Venezia 73: apertura con l’incantevole “La La Land” di Damien Chazelle
Gli applausi sono scattati, in maniera a dir poco irrituale, già al termine del primo scatenato numero di musica e danza, sorta di prologo della vicenda che precede il titolo del film ed è ambientato su un’affollatissima autostrada di Los Angeles, in un ingorgo che è sintesi perfetta della situazione vissuta in quel momento dai personaggi principali. Los Angeles, appunto: la città dei sogni e del traffico intenso dove, per citare una vecchia e famosa battuta di Woody Allen, “l’unico progresso consiste nel fatto che puoi girare a destra col semaforo rosso”. La La Land, film d’apertura della 73° Mostra del Cinema di Venezia, in concorso per il Leone d’oro, è il terzo e più maturo film del giovane cineasta americano Damien Chazelle (classe 1985), autore in precedenza del buon esordio Guy and Madeleine on a Park Bench, e del fortunato e sopravvalutato Whiplash, vincitore l’anno scorso di tre premi Oscar.
La La Land, che uscirà nelle sale italiane nel gennaio 2017, racconta la storia d’amore tra Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone). Lui è un pianista jazz che sogna di aprire un locale tutto suo nel luogo dove hanno suonato i grandi musicisti del passato e che ora è diventato un samba-tapas bar, lei è un’aspirante attrice che fa la cameriera in una locanda a due passi dagli Studios hollywoodiani. I due si incoraggiano reciprocamente ma sono tormentati dal solito dilemma tra l’inseguimento dei sogni ed il confronto con la realtà ed i suoi inevitabili fallimenti. La vicenda è scandita dal passare di cinque stagioni, si apre e si chiude circolarmente sull’inverno, anche se a L.A. splende quasi sempre il sole e le auto percorrono i famosi viali fiancheggiati da palme. Certo, è un’immagine vista in decine di altre pellicole, ma in un film che si presenta come un omaggio al cinema del passato, al musical (ma non solo), questo elemento appare come un punto di forza, un proficuo rimestare in un barile pienissimo di leccornie e di vino destinato a non andare mai a male.
Come nel precedente Whiplash, ma in maniera assai più matura, Chazelle mette in scena dei personaggi che cercano un difficile equilibrio tra la vita e l’arte, tra le grandi ambizioni e il rischio della frustrazione, tra la realizzazione dei sogni e i rapporti con le persone amate. Il film è molto bello, girato con sapienza e mano sicura, visivamente ricco ma non sovraccarico, con movimenti di macchina di grande fluidità, ed è recitato con grande impegno dalla coppia di protagonisti (soprattutto una straordinaria Emma Stone, la cui eleganza e grazia bucano lo schermo), che si dimostrano molto affiatati.
Sebbene catalogato con l’etichetta di “musical”, il film lo è in realtà solo in parte, presentandosi invece piuttosto come un dramma, una storia d’amore condita qua e là da alcuni numeri musicali (le belle coreografie sono di Emmy Mandy Moore): omaggiando i classici americani degli anni ’50, occhieggiando al bellissimo Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, La La Land riduce progressivamente le parti cantate e danzate (che ad un certo punto del film spariscono quasi del tutto per riapparire solo nell’emozionante finale) facendole coincidere, con apprezzabile intuizione estetica e poetica, con i momenti del film in cui i sogni hanno il sopravvento sulla realtà.
Con La La Land, inoltre, Chazelle realizza un’opera solo in parte nostalgica: a differenza del recente Ave, Cesare! di Joel e Ethan Coen, che ambientano il loro omaggio a Hollywood nel 1951, egli fa muovere i suoi personaggi nella Los Angeles odierna costruendo intorno a loro un mondo di cartapesta in cui la città californiana è più che mai la “fabbrica dei sogni”, il luogo dove la vita può essere inventata, reinventata, smontata, portata all’indietro o spostata in avanti a proprio piacimento. Perché soltanto il cinema può farti arrivare sino alle stelle, fartele toccare, farti danzare in mezzo ad esse, dentro un cielo la cui bellezza sta proprio nel fatto di non esistere. Per fortuna.
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