Le molte morti di John Hurt

Nel corso della sua lunga carriera cinematografica il personaggio interpretato da John Hurt è morto quaranta volte (a cominciare dal primo film, The Wild and the Willing del 1962), come informava un collage di sequenze realizzato pubblicato da uno youtuber nel 2012, con un umorismo macabro che può apparire inappropriato oggi, ma che probabilmente sarebbe piaciuto a questo personaggio istrionico che ha fatto la storia, prima che del cinema internazionale, del teatro inglese. Come probabilmente gli piacerebbe il meme in cui il temibile alieno xenomorfo saluta con cordoglio la sua prima, storica vittima. Forte di questa autoironia tipicamente inglese, Hurt in “Balle Spaziali” arrivò a parodiare la celebre scena di Alien che fuoriesce dal suo torace uccidendolo (e infatti esclama: “Oh, no, not again!”). Evidentemente per nulla affetto da quell’insofferenza che altri prestigiosi attori inglesi hanno sviluppato verso i ruoli interpretati in grandi successi commerciali, spesso in classici della fantascienza cinematografica, e la conseguente popolarità (vedi il rapporto tra Alec Guinness e Obi Wan Kenobi, o anche quello di Christopher Lee con Dracula).

Peraltro, nella sua quasi sessantennale carriera cinematografica, pur attraversando praticamente tutti i generi, dal film storico in costume alla denuncia sociale, dall’epopea dell’Impero Romano al western, questo grandissimo artista ha sempre assiduamente frequentato i territori della narrazione fantastica. Non disdegnando puntate nell’horror (per esempio con un ruolo minimale ma comunque incisivo nel dignitoso The Skeleton Key), e le partecipazioni a saghe cinematografiche di ieri e di oggi (dal ciclo di Indiana Jones a quello di Harry Potter) sebbene sia proprio la fantascienza il campo in cui probabilmente ha potuto ritagliarsi i ruoli più incisivi e significativi nel campo della narrazione “d’intrattenimento” (da menzionare anche la rivisitazione in chiave futuristica di Frankenstein diretta da Roger Corman negli anni ’90). Genere in cui del resto poteva realizzare con più frequenza una continuità con i leitmotiv di buona parte della sua produzione cinematografica più “impegnata”. Manifestando, soprattutto nella fantascienza distopica, un istrionico gusto per i ruoli antitetici (ha interpretato sia il cittadino ribelle Smith nella trasposizione cinematografica di 1984 che il cancelliere Adam Sutler nell’Inghilterra totalitaria di V per Vendetta). Non a caso spesso in opere che parlano di distopie totalitarie, quasi un parallelo futuribile alle tematiche di tanta parte della cinematografia che invece spesso ha documentato gli orrori totalitari e repressivi del passato e del presente.

Dal classico Fuga di mezzanotte, opera passata alla storia anche per la sua caratterizzazione del carcerato tossicodipendente nell’abisso infernale del carcere turco, al tribolato capolavoro di Michael Cimino, I Cancelli del Cielo, che documenta le tensioni etniche e sociali dell’America di fine Ottocento, ai numerosi drammi bellici interpretati, molti sulla pagina dolorosa del secondo conflitto mondiale. Ma anche inferni molto più intimisti, come quello del suo magistrale Elepahnt Man, una storia di emarginazione e solitudine umana nella Londra vittoriana.

Celebrare in poche righe una carriera artistica lunga e importante come quella di John Hurt è comunque impossibile, e in questa sede possiamo solo accennare in minima parte alla sua prestigiosa carriera di attore di teatro shakespeariano. Una prestigiosa carriera teatrale iniziata a vent’anni a Londra, superando finalmente i divieti familiari (aveva questo sogno dall’età di nove anni). Possiamo solo salutare con affetto e gratitudine questo artista di vecchio stampo ma profondamente radicato nella cultura pop contemporanea. Morto tante volte sul palcoscenico del teatro, o davanti alla cinepresa, ci auguriamo che abbia accolto anche la morte vera con il suo indimenticabile e aristocratico humor. E di averla così giocata, ben sapendo di essere immortale nel ricordo e nei cuori di tutti noi.

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