L’affollato deserto di The last man on Earth

Per entrare subito nel clima di The last man on Earth, bisogna ricorrere a delle figure simboliche che con vivacità e sintesi rendono il senso di tutto il racconto. Immaginate gli invitati di una festa sfrenata, ad alto tasso di bagordi, che si ritrovano al mattino tutti stropicciati a elemosinare un caffè tra mal di testa, imbarazzo e una comune, irrimediabile perdita di dignità.

Immaginate anche un gruppo di adolescenti avidi di ottundimento, lasciati senza guinzaglio in salotto dopo che gli adulti siano andati via per un viaggio di lunga permanenza.

Ecco, se siete colti da una vaga tristezza in cui si mischiano insieme pena e preoccupazione, avete colto l’essenza di The Last Man on Earth, lo show del 2015 scritto e interpretato per la Fox dall’attore statunitense Will Forte.

L’idea vincente di questa commedia è di affondare le mani nel tema sempre affascinante dell’estinzione della razza umana, spogliandolo di ogni angosciosa nota esistenziale e restituendolo alla qualità più diffusa della specie scomparsa: la cialtroneria.

Il protagonista, sin dalle prime inquadrature, non si presenta affatto come una cima. Phil Miller è vagamente consapevole dell’evento a cui è scampato, coltiva l’hobby di sguazzare in vasche di alcoolici che beve in sede, la migliore cognizione che ha in termini di igiene e idraulica è riempire una piscina dei propri bisogni (col tempo, più piscine).

Phil Miller è, a tutti gli effetti, un cretino. Per sfortuna, sembra che sia anche l’unico sopravvissuto al morbo che ha sterminato tutti i terrestri, una catastrofe di cui non vediamo tracce se non i solitari panorami di un mondo trasformato in un vuoto a perdere.

Nel corso della prima puntata introduttiva scopriamo che il personaggio è solo, tanto da moltiplicare il “Mister Wilson” di Castaway in una comitiva di palloni disegnati, è privo di scopi che non siano vandalizzare l’ambiente nei modi più fantasiosi, infine è drammaticamente allupato e le sue prospettive di incontro non sono carnali ma cartacee, trattandosi di pile e pile di giornali porno.

Rispetto alle apocalissi di Shiel e di Mc Carthy, all’Homo Faber del passato si è sostituito l’Homo Futilis del presente. Phil non costruisce niente (al massimo scassa), entra a cercare cibo nei supermarket di Tucson sfondandoli con l’auto, inventa elaborati giochi distruttivi per sbeffeggiare architettura, arte e tecnologia, e al culmine di questo delirio un po’ statico, decide di togliersi la vita.

Sorte vuole che, un attimo prima del gesto fatale, il poveretto scopra l’esistenza di un’altro sopravvissuto, per giunta di sesso femminile. L’unico neo è che questa donna non è una donna, è Carol.

Con Carol Philbasian, la straordinaria Kristen Schaal porta in scena la partner più racchia, sciroccata e ossessionante che l’umanità abbia mai prodotto. La vita di Phil, quindi, inizia a complicarsi per lo spasso degli spettatori, che vedranno la serie prendere il volo arricchendosi di nuovi personaggi e conseguenti intrecci slapstick.

La brama erotica di Phil, già frustrata da una compagna grottesca e bacchettona, diventa parossistica col tardivo sopraggiungere della bella Melissa Chartres (una solare January Jones), subito concupita in modo subdolo e fallimentare. Come se non bastasse, al trio già poco equilibrato si aggiunge la venuta di Todd, tenero e adorabile omaccione interpretato da Mel Rodriguez, che senza volere insidia il ruolo dell’unico maschio del branco.

Il leit-motiv della prima stagione, la più fresca e divertente, si basa tutta sui difficili rapporti dello sgangherato gruppo di sopravvissuti, in cui le macchinazioni demenziali di Phil lo portano a infiniti gradi di umiliazione, sempre causata della satiriasi e dal desiderio di protagonismo. Il parterre di superstiti si arricchisce di altre donne, Erica (Cleopatra Coleman) e Gail (Mary Steenburgen) e vede la definiva Caporetto con l’arrivo di un omonimo Phil Miller, prestante e carismatico appaltatore dal volto di Boris Kodjoie che scipperà a Phil il nome e la leadership. Da questo punto in poi, nel corso di tre stagioni il meccanismo comico non risparmierà all’ultimo uomo disonori di tutti i tipi, dal dover assumere il proprio secondo nome Tandy, a subire la rasatura a metà viso di barba e capelli, alle finte sopracciglia alla Groucho appioppategli da Carol per restituirgli espressività.

Le figure che bazzicano da Tucson a Malibu questa esilarante fine del mondo, tra decessi improvvisi e nuovi arrivi, tentativi di natalità e sbronze colossali, vivranno una condizione di eterna vacanza perdendo ogni decoro o parvenza di raziocinio. Un infantilismo in cui disgrazia e salvezza fanno pace tra loro.

Il maestro di cerimonie Will Forte è un perfetto pagliaccio dai risvolti umani, così come la Schaal rivela a sorpresa genuine e insospettabili doti di buon senso nella sua Carol. Rodriguez è un Oliver Hardy in salsa ispanica di grande simpatia, mentre l’affacciarsi all’universo ristretto della comunità sul mare permette agli attori brillanti Jason Sudeikis e Will Ferrell di ritagliarsi dei godibili ruoli cameo.

La terza stagione in corso continua a rimescolare le carte della sit-com, esplorando paure e paranoie dei sopravvissuti, e rilancia l’azione aprendola a uno sviluppo on the road da cui ci si può aspettare molte sorprese. Quali saranno i prossimi sconquassi, i danni e le figuracce a cui assisteremo? Niente di preoccupante si spera. A giudicare dalle guerre e i disastri della gestione precedente, finché se ne occuperà la banda di Phil e compagni, il mondo resta ancora in ottime mani.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!