Acquarelli per Dino Buzzati – “La fortezza del deserto”
La fortezza del deserto
L’eterna attesa arruola tutti nella sua contraddittoria marcia immobile. Ha decorato con un pugno di sabbia i fieri soldati della fortezza Bastiani e quelli ancora insistono a restare sugli spalti, aguzzi, affilati e bellicosi, ad attendere i Tartari che prima o poi si riverseranno dall’ignoto confine. Attendono la guerra che li farà eroi, attendono pazienti che gli anni mandino un viatico da quell’orizzonte inafferrabile. Sono come fantasmi di ambizioni, confusi nei rituali sempre uguali del giornale, scanditi dalle notti del cronista prigioniero degli infernali meccanismi a orologeria della metropoli.
Nello spoglio scenario del deserto il buio porta strane presenze che spuntano misteriose dalle nebbie. Gli occhi della vedetta scivolano sulle rocce per spiare l’agitarsi di erbe secche e desideri. Sarà forse più reale il lamento insonne del gufo, o quel drappello immaginato che si muove fra le brume nelle ore piene di noia? Il sogno si fa strada nella realtà per fare da padrone sulle sue ombre, ed è un vecchio gioco delle tre carte, un trucco con cui Buzzati tiene banco cambiando di posto ai simboli e le cose.
Il vero e il falso si sposano in un grigio melange e, travestiti da presagi, turbano gli animi inquieti sotto le divise. E intanto, nella solitudine degli uomini che sperano in una mano vincente del destino, l’ansia di chiudere la scena con gli onori di una morte gloriosa va scolorendo quanto i visi degli amici persi di vista o la città, che pare lontana anche dai ricordi. Col trascorrere dei giorni, i giovani ufficiali che fremevano sui propri cavalli, così nervosi, audaci, diventano parte del paesaggio che si sgretola, senza vedere in volto il vero nemico che poco alla volta li sta fiaccando, più subdolo e mortale di una sciabolata.
Le illusioni si rinnovano ogni mattino con sempre meno convinzione. Nei gesti ripetuti, nelle abitudini sedimentate, il tempo ladro e assassino logora i corpi e smorza il filo delle spade, rigirando le vite dei soldati nella ruota delle regole partorite da un nulla senza segni. E’ lui, il tempo, il vero vincitore, il nemico che consuma gli uomini, che brucia le ore dello scrittore sdraiato a occhi aperti nella notte, come il tenente Drogo che resta ad ascoltare l’aritmico sgocciolio di una caldaia in una stanza che inscatola il suo corpo e tutta la sua giornata.
La fortezza del deserto lotta passivamente col proprio avversario e perde. E come lei il paesaggio sordo e insensato alimenta la speranza di una risposta dei militari sempre all’erta. Sempre pronti. Buzzati guarda le maestose montagne lontane, poi guarda i soldatini e pessimisticamente scuote la testa.
Materiali e riferimenti bibliografici:
Il deserto dei Tartari – romanzo, Rizzoli 1940