissimo livello, invece, il Premio per la regia che è andato ex-aequo a Personal Shopper di Olivier Assayas, una originalissima storia di fantasmi che è in realtà uno straordinario saggio sulla comunicazione ai tempi del 2.0 (il film, molto complesso ma affascinante, è stato molto fischiato alla proiezione stampa), e allo splendido Bacalauréat del rumeno Cristian Mungiu, altro film politico, storia di un medico che fa di tutto affinché sua figlia possa superare un esame universitario necessario per poter andare a studiare all’estero perché nel suo paese non c’è futuro.
Molto sorprendenti, infine, i premi dati agli attori: la Palma a Jaclyn José per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza, un film non più che discreto, ha sorpreso tutti, sia perché c’erano avversarie molto quotate (su tutte la Sonia Braga dell’ottimo Aquarius e la Isabelle Huppert del bellissimo Elle) sia perché in fondo la José ad un certo punto sparisce dal film per rientrarvi solo nella parte finale. Per quanto riguarda, invece, il premio all’attore, la vittoria di Shahab Hosseini per The Salesman di Asghar Farhadi si spiega con l’assenza di avversari veramente competitivi. Il film di Farhadi, che racconta una storia di colpa e castigo nell’Iran odierno con punti di contatto con Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, ha ottenuto, forse con un pizzico di generosità, anche il premio per la sceneggiatura mentre il Premio Speciale della Giuria è andato al prolisso American Honey di Andrea Arnold. Grandi sconfitti i due favoriti della critica: il mediocre (secondo chi scrive) ma acclamatissimo Toni Erdmann di Maren Ade e il sublime Paterson di Jim Jarmusch, probabilmente il migliore in assoluto della competizione, forse troppo sottile per mettere d’accordo la composita Giuria.
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