Venezia 73. “Jackie” di Pablo Larraín: la morte di Re Artù

“Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini”. Così scriveva nel 1932 Louis-Ferdinand Céline in Viaggio al termine della notte, uno dei più grandi romanzi della storia della letteratura del ‘900. Il 22 novembre 1963, a Dallas, John F. Kennedy viene ucciso mentre percorre la Dealey Plaza a bordo dell’automobile presidenziale. Seduta accanto a lui c’è sua moglie Jacqueline Bouvier Onassis, che rimane illesa e sul cui grembo crolla il corpo esanime del Presidente degli Stati Uniti d’America. Da quel giorno, l’assassinio entra di diritto nei libri di storia mentre pochi si preoccupano della sorte di “Jackie” che, dopo aver già perso due figli, diventa vedova del suo Jack (come ella chiamava affettuosamente il marito) alla giovane età di trentaquattro anni.

Risultati immagini per jackie larrain foto fotoIl nuovo film di Pablo Larraín, tra i favoriti per il Leone d’Oro, ruota attorno ai quattro giorni successivi al tragico evento che colpì la donna e che la costrinse a misurarsi con il peso di un dolore così destabilizzante. Alla complessa gestione del terribile trauma si sovrappongono gli obblighi e le necessità connesse al ruolo e la complessa gestione dei rapporti con la stampa, insieme all’organizzazione dei funerali e all’accoglienza dei capi di Stato (103) accorsi da tutto il mondo per dare l’ultimo saluto all’uomo più influente del mondo. Il cineasta cileno, per la prima volta in trasferta negli Stati Uniti, ricostruisce quei momenti cruciali nella vita di Jacqueline utilizzando la struttura del biopic, uno dei generi più in voga ad Hollywood, ma riesce a mantenere la propria coerenza artistica facendo di Jackie la continuazione ideale del suo discorso su realtà, mito e rappresentazione, già iniziato con il suo precedente capolavoro Neruda (del quale ci siamo occupati in un precedente contributo. Larraín, infatti, scompagina le carte mescolando immagini (finto) documentarie e fiction e, soprattutto, trova il suo punto di forza nella rinuncia alla linearità della narrazione. Il regista ci racconta la sua eroina, riprendendola e “sorprendendola” in tutta la sua fragilità, attraverso il rapporto e le conversazioni con altri personaggi e alternando il presente con il passato. Jacqueline Onassis viene fuori come qualcuno che non può vivere il suo lutto come tutti gli altri: il suo ruolo e il suo status di first lady (sebbene ancora per poco) la obbligano a dividere i due piani della realtà e della rappresentazione mediatica.

Se quindi, nel chiuso delle stanze della Casa Bianca la signora Kennedy, interpretata da una bravissima Natalie Portman, può ridiventare Jackie, svestire il tailleur ancora sporco di sangue e abbandonarsi alle lacrime, lo stesso non potrà essere durante i solenni funerali previsti di lì a qualche giorno quando tutto il mondo la vedrà marciare in diretta TV dietro il feretro di suo marito. Questi sono purtroppo gli inconvenienti del Potere: complice lo sviluppo massiccio della televisione, un funerale sta per diventare l’evento mediatico più importante e seguito della storia recente, trasformando un fatto privato in un vero e proprio spettacolo. Inoltre, la brillante sceneggiatura di Noah Oppenheim inserisce in Jackie un altro importante elemento: il rimando alle vicende di Re Artù. In una sequenza memorabile Jackie si muove tra i saloni del suo “castello” ascoltando un disco dal titolo Camelot che suo marito era solito ascoltare con lei ogni sera prima di andare a letto. Il testo parla, tra le altre cose, della ricerca di un “barlume di gloria” capace, alla fine, di dare senso a tutto. La sequenza si conclude con Jackie seduta, il viso rigato di lacrime, sulla poltrona presidenziale: l’identificazione con il marito ha toccato il punto più alto possibile mentre lo spettatore può comprendere come il Mito si palesi come unico punto di fuga dalla violenza della Storia. Per questo, la regina ferita deve far posto, nell’immaginario collettivo, alla dama fiera, altera, ricolma di dignità nella sua ultima passeggiata con il sovrano defunto, il suo Re Artù, bramoso e bisognoso del suo “barlume di gloria”. D’altronde le favole, si sa, sono meglio della realtà perché hanno il lieto fine e perciò il pubblico le ascolterà volentieri.

RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!