“La tenerezza” di Gianni Amelio: l’amore al di là dello schermo
Ma lascia almeno
ch’io lastrichi con un’ultima tenerezza
il tuo passo che s’allontana.
Vladimir Majakovskij, Invece di una lettera
Lorenzo (Renato Carpentieri), settantenne avvocato in pensione dalla vita professionale e affettiva tutt’altro che morigerata, vive solitario nel centro storico di Napoli in un vecchio appartamento di proprietà dei suoi figli, Elena (Giovanna Mezzogiorno) e Saverio, con i quali non ha rapporti da anni, a parte alcune passeggiate con il nipotino Francesco, figlio di Elena. L’incontro di Lorenzo con i nuovi vicini di casa, Michela e Fabio (Micaela Ramazzotti e Elio Germano), che hanno due bambini, sembra scuotere l’uomo dal suo torpore esistenziale. L’avvocato si lascia coinvolgere dalla solarità di Michela e dalla fragilità di Fabio finché un giorno un grave episodio sconvolge l’esistenza di tutti…
Non è la prima volta che il cinema di Gianni Amelio esplora l’universo della famiglia, sia attraverso la descrizione dei rapporti conflittuali che si generano al suo interno sia scandagliando le conseguenze della sua assenza. Basti pensare all’infanzia difficile dei fratellini protagonisti de Il ladro di bambini o allo scontro tra padri e figli rappresentato in opere come Colpire al cuore, Le chiavi di casa e L’intrepido. Forse il senso del nuovo parto creativo del regista calabrese è tutto riassunto nella scena iniziale: un giovane arabo, parlando attraverso un vetro, risponde alle domande di un giudice mentre Elena traduce la loro conversazione, nella quale l’uomo dichiara di aver perduto la moglie ed il figlio, morti in mare, un’affermazione cui Elena non crede. Questa fulminante sequenza è una sorta di mise en abyme, di splendida sintesi, dell’intera storia: due persone che parlano linguaggi diversi e che quindi, per capirsi, necessitano di qualcuno che faccia loro da mediatore, e una famiglia che esiste solo a parole ma che è probabilmente un falso.
Lo schema si ripeterà in diverse sequenze del film dove vedremo personaggi che non riescono a comunicare, per incapacità emotiva o a causa di eventi che ne hanno congelato i sentimenti e l’affettività. Basta citare il caso di Fabio, che confessa di non sapere cosa dire ai suoi bambini, o quello di Lorenzo che rivela a Michela come ad un certo momento della vita, quasi di punto in bianco, abbia smesso di amare i suoi figli. E spesso ci sarà uno schermo, una superficie fisica (come si vede nelle sequenze ambientate all’ospedale o al palazzo giustizia) a sottolineare plasticamente il muro di incomunicabilità che separa i personaggi. In questo senso, appare particolarmente indovinato e funzionale il ritratto che il regista offre di una Napoli insolita, borghese piuttosto che popolare, priva di folclore e depurata dai soliti cliché che la vogliono a tutti i costi vitale ed allegra mentre invece le immagini del film ce la mostrano livida, indifferente, anonima, quasi sempre ripresa nei suoi angoli meno curati e più fatiscenti, quelli che una recente canzone definiva “luoghi dove non entra mai il mare”.
È un buon film dunque, La tenerezza, certo la migliore opera italiana uscita finora nelle sale nel 2017, sebbene non sia probabilmente una delle vette della filmografia di Gianni Amelio e non sia esente da difetti. La totale adesione ed ammirazione verso un’opera comunque utile e preziosa è frenata dall’impressione di un eccessivo affastellamento di storie ed eventi che la durata limitata del film impedisce di approfondire: che senso ha, ad esempio, introdurre verso la fine del film un personaggio ed un episodio direttamente legati al passato di Elena se poi non si ha il tempo di squadernarlo? Oppure, quante volte è necessario informare lo spettatore dei metodi “poco ortodossi” utilizzati da Lorenzo durante la sua carriera (come si vede nella breve scena del litigio con l’infermiere cui segue il colloquio con la polizia) quando è egli stesso a informarci quasi subito della sua scarsa attitudine alla correttezza morale? E poi, quanto è credibile che, nella scena-clou del film, Lorenzo riesca a superare il cordone di polizia nonostante i ripetuti dinieghi degli agenti?
Allo stesso modo, non tutti i numerosi personaggi sono scritti con la stessa precisione e anche la resa degli attori sembra risentirne. Se, ad esempio, Renato Carpentieri offre una prova straordinaria aderendo al suo Lorenzo in maniera perfettamente mimetica, e Giovanna Mezzogiorno è credibile e funzionale nella sua insaziabile ricerca di un contatto con il padre, lascia qualche perplessità il Fabio del pur bravo Elio Germano che appare eccessivamente caricato (quello che in gergo si definisce overacting) quasi a temere che la sua controversa personalità non si riveli chiaramente allo spettatore, così come un po’ monocorde è la Michela della Ramazzotti.
Tuttavia, pur nei troppi rivoli in cui la storia scorre rischiando talvolta di smarrire la direzione, La tenerezza resta un ritratto spesso centrato e talvolta emozionante di quello che, secondo le parole della poetessa americana Emily Dickinson, costituisce uno dei sentimenti umani più agognati e quasi mai raggiunti.
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