“Il Cliente” di Asghar Farhadi: mettere in scena Arthur Miller a Teheran
Dobbiamo perdonare i nostri nemici, ma non prima di impiccarli.
(Heinrich Heine)
Quando il loro appartamento è a rischio crollo Emad e Rana, una coppia di attori di teatro, impegnata nella messinscena di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, è costretta a traslocare. Un amico li aiuta a trovare un nuovo alloggio nascondendo loro, però, che il precedente inquilino era una donna di facili costumi. Questa omissione sarà all’origine di un grave incidente, destinato a sconvolgere la loro vita…
Dopo la trasferta francese de Il passato (2013), vincitore a Cannes del Premio per la migliore interpretazione femminile per Bérénice Bejo, Asghar Farhadi torna a girare in Iran. Il ritorno in patria del premiatissimo autore di Una Separazione (2011), vincitore dell’Orso d’oro a Berlino e dell’Oscar come Miglior Film Straniero, non coincide tuttavia con un’opera politica tout court per proseguire invece lo scandaglio di un universo morale complesso attraverso un’opera che, pur trattando molti temi, resta miracolosamente in equilibrio senza perdere mai di vista la molteplicità degli obiettivi che si propone di affrontare. È singolare che il film sia stato presentato in Concorso all’ultimo Festival di Cannes con il titolo inglese The Salesman (il venditore) per poi trasformarsi, nell’edizione francese e in quella italiana, ne Il Cliente, adottando cioè un titolo esattamente opposto a quello con il quale era approdato sulla Croisette. Questa circostanza, che va certamente ridimensionata a mera curiosità, è però interessante per indagare il costante gioco di specchi, il continuo dualismo che percorre il film dall’inizio alla fine, e che sembra a chi scrive il punto centrale e imprescindibile di qualsiasi analisi, a partire ovviamente dal binomio Teatro/Vita, con l’alternanza e persino la confusione tra realtà e rappresentazione.
D’altronde, il mondo delle scene è tutt’altro che estraneo al regista che si è laureato in teatro all’Università di Teheran alla fine degli anni ‘90. Emad e Rana sono impegnati, come detto, in un adattamento del classico di Arthur Miller ma il loro appartamento diventerà nella seconda, serratissima parte del film, una sorta di teatro a porte chiuse, di palcoscenico senza spettatori, di luogo della resa dei conti tra Emad e il suo rivale (significativo, in questo senso, il dettaglio di Emad che alla fine spegne le luci come al termine di una prova o di uno spettacolo). Gli stessi protagonisti del film sono costretti dalle circostanze a cambiare continuamente di ruolo: la vittima si trasforma in carnefice e viceversa, la donna cólta e borghese viene scambiata per prostituta, l’uomo ferito dalla violenza fatta alla moglie viene egli stesso accusato di molestie (la scena del taxi), l’artista si trasforma in aguzzino, l’uomo si trasforma in bestia (come preannunciato dalla domanda di uno studente durante una delle lezioni di Emad, che è anche un insegnante), la casa si trasforma da tranquillo focolare domestico a territorio pieno di insidie e di pericoli.
In questo senso, Il Cliente è servito da un’ottima sceneggiatura (firmata dallo stesso Farhadi), perfettamente calibrata sia nel disegno dei personaggi che nella costruzione drammaturgica, e perciò giustamente premiata a Cannes insieme alla performance del protagonista maschile Shahab Hosseini.
Il merito principale dello script sta probabilmente in questa capacità di capovolgimento e di stravolgimento di fatti e situazioni che obbliga lo spettatore a cambiare ripetutamente punto di vista, ad alternare la sua empatia e a comprendere in profondità anche gli istinti più meschini se a questi ci si contrappone con comportamenti dispotici che collimano col sadismo. L’ambientazione iraniana dunque, come si diceva sopra, mette la sordina alla dimensione della denuncia politica esplicita consentendo al racconto di schivare le trappole del film a tesi: i riferimenti all’attualità iraniana compaiono infatti solo in un paio di momenti: quando i due attori devono adattare il testo alle indicazioni della censura e quando Emad osserva dalla terrazza del nuovo appartamento il paesaggio brulicante di case, in un’urbanizzazione selvaggia che non doveva essere molto diversa – secondo quanto dichiarato dal regista a Cannes durante la conferenza stampa – dalla rapida modernizzazione raccontata da Arthur Miller nella sua pièce.
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