Marta
Solo un signore piuttosto avanti con l’età, seduto alla mia destra, con un gattone chiuso nel trasportino. Era uno di quei gatti con il muso schiacciato e il pelo lungo. Era rosso e bianco. Non miagolava. Lo vedevo dalla grata. Gli colava il naso. Naso, insomma, aveva due buchi. Di naso nemmeno l’ombra.
“Marta?” mi chiamò Antonio.
“Sì!” risposi alzandomi.
“Tobia è pronto, pulito e profumato”. Tobia era il mio cocker nero, di quattro anni.
Presi il guinzaglio e dopo aver pagato e salutato, uscimmo. Il signore non rispose al saluto. Con il mio vestito a fiori senza maniche, un paio di sandali e i capelli sciolti, ero bella e, specchiandomi con fare distratto dalle vetrine, me ne compiacevo. Avevo poca strada da fare per arrivare a casa e lasciare Tobia a mamma. Li sentivo gli sguardi dei ragazzi e me ne fregavo, ero abituata. Mi chiedevo come fosse possibile che da due anni non uscivo con nessuno. Avevo un buon lavoro, ero giovane e i miei non mi avevano mai fatto mancare nulla. Arrivai davanti la porta di casa e passai il guinzaglio a mamma.
“Vado alla riunione, non aspettatemi per cena che mangio qualcosa lì con loro”.
“Va bene, Marta, mi raccomando però, mangia ché sei diventata pelle e ossa”
Le diedi un bacio.
Alle otto in punto ero a casa di Guido. Erano tutti lì, avevano già iniziato il Daimoku[1]. Mi sedetti e presi a seguirli. Ero buddista da tre anni e il buddismo mi aveva cambiato la vita. Dopo mezzora di mantra Guido introdusse l’argomento del giorno che era lo shakubuku[2]. A turno dopo Guido, tutti parlarono delle proprie esperienze. Poi toccò a me.
“Oggi ho fatto un’esperienza bellissima! Che dico oggi, poco pochissimo tempo fa. Mentre aspettavo la tolettatura del cane ho conosciuto Vittorio un uomo sui settanta al quale ho parlato della pratica. Dovevate esserci! Era entusiasta e mi ha detto che vorrebbe partecipare ad una nostra riunione per capire meglio e magari studiare la pratica. Amici, sapeste che gioia mi ha dato. Si è illuminato mentre gli raccontavo i benefici che il buddismo mi ha regalato. Ho parlato di voi e della forza che siamo, insieme”
Raccontai ancora un po’ di Vittorio, del fatto che avesse perso la moglie da poco e che era rimasto solo con un gatto. I miei compagni di fede erano entusiasti e mi fecero mille complimenti per quello che avevo fatto e per le parole che avevo regalato a quell’uomo.
Dopo un’ora circa facemmo Gongyō[3] e chiudemmo il Gohonzon[4]. Guido aprì una bottiglia di prosecco e un vassoio con tartine, pizzette e focacce.
Restai a parlare con Enza, una ragazza con una vita molto complicata. Aveva perso la madre e il fidanzato in un incidente stradale, quindici mesi prima. Era con noi da poche settimane. Si appoggiava molto a me e io, nei limiti di quello che potevo, la sostenevo. Così anche quella sera le parlai, cercando di farle capire che la pratica era l’unica cosa che poteva aiutarla che poteva trasformare tutto quel dolore, che doveva accettare il dolore e attraversarlo, che ce l’avrebbe fatta grazie alla fede.
Salutai tutti verso le ventidue e trenta. Dovevo andare a casa. Ero esausta e il giorno dopo la sveglia mi avrebbe fatta alzare sempre troppo presto. Entrai a casa e i miei erano già a letto. Tobia mi aspettava in camera mia accucciato sul tappeto. Presi la camicia da notte e le sigarette e andai in bagno. Mi struccai con cura. Mi tolsi il vestito e mi guardai in mutande e reggiseno. Ero bella. Molto. Mi accomodai sul bordo della vasca e accesi la sigaretta. Mi guardavo fumare. C’era un silenzio emozionante. Passai, mentalmente, in rassegna la giornata.
Il lavoro.
La pausa pranzo.
Il caffè del pomeriggio.
Lo shampoo al cane.
Al fatto che io non avessi idea di che voce avesse Vittorio.
La riunione.
Mi alzai in piedi ancora spogliata. Mi spensi la sigaretta sulla pancia. Sentii la solita puzza di pollo fritto. Il mozzicone rimase attaccato alla pelle bruciata e ci misi un po’ per staccarlo. Mi uscì una lacrima. Buttai la cicca nel gabinetto e scaricai. Infilai la camicia da notte bianca con delle rose rosse stampate.
Una volta a letto presi il telefono e scrissi un post su Facebook: “la felicità è racchiusa in piccoli momenti di piacere”. Prima che mi addormentassi più di cento amici avevano messo il loro mi piace alla mia frase.
[1]https://it.wikipedia.org/wiki/Nam_myoho_renge_kyo
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Shakubuku
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Gongyō
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Gohonzon
bellissimo. e come tutte le cose bellissime è, allo stesso tempo, uno schiaffio e una pacca sulla spalla.