Se una notte d’inverno un elaboratore: l’Informatica digitale da Calvino a Moretti
“Ho chiesto a Lotaria se ha letto alcuni miei libri che le avevo prestato. M’ha detto di no, perché qui non ha a disposizione un elaboratore elettronico.
M’ha spiegato che un elaboratore debitamente programmato può leggere un romanzo in pochi minuti e registrare la lista di tutti i vocaboli contenuti nel testo, in ordine di frequenza.”
Immagina, Lettore, di trovarti in una stanza vuota e bianca, davanti a te un quadro di Pollock, di quelli grandissimi, ricchi di colore e d’intrecci. Una bellezza inquietante e incomprensibile. Poi immagina di scoprire in quella moltitudine, all’apparenza disordinata, delle parole, anzi, avvicinandoti noti che è proprio la sovrapposizione di quelle a dare vita alle sfumature che vedi. Non hai davanti un quadro, la mano che l’ha creato non appartiene a Pollock, e ciò che guardi non è arte, almeno non visiva. È il prodotto delle Digital Humanities. L’artista è un computer che tramite calcoli e algoritmi analizza una serie di centinaia di testi, possibilmente appartenenti al medesimo genere e periodo storico, allo scopo di trovare un pattern, uno schema ricorrente, di cui neanche gli autori stessi erano al corrente, ma al quale inconsciamente ubbidivano.
Uno schema invisibile a tutti meno che all’elaboratore di Lotaria. In Se una notte d’inverno un viaggiatore, romanzo scritto da Italo Calvino e pubblicato nel 1979, Lotaria viene presentata nell’ottavo capitolo del libro come una studentessa impegnata nella stesura di una tesi sui romanzi di Silas Flannery, scrittore che ha perso il piacere di scrivere, ma anche di leggere, messo definitivamente in crisi dai metodi di studio della giovane: “L’idea che Lotaria legga i miei libri a questo modo mi crea problemi. Adesso ogni parola che scrivo la vedo già centrifugata dal cervello elettronico, disposta nella graduatoria di frequenze, vicino ad altre parole […]”.
Il cervello elettronico di Lotaria dal tempo della sua tesi è molto cambiato, oggi sono superate le liste di ricorrenze in favore delle Digital Humanities, vero connubio tra informatica e discipline umanistiche. Scopo dell’Informatica umanistica è quello di trovare ricorrenze inedite all’interno non di un singolo testo, ma di uno sterminato campione di opere. Ciò che cambia rispetto alla classica indagine filologica e letteraria è soprattutto il metodo, ma anche il libro come oggetto di studio e il rapporto che lo studioso ha sempre avuto con questo.
Calvino aveva già innovato il proprio modo leggere e fare letteratura attraverso il dialogo con i francesi del circolo OuLiPo e soprattutto con la scrittura combinatoria; egli creava uno schema del caso, le tecnologie umanistiche invece dal caos portano alla luce uno schema che non è nella superficie, ma nella struttura più interna, unico elemento capace di legare un gran numero di testi diversi attraverso un procedimento simile a quello con cui l’elaboratore legge il romanzo che Lotaria gli sottopone: “La lettura elettronica mi fornisce una lista delle frequenze, che mi basta per farmi un’idea dei problemi che il libro propone al mio studio critico. […] Punto subito alle parole più ricche di significato, che mi possano dare un’immagine del libro abbastanza precisa”. Quello che l’elaboratore di Lotaria fa con un solo libro, i programmi e gli algoritmi della moderna tecnologia possono farlo con uno sterminato numero di testi diversi, portando alla luce convergenze formali tra opere che non sembravano averne.
Questa disciplina si sta espandendo anche in Italia. Oltre a corsi specialistici mirati, istituiti presso i migliori atenei italiani, la facoltà Federico II di Napoli nel marzo di quest’anno ha promosso una serie di seminari dedicati proprio alle Digital Humanities. Ospite d’onore del primo incontro è stato Franco Moretti, pioniere della materia e docente della Stanford University, che ha affrontato il dibattito sulle nuove frontiere aperte dall’applicazione delle Digital Humanities alla filologia, alla critica e alla storia della letteratura.
Moretti nel corso della sua lezione ha mostrato alla platea un frammento della sua ricerca condotta a Standford, un’unica immagine, in apparenza un quadro astratto che invece recava un pattern, uno schema definito e ricorrente: nel corpo dei circa trecento romanzi ottocenteschi elaborati, era stato osservato come nelle frasi dipendenti vi sia una prevalenza di termini che rimandano al concetto di spazio, nelle frasi reggenti termini afferenti alla sfera delle emozioni.
Se per il filosofo Friedrich Schleiermacher scopo del critico era “comprendere un testo altrettanto bene del suo autore e poi meglio di questi”, a che livello si pone il software che fa una simile elaborazione?
“È venuta a trovarmi una ragazza che scrive una tesi sui miei romanzi per un seminario di studi molto importante. […] Dai suoi discorsi molto circostanziati, mi sono fatto l’idea d’un lavoro condotto seriamente: ma i mie libri visti attraverso i suoi occhi mi risultano irriconoscibili.”
L’universo in cui s’incontrano Flannery e Lotaria è distopico e freddo, un mondo in cui i computer rendono superflua la lettura e ditte giapponesi copiano lo stile dello scrittore tanto bene da rendere impossibile ai critici più avveduti distinguere l’originale dal falso, il vero dall’imitazione. Flannery vede fantasmi nei libri che ha scritto e che ha smesso di riconoscere, similmente gli autori fagocitati dall’umanità digitale scoprono una selva di spettri nelle loro opere, che credevano complete ma che invece risulteranno estranee a se stesse.
Queste presenze evanescenti, impossibile da osservare a occhio nudo, emergono dal caos attraverso un processo che Moretti definisce di “distillazione”: dietro la ripetizione di un pattern ci sono vari elementi di natura formale e “la forma è l’elemento ripetibile della letteratura”.
Un tempo, come ricorda Moretti, gli studiosi erano chiamati great reader, perché leggere voleva dire studiare, una continuità oggi spezzata: non ci sono libri a cui approcciarsi ma corpora, un blocco unico che sarebbe impossibile, anche superfluo ai fini della ricerca schematica, leggere integralmente. Non c’è più quindi l’utilità della lettura, abbandonata in favore del riconoscimento meccanico di schemi.
Anche se non è ancora sistematicamente applicata la meccanicizzazione dell’ermeneutica letteraria ha definitivamente cambiato il metodo d’analisi. Lo studioso Fernand Braudel nel 1958, quindi ventun’anni prima della pubblicazione di Se una notte d’inverno un viaggiatore, scrisse: “lo storico del futuro sarà un programmatore o non sarà nulla”. Una tendenza che nel corso del Novecento ha portato al ritorno dell’anti intellettualismo industriale: è utile la conoscenza che fa funzionare le macchine. Alla luce di ciò non è scorretto asserire che l’intellettualismo ha fallito: le materie umanistiche, ma anche le scienze pure tanto care a Calvino, ormai vengono percepite come obsolete e d’intralcio alla conoscenza, sconsigliate e considerate inferiori alle arti meccaniche. Per parafrasare quanto detto da Braudel: è probabile che il filologo del futuro sarà un programmatore o non sarà nulla.
In questa dicotomia tra intellettualismo e meccanicismo le due sorelle del romanzo calviniano rappresentano i due poli contrapposti: Ludmilla è la Lettrice, colei che non vede oltre le pagine che ha davanti, tanto da spersonalizzare totalmente il loro autore; mentre Lotaria è l’elaboratrice, un prodotto del suo tempo:
“[…] Un modo di leggere passivo, evasivo e regressivo. Mia sorella legge così. Ed è a vederla divorare i romanzi di Silas Flannery, uno dopo l’altro senza porsi nessun problema, che m’è venuta l’idea di prenderli come argomento per la mia tesi: per dimostrare a mia sorella Ludmilla com’è che si legge un autore”.
Mentre le due sorelle sono in antitesi, le tecnologie umanistiche di Moretti sono l’ideale continuazione dell’approccio matematico-combinatorio sviluppato da Calvino negli anni del circolo OuLiPo.
“La letteratura è un’operazione discontinua e frammentaria. […] Nella dilagante distesa della scrittura l’attenzione del lettore distingue dei segmenti minimi. […] Sono come le particelle elementari che compongono il nucleo dell’opera, attorno al quale ruota tutto il resto”. Scrive Calvino in un dialogo tra lettori per chiudere un “libro sul piacere di leggere”.
Se una notte d’inverno un viaggiatore non dà conclusioni sulla lettura e il suo oggetto, spia di ciò è già la forma dialogata e aperta dell’ultimo capitolo; Calvino accetta che sia un rapporto multiforme e inconoscibile persino al lettore stesso. Allo stesso modo, quando Moretti fa notare che nell’ultimo decennio le Digital Humanities non si sono sviluppate come avrebbero dovuto, ammette anche che vedere gli spettri del mondo digitale è solo il primo atto, un primo passo, per riuscire a capire una materia ancora in fase di elaborazione.
“T’interrompe il settimo lettore: – Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? -”