“…ma almeno la gente è ruspante”
Non sono uno di quelli che segue il calcio e già alla tenera età di otto anni ho smesso di sostenere la cosiddetta squadra del cuore. Talvolta guardo in TV la Nazionale, ma più per stare con gli amici e mangiare una pizza anche se spesso, qui a Roma, la pizza è terribilmente bassa e tendente al crocchiarello. Ciononostante, la vicenda dell’addio di Totti alla Roma mi ha commosso anche se inizialmente non ne identificavo bene il motivo. In fondo, per un non tifoso come me, si dovrebbe trattare di un calciatore a fine carriera come tanti altri. Ma non è così.
I toni nostalgici e l’atmosfera magica dell’addio del campione romano, mi hanno riportato alla mente una certa malinconia che si respira nel film Trastevere diretto da Fausto Tozzi. Come si intuisce dal titolo, la pellicola descrive una serie di avvenimenti che hanno come teatro il famoso borgo romano negli anni (siamo nel 1971) in cui esso inizia a perdere la sua anima originaria, radicalmente popolare. divenendo quartiere di moda e meta fissa di benestanti annoiati e hippy. Tutto è riassumibile nel breve dialogo tra un barista originario del luogo e un conte veneto omosessuale, interpretato da Gigi Ballista, ormai residente nel quartiere. Il conte, mentre consuma un caffè al bar, viene attratto dalla bellezza femminea di un giovane hippy che passeggia proprio lì dinnanzi e subito si affretta a chiederne informazioni al barista. Il barista con pacatezza tutta romana replica: “boh… ormai qui se ne vedeno di tutti li colori, Trastevere che ‘na volta era come un paese è diventato un porto di mare. ‘Na volta… se conoscevamo tutti da quanno eravamo neonati, crescevi insieme come una famiglia, mo ti arrivano gli stranieri, gli artisti, i capelloni, pagano ‘ste case piene di bagarozzi a peso d’oro e li trasteverini piano piano se ne vanno. Io pure, dico ‘a verità, non me ce ritrovo più. Và a finì che un giorno o l’altro, pianto baracca e burattini e me ne vado pure io. “ […] “però i vorrei capì, vorrei sapè che ce trovano, che ce trovate in Trastevere che venite tutti qui!?”
A quel punto, il nobile in decadenza morale ed economica, preso un fiore da un vaso posto sul bancone risponde: “bagarozzi, ladri, figli di mignotte, magnaccia, topi, spussa de broccoli, ma almeno la gente è ruspante. Beato ti. Deve essere bello non capire un cazzo. Ciao Romolo ti bacio sulla bocca!”
In questi tempi globali, dove le squadre di calcio sono composte per buona parte da atleti provenienti da Paesi stranieri, europei ed extra-europei, è difficilissimo trovare calciatori che parlino lo stesso dialetto della città che rappresentano quando scendono in campo. Nella vita calcistica di Totti, invece, c’è una straordinaria coerenza, iniziata a partire dalla Trastevere Calcio e non ancora conclusasi, nonostante l’addio di qualche giorno fa. Per Francesco Totti, vestire i colori giallorossi ha rappresentato la messa in pratica di una sorta di idea platonica: la squadra della Roma, infatti, è stata per il campione una «forma interiore», un qualcosa dotato di una natura specifica e capace di raggiungere l’essenza delle cose. Per questa ragione, non è necessario essere appassionati di calcio per capire che la squadra ma anche la città di Roma hanno perso con il signor Totti un pezzo di autenticità che anche i più aperti alle innovazioni e pronti al cambiamento cercano spasmodicamente. Altrimenti non pagherebbero “ste case piene di bagarozzi a peso d’oro”.