“Cronache dal presepe” – Joyeux Noël di Christian Carion: per un Natale senza ostilità
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
Fabrizio De André, “La guerra di Piero”
Nel dicembre dell’anno scorso, esattamente un anno fa, vennero distribuiti nelle sale italiane due film che, sebbene diversi per nazionalità, stile e idea di messinscena che gli era sottesa, erano destinati inevitabilmente a dialogare tra loro. Si tratta de Il ponte delle spie di Steven Spielberg, e Francofonia del maestro russo Aleksandr Sokurov, uno dei massimi registi viventi.
Il primo film, ambientato negli anni della “guerra fredda”, racconta della cattura di una spia russa da parte degli americani, cui seguì quella di un pilota americano sorpreso a fare fotografie aeree durante un volo nei cieli dell’Unione Sovietica, e della conseguente trattativa condotta da un valente avvocato (interpretato da Tom Hanks) che portò allo scambio di prigionieri e consentì anche la liberazione di uno studente statunitense arrestato a Berlino. Il film è anche, sotterraneamente, la storia dell’amicizia virile, dettata dalla reciproca stima, tra l’avvocato americano e la spia sovietica, entrambi stoiki mugik, cioè uomini tutti d’un pezzo. Il film di Sokurov racconta invece del salvataggio e della preservazione delle opere d’arte custodite all’interno del Museo del Louvre di Parigi quando, durante l’occupazione nazista della Francia, la collaborazione tra l’ufficiale e storico d’arte tedesco Franziskus Wolff-Metternich e Jacques Jaujard, allora Direttore dello storico museo, salvò dalla distruzione molti capolavori artistici grazie al principio del “rispetto verso l’arte del nemico”.
Entrambi questi film, come si vede, descrivono il coraggio e l’abilità di individui singoli che, in barba alla “ragion di Stato” e ai principi di Realpolitik dei rispettivi Paesi, riescono a combattere e a vincere una battaglia di umanità in mezzo alla barbarie della guerra, armata o “fredda” che sia. Nel film di cui ci occupiamo oggi, Joyeux Noël, presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes del 2005, avviene qualcosa di ancora più radicale: allo scoppio della Grande Guerra 1914-18, durante il primo Natale di combattimenti, alcuni membri delle truppe tedesche, britanniche e francesi sospesero le ostilità, dando vita ad un “cessate il fuoco” non ufficiale. Ad un certo momento –mostra il film – i soldati uscirono dalle trincee intonando alcuni canti dei rispettivi Paesi arrivando addirittura a scambiarsi dei regali. La vicenda raccontata dal film del francese Christian Carion avrebbe dell’incredibile se non fosse dimostrata dalle testimonianze dei numerosi presenti, all’epoca protagonisti dei fatti, e persino ricordata in qualche libro di Storia, oltre che da numerosi articoli di giornale (tardivi in virtù di una collettiva autocensura) dove l’episodio venne definito “Tregua di Natale”.
Per scaldarsi, in mezzo alla neve sul fronte occidentale, le truppe ricorsero, oltre che al liquore, anche ad una improvvisata partita di calcio nella quale ovviamente non vi furono né vincitori né vinti o, forse meglio, furono tutti vincitori.
Non si tratta di un film dalla fattura pregevolissima, ma di un’opera a suo modo importante perché ricorda un episodio che, come si può immaginare, gli alti comandi militari tentarono in tutti i modi di nascondere ed insabbiare. Sebbene la vicenda sia raccontata in maniera probabilmente un po’ edulcorata, il film ha il merito di evitare le trappole del buonismo e di farsi portavoce di un pacifismo schietto, essenziale e autentico. Che cosa scattò nella mente e nel cuore di decine di soldati in quella circostanza? Probabilmente la consapevolezza di essere lì per volere di qualcun altro o, più semplicemente, un bisogno di calore umano. Ma più di tutto, certamente vi fu il riconoscimento dell’Altro non più come nemico, ma come simile e fratello.
Qualcosa di analogo veniva mostrato nel finale di Orizzonti di gloria, il capolavoro pacifista diretto da Stanley Kubrick nel 1957: in questa sequenza alcuni soldati francesi si commuovono ascoltando una canzone intonata da una ragazza tedesca e ritrovano così, almeno per alcuni minuti, la propria anima. Nel film di Carion, la scena della fraternizzazione è molto più lunga e occupa praticamente tutta la seconda parte del film, indugiando a descrivere le differenti vite dei protagonisti, ciascuno dei quali è ovviamente portatore di una sua storia personale. Nei vari colloqui che si svolgono dietro le trincee, si vede come quei soldati si dimostrino capaci di riconoscersi come veri uomini e di provare uno dei sentimenti umani più nobili e profondi: l’empatia.
Perché forse (non ne siamo certi ma non possiamo fare a meno di auspicarlo) qualsiasi essere umano, di qualsiasi razza sia e in qualunque latitudine si trovi, possiede dentro di sé quella scintilla, quella intuizione filosofico-esistenziale che lo spinge a mettere in pratica in maniera naturale il seguente grande precetto del poeta americano Henry Wadsworth Longfellow: “Se potessimo leggere la storia segreta dei nostri nemici, noi troveremmo nella vita di ciascuno dispiaceri e sofferenze tali da disarmare tutta la nostra ostilità”.
A tutti, di cuore, l’augurio di un Natale senza ostilità.
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