Battisti, Macchina del tempo
di Alfonso Tramontano Guerritore
Giurammo più volte che quella sera nessuno aveva detto una parola. Nè un segreto o un pettegolezzo. Ciao. No. Ci eravamo guardati a vicenda fino a molte ore dopo la mezzanotte, rimuginando sugli odori dispersi nell’aria in mezzo a noi, versando il vino e bevendo, toccandoci le labbra, tenendo le unghie sotto la pelle, ritratte per il nervoso e per l’impazienza. Inizialmente non volevamo tacere. Era un modo per prendere tempo. Fin quando riuscimmo a disperdere l’energia poco alla volta, naturalmente. Diffondemmo parti di noi nell’aria senza intenzione. Temevamo di esplodere, è vero, ma qualcosa di simile agli effetti benefici di uno stupefacente produsse uno spazio che risolse la tensione. Era una stanza immaginaria dove non mancava niente. La paura, che aveva preso posizione dal primo momento, si stancò, per poi distrarsi e guardare, anche lei, presa da quella forma di silenzio. Non ci servivano frasi né voci. A un certo punto riuscivamo a vederci, attraverso gli strati, dai vestiti all’intimo, fino alla pelle e alle ossa, spogliandoci senza sforzo. I contorni si perdevano con naturalezza. Il fondale e i corpi, le cose e lo sfondo coincisero. Era tutto bianco.