Un Penny Dreadful per i tuoi pensieri
La prima impressione che può suscitare la sinossi di Penny Dreadful rischia di non essere tra le più lusinghiere. Chi ha dimestichezza col fumetto ravviserà di certo un’assonanza con il plot alla base de La lega dei gentiluomini straordinari di Alan Moore, mentre altri potrebbero immaginare che si tratti di una riproposizione aggiornata delle parate di star dell’orrore in stile Universal film. Niente di più sbagliato. Prima ancora di sbirciare tra i crediti di produzione, che vedono coinvolti John Logan e Sam Mendes, basta dare uno sguardo alla sequenza d’inizio del primo episodio Lavoro notturno per restare spiazzati e presi al laccio dal suo robusto mix di realismo e scurissimo gusto del macabro.
Penny Dreadful attinge all’ampio bacino degli incubi vittoriani, già di per sé colorato e fantasioso, moltiplicandone la portata e mettendoli insieme in un piano d’azione comune, coerente, fortemente strutturato, in una serie in cui l’intrattenimento si intreccia a un colto discorso citazionistico, i cui risvolti sono psicologici, sociali, filosofici e religiosi. Non è solo grazie alle pennellate di poesia di Shelley, Tennyson o John Clare che le vicende di Penny Dreadful si caricano di spessore, ma per un intenzionale concerto di elementi ben combinati che associano la regia di sapore cinematografico, le sceneggiature dai dialoghi mai scontati e l’intensità delle prove d’attore (Eva Green in testa) che danno corpo e vita al racconto.
La co-produzione anglo-americana della Showtime (già produttrice di Poltergeist e Dexter) e Sky vara la serie agli inizi di maggio 2014, con una prima stagione composta da 8 episodi che terminano il 29 giugno 2014. Lo spirito della storia è racchiuso nel titolo, vezzosamente fuorviante, che rimanda alle omonime pubblicazioni sensazionalistiche e popolari in voga nell’Inghilterra del 19° secolo. Naturalmente, l’obbiettivo degli autori è molto più sofisticato di questi antenati dei pulp-magazines, condividendone invece l’ambientazione carica di ombre e contrasti, di povertà e aristocrazia, violenza e bon-ton che si confrontano in una società ancora impregnata di superstizioni mentre si sviluppano il positivismo e la cultura scientifica.
In questo scenario che ha come sfondo la Londra cenciosa di Jack lo Squartatore, si muove l’eterogeneo gruppo di personaggi ruotante intorno a Sir Malcom Murray – interpretato da Timothy Dalton, un maturo esploratore alla ricerca della figlia scomparsa Mina, rapita e presumibilmente irretita da un gruppo di vampiri che infestano la capitale. Alla sua disperata caccia che lo sposta dai familiari scenari africani alla propria città, sono aggregate altre figure cardinali, la collaboratrice Vanessa Ives (Eva Green), un pistolero americano dalla doppia identità Ethan Chandler (Josh Hartnett) e l’anaffettivo dottor Victor Frankenstein (Harry Treadaway).
Da questi primi elementi si può già dedurre il gioco letterario di reinvenzione dei classici del genere, ritroviamo infatti nel nome della ragazza rapita la fidanzata di Jonathan Harker, protagonista del Dracula di Stoker. Il nome di battesimo di Chandler è Ethan Lawrence Talbot, omaggio al celebre uomo-lupo Larry Talbot creato dallo sceneggiatore Curt Siodmak, mentre il dottor Frankenstein rilegge in chiave psicologica la drammatica “paternità” della sua Creatura (un commovente Rory Kinnear), con le responsabilità che ne conseguono.
A questi personaggi si vanno ad aggiungere altri membri dai ruoli ambigui e sfaccettati, che arricchiscono il racconto di snodi narrativi aperti a molteplici combinazioni. Direttamente dalle pagine di Oscar Wilde, il dandy pansessuale Dorian Gray è una scheggia impazzita capace di restare incorrotto nelle più grandi abiezioni, il dottor Henry Jeckill, meticcio anglo-indiano discriminato per le proprie origini, trova motivazioni più intime per scandagliare chimicamente l’animo umano scisso tra rabbia e ragione. Infine un breve cameo del dottor Abraham Van Helsing (David Warner) chiude simbolicamente il cerchio delle citazioni, con il proprio omicidio ad opera della Creatura nella sesta puntata della prima serie, quasi a sancire l’emancipazione dello show dalle proprie radici, lasciando agli sceneggiatori piena libertà di movimento.
L’operazione imparentata al lavoro fumettistico di Moore, infatti, segue una strada autonoma e prende le distanze con il materiale d’origine, utilizzandolo come creta su cui modellare figure veritiere, ricche di contraddizioni, oppresse da un dualismo che logora la propria natura sempre in bilico tra bene e male. E’ quanto attiene alla condizione di Vanessa Ives, toccata da una possessione diabolica che vorrebbe coinvolgerla nell’apocalisse pianificata dalle forze oscure. E’ il ruolo demiurgico di Frankenstein, incapace di dare un senso alla vita rinnovata del proprio mostro, quindi mostro lui stesso agli occhi disperati della Creatura. Altrettanto tormentato è il rapporto tra Chandler e la propria licantropia incontrollabile, piaga che nella seconda stagione gli permetterà di sventare la minaccia della strega Evelyn Poole (Helen Mc Crory), non prima però di aver sacrificato la vita di un amico, il saggio Sembene (Danny Sapani).
Il cast già ricco di personaggi fascinosi, trova schierati su fronti opposti anche il civettuolo e in apparenza frivolo Ferdinand Lyle (Simon Russel Beale), un egittologo gay che con le sue improbabili acconciature fiancheggerà con coraggio i protagonisti fornendo la sua competenza sull’occulto. Un ruolo forte e caratterizzante è affidato inoltre ad altre figure femminili che diventano determinanti nello scacchiere escatologico, si tratta della prostituta rianimata Brona (Billie Piper) alla rabbiosa ricerca di un riscatto sociale, o l’alienista Seward (Patti LuPone), una George Sand dalla lucida intelligenza e il passato doloroso, ultima arrivata nella terza stagione infine è la bella tanatologa Catriona Hartdegan (Perdita Weeks), che rileva il ruolo da studioso di Lyle come guida nella lotta contro le tenebre.
L’impaginazione elegante di una fotografia dai chiaroscuri caravaggeschi, un ridotto numero di puntate per stagione che ne preserva l’incisività, la presenza di attori magnetici come Eva Green, sempre intensa e credibile in qualunque circostanza, o con la sensibilità di Kinnear o Treadaway, rendono Penny Dreadful una perla del panorama seriale che nell’arco di tre cicli ha mantenuto alta la sua qualità. I vampiri che sciamano rasoterra alla stregua di un disgustoso tappeto d’insetti, il dramma umanissimo dei protagonisti e le loro scelte, le ambientazioni divise tra sfarzo e miseria, oltre all’azione che accende di brivido il lento scorrere delle sequenze, hanno ritagliato uno spazio nelle fantasie dello spettatore popolandolo di bellezza, incubi e speranze difficili da dimenticare. Non poca cosa per il prodotto di una rete televisiva commerciale.