Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli Franco Cipriano annuncia il suo Mysterium

Negli spazi espositivi al secondo piano del MANN è presente (fino al 27 giugno) la mostra dal titolo Mysterium, bibliotheca philosophica, di Franco Cipriano, a cura di Angela Tecce, storico dell’arte, e di Nicola Magliulo, docente di filosofia. La mostra è affidata al lavoro organizzativo di Raffaella Barbato e realizzata al supporto tecnico di Tekla e di Ciro Ciliberti. La personale di Cipriano, caratterizzata anche da momenti performativi, come le improvvisazioni musicali di Ilaria Scarico in giornata di vernissage, nasce come omaggio al filosofo Vincenzo Vitiello e agli studiosi e ai pensatori che nel corso della carriera dell’artista hanno dialogato con le sue opere. Sculture, tavole semiografiche, teleri e altri frammenti compongono una polifonia di istallazioni che:

“tra mitologia del tempo e dell’arte, superficie e abisso, rivelazione e mistero delineando un excursus si svolge nelle opere un’archeologia della memoria profonda, sull’estremo confine con l’oblio, dove si avvertono i riflessi dell’immemorabile”.

Foto di Ciro Ciliberti

Franco Cipriano codifica la sua esposizione nel suo stesso titolo. La compresenza dell’antico archiviato dal tempo e nel tempo, custodito nella ‘Sala dei Papiri’ e, in via macroscopica, nel Museo Archeologico, e l’installazione delle opere realizzate dall’artista campano si mostrano in uno spazio in cui le immagini e le materie del Mysterium sono le istantanee fossili di una mistica del contemporaneo.

Il Mistero, nella sua linguistica ancestrale e originaria, rievoca le inquietudini di quel Mysterium iniquitatis taciuto da una parte consistente del cattolicesimo, ma presente in quel Nuovo Testamento che, per bocca di San Paolo, ne descrive le ragioni distruttive e risolutorie. Dai prudenti riserbi al limite dell’apocrifia, fino alle pubblicazioni di Sergio Quinzio, il Mistero dell’Iniquità custodisce le formule di un futuro rivelatore di una diplomazia tra il bene e il male, fino al fallimento stesso del Cristianesimo. Un’apostasia emblema del momento critico per eccellenza, completamente ignoto e indecifrabile all’immaginario umano. Un hoc signo oscuro e senza tempo. Dalle origini antiche al contemporaneo, l’impianto di Cipriano resiste agli attraversamenti e consegna quel che resta, col dubbio perpetuo per cui se quel che resta sia il precipitato finale di una lunga sedimentazione o sia anch’esso nuova origine, proprio al cospetto di una legge rivelata, di una nuova riforma.

Foto di Ciro Ciliberti

Alla prosecuzione del titolo, bibliotheca philosophica, è forse affidata la concretezza, il margine tangibile del formato artistico che si presenta come parlante, dialogico, con la seconda parte del palinsesto nella Sala dei Papiri e col vuoto chiarore della prima stanza che la isola in una purezza ermetica. Nella Sala dei Papiri la quietezza dei volti e la fierezza discreta degli animali assistono alle sculture e ai teleri in toni di mercurio senza possibilità di stabilire se le pagine dei libri di Cipriano, paralizzate da una sostanza invisibile e atermica sopra ogni stadio della materia, si elevino o si posino sui blocchi di fogli.

La paralisi in purezza, volendo capovolgere il tratto ermetico dell’impianto, rievoca, non a caso, quello che San Paolo esprime a proposito del mistero dell’iniquità. Kathékon, “colui che trattiene”, è, nel caso della bibliotheca philosophica, il soggetto-luogo che “custodisce l’impossibile”, in quella “crisi del tempo” al centro della poetica artistica di Franco Cipriano che, e qui si compie il suo sforzo maggiore, non cede al rimosso, ma modella l’elemento problematico in quel dialogo perpetuo che lui stesso considera momento essenziale della sua produzione artistica. Un mondo che ha in sé altri mondi, in cui nessuno produce se stesso, ma tende a farsi fonte d’ispirazione per l’altro. Un sistema di leve e di forze ispiratrici teso alla rappresentazione di quel momento.

Foto di Ciro Ciliberti

Si potrebbe tener conto di una suggestione “storica” all’interno del percorso che culmina nella compresenza tra il documento antico e la tensione all’antico da parte di Cipriano. Una suggestione attraverso l’ipotesi che il momento realizzato dall’artista guardi alle origini che, in quieta e impassibile contemplazione, altro non abbiano atteso che la rivelazione di un tempo che le abbia in qualche modo riconosciute. E, se tutto finisce nella malinconia del disconoscimento, si realizza nuovamente quella condizione ermetica che in termini sentimentali Giacomo Debenedetti ha definito “la desolazione di dover essere assenti, di sentirsi orfani”. Che siano madri e figli, che siano ordini padri oppure obbedienze fanciulle, o che siano la stessa unica entità, addensata di elementi distinti in quel tempo senza tempo, il Mysterium  di Cipriano è tanto dei millenni quanto dell’istante.

 

 

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