Venezia 73: “Piuma” di Roan Johnson, il sogno di planare sulla vita
Sia chiaro: Roan Johnson non ha nessuna colpa avendo girato il suo Piuma, presentato oggi in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, ben prima dell’inizio dell’ignobile campagna del “Fertility Day”, ma qualcuno qui al Lido ha ipotizzato che il film potrebbe essere strumentalizzato per difendere l’operazione voluta dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, titolo di studio diploma di maturità classica. Piuma ruota, infatti, attorno ad una coppia di diciottenni che, ad un passo dagli esami di stato, si ritrova a confrontarsi con una gravidanza inaspettata e accoglie di buon grado le riflessioni di un’estrosa e procace fisioterapista che saluta con gioia il “lieto evento” facendo loro notare che per la donna quella è l’età migliore, non tanto per la fertilità quanto per la migliore capacità di risposta del corpo femminile. Questa, forse, la ragione di quel “VERGOGNA!” urlato da qualcuno al termine della prima delle due proiezioni riservate alla stampa.
Naturalmente, in un Paese come l’Italia è possibile che a qualche talebano di casa nostra venga voglia di trasformare un film così innocuo in una sorta di spot involontario “pro-life” ma è evidente che le intenzioni sono ben altre. In realtà, molto più semplicemente, il tema scelto dall’autore, al terzo lungometraggio dopo I primi della lista e Fino a qui tutto bene, è da ricondurre alla sua recente paternità, con tutte le gioie e il carico di problemi che un evento così destabilizzante porta nella vita di una persona. Piuma, nelle sale italiane dal 20 ottobre, si pone fin dalla scelta del titolo come un’opera leggera, scanzonata, vòlta a stemperare le tensioni e le paure che si accumulano nei momenti in cui la vita arriva ad una svolta così decisiva, specialmente se questo avviene in un’età così acerba in momenti dove si vorrebbe soltanto galleggiare sulla vita e muovercisi dentro liberamente.
Quindi, l’approccio probabilmente più saggio al film è di prenderlo per quello che è: un’opera lieve, priva di seriosità e senza grosse pretese di carattere sociologico. Visto in questa prospettiva il film, inserito in effetti con eccesso di generosità in Concorso, appare carino, brillante, non manca di momenti divertenti, talvolta esilaranti, sprigiona energia, entusiasmo e voglia di divertire anche se ha il respiro inevitabilmente corto ed un’ultima parte assai poco riuscita che affastella una serie di soluzioni improbabili e inattendibili nella quale si ravvisa più di una ridondanza. In particolare, senza volere anticipare nulla, diremo che non ci ha convinto (e non ci è piaciuta) l’idea di duplicare il “lieto evento” e di risolvere il tutto in una maniera decisamente superficiale e frettolosa.
Se Piuma è un film troppo esile per un Concorso come Venezia, lascia invece a dir poco interdetti la scelta di relegare Fuori Concorso il bellissimo Monte di Amir Naderi, l’autore iraniano che oggi ha ricevuto il Premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Filmmaker. Interpretato da attori italiani e ambientato nel tardo Medioevo, il film è una co-produzione tra Italia, Usa e Francia e racconta le vicende di una famiglia che cerca di restare fedele alle proprie radici lottando contro tutte le coercizioni, qui simboleggiate da un’enorme montagna che impedisce di vedere il sole. Visivamente abbagliante, affascinante ma ostico, Monte è un’opera preziosa e fuori dagli schemi che richiede spettatori attivi ed è destinato ad essere probabilmente la migliore produzione italiana presente in questi giorni al Lido.
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