Sergio
Dalla finestra vedevo un pezzo di cielo senza nuvole, di un azzurro raro. Un azzurro in cui mi perdevo. Intanto il tizio con i baffi parlava di cose che non capivo molto bene. Usava molte parole inglesi e un po’ mi disgustava. Di fianco a lui c’era l’amministratore generale. Lo avrei capito anche se lo avessi incontrato al bar. Elegante, con un profumo arrogante e i capelli perfettamente pettinati su un lato, si limitava ad annuire. L’ufficio era curato, ma asettico. I libri alle loro spalle sembravano quelli comprati a peso nei mercatini. Messi lì per dare un senso alla libreria. Quello strazio durava già da venti minuti. Avevo indossato le scarpe meno ginniche che possedevo e la camicia del matrimonio di mia sorella, mi ero tatuato un sorriso ebete ma credibile, in ogni caso meno stupido di quelli che vedevo di fronte a me. Avevo dovuto parlare di me, di quello che erano le mie esperienze. Dissi anche i motivi per i quali volevo lavorare con loro: siete la realtà più stimolante che io conosca. Frase che avevo letto su una rivista e che avevo usato già altre sei volte.
L’uomo con i baffi smise di parlare, io distolsi lo sguardo dalla finestra, e lui mi domandò:
– se dovesse raccontare almeno due sue qualità, quali sarebbero?
Rimasi in un pensiero assorto. Lo fissai senza espressione. Rimasi muto per un minuto buono. Li vidi guardarsi tra di loro, capii che dovevo rispondere e così feci:
– se avessi qui una sagoma umana saprei disegnare tutti i nei di Caterina…
– Caterina è la sua fidanzata? – mi interruppe quello elegante.
– No, non ci salutiamo neanche.
– Ah, e mi dice anche l’altra sua qualità?
– Certo. Potrei elencare a memoria le formazioni titolari degli ultimi trentacinque campionati del Napoli.
– Una curiosità – intervenne baffo – ma queste sue qualità in che modo potrebbero risultare utili alla nostra società?
– quando tengo a qualcosa, ci tengo sul serio.
Si alzarono in piedi all’unisono allungandomi la mano. Mentre ricambiavo il saluto mi dissero che alla fine della settimana avrebbero chiamato per l’esito, sia in caso positivo che in quello negativo.
Nella sala d’attesa c’erano almeno venti persone. Venti aspiranti. Venti stronzi come me.
Entrai a casa con mamma che mi sfiniva di domande su come fosse andato il colloquio, se avessi sorriso, se fossi stato abbastanza serio, se avessi evitato di essere strafottente. Mi limitai a rispondere sì e no. Sfilai le scarpe senza slacciarle e mi distesi a letto, mani incrociate dietro la testa. Dormii profondamente. Sognai Caterina. Quando aprii gli occhi controllai il telefono, avevo ricevuto due telefonate da Alessandro e un messaggio da mia sorella. Il telefono però mi serviva per controllare la mail. La mail era vuota. Nessuna risposta. Era un mese che attendevo.
Caterina l’ho conosciuta alla stazione. Tutte le mattine, da due anni, prendevo il caffè al bar della stazione. Amavo i treni e amavo i pendolari. Ogni giorno, dopo aver bevuto il caffè, fumavo una sigaretta su un binario diverso. Mi affezionavo a quella gente. Ogni giorno mi accorgevo di qualcuno. Da sei mesi il mio binario era il due. Il regionale delle 8.06. Quando vidi Caterina la prima volta si spensero le luci, era tutto buio. Solo un faro a illuminarla. Una volta salita in treno, si riaccesero. Con il passare delle settimane capii che andava all’università. Passò un mese e mezzo prima che qualcuno la chiamasse per nome. Dopo una mezza giornata di ricerche su internet la trovai e trovai anche la sua mail. Non mi degnava di uno sguardo, ma a me non importava. Quello che mi faceva ammalare era quando non andava all’università. Capitava non così di rado. Su internet trovai anche molte sue foto. Mi innamorai dei suoi nei. Ingrandivo quelle foto fino a sgranarle. Quelle al mare erano le mie preferite perché riuscivo a vedere tutti i puntini sulla pelle.
Napoli – Genoa. Ero al solito bar dove andavo per vedere le partite. Avrei potuto pure guardarla con mio padre a casa, preferivo il bar, potevo osservare le persone. Quella partita si giocava di sabato alle 18.00. Passate le 19.00, poco dopo l’inizio del secondo tempo, vidi Caterina entrare. Mi mostrai calmo, ero agitato e avrei voluto fare qualcosa. La guardavo ossessivamente. Era con un’altra ragazza di cui non saprei dire nulla. Presero il gelato e sparirono. Impietrito sulla sedia mi limitai a sudare molto.
Forte del fatto che conoscesse il bar dove andavo, mi convinsi a scriverle. Ci vollero tre ore.
Ciao Caterina, io sono Sergio. Ti vedo tutte (quasi) le mattine in stazione. Ecco, pensavo si potrebbe mangiare un gelato insieme. Quando gioca il Napoli sono sempre al bar Solero. Ti allego una mia foto così mi riconosci. Ciao.
Avevo una sola foto buona per l’uso, mi vergognavo di farmela da solo, ero allo stadio con Alessandro e due suoi amici. Ci facemmo scattare quella foto da un signore seduto di fianco a noi. Prima di allegarla disegnai una freccia sopra la mia testa, volevo che capisse chi dei quattro ero.
Insomma, era un mese che non mi rispondeva ed era un mese che non riuscivo più a godermi il Napoli, perché un po’ guardavo la partita e un po’ speravo di vederla entrare. In quel mese la vidi solo tre volte in stazione. Iniziai a pensare che la sua assenza fosse dovuta a me.
Le mattine senza vederla diventarono quindi la norma. Mi accontentavo di osservala in foto. Preferivo vederla camminare, il neo sul collo quando si girava d’improvviso era più bello.
Quando mi chiamarono per dirmi che avevo superato il primo colloquio e che avrebbero voluto rivedermi per il secondo dei tre necessari, non feci una piega. Non vedere Caterina mi faceva male. Una sera ne parlai ad Alessandro. Alessandro era uno molto sicuro di sé, aveva un buon lavoro e in più occasioni mi aveva prestato anche dei soldi. Ci volevamo bene. Alto, biondo, con la barba curata. Vestiva bene ed era uno di quelli che se avessi avuto una figlia avrei voluto che trovasse uno così.
– Sergio, ti ha preso per un maniaco. Scusami, eh, ma come puoi pensare di conoscere una dicendole che la vedi tutte le mattine e dandole un appuntamento in un bar mentre vedi la partita? Ma sei scemo? Altra cosa, lo hai detto a me e non ci sono problemi, ma questa cosa dei nei non raccontarla per piacere. Perché sul serio è da spostato.
La mattina prima del secondo colloquio la rividi. Era più bella del solito. Aveva una borsa nuova. Non mi degnò di uno sguardo. Sembrava triste anche se, a pensarci, sembrava sempre triste. Andai al colloquio contento.
L’ufficio era lo stesso, ma questa volta c’erano due persone diverse. Una era psicologa. Non capivo molto, a me sembravano le stesse domande e infatti rispondevo allo stesso modo. L’ultima domanda però fu diversa:
– da cosa giudica una persona? Per esempio un collega o un cliente?
– dai calzini- risposi – perché bisogna curare quello che non si vede.
Questa volta mi dissero subito che la settimana successiva avrei sostenuto l’ultimo colloquio direttamente con il proprietario della società. La psicologa mi sorrise e mi fece un complimento che però non capii.
Una volta fuori riaccesi il telefono. Controllai la mail. Aveva risposto. Caterina aveva risposto. Fumai prima di controllare quello che mi aveva scritto. Niente. Non aveva scritto niente. Solo tre punti di sospensione. Questo era quanto.
– Hai trovato una più pazza di te – disse Alessandro – prova a parlarle, non scriverle più, la vedi tutti i giorni o quasi, prova a stabilire un contatto.
Così feci. Alla prima occasione mi alzai dalla panchina del secondo binario, mi avvicinai e le dissi: – Ciao Caterina, ti aspetto domenica al bar. Giochiamo alle 15.00.
Non mi rispose né mi guardò, restammo di fianco senza dire una parola, sino all’arrivo del treno.
– Congratulazioni Sergio, lei è dei nostri. Ci sarà da firmare il contratto, ma se ne occuperà con l’amministrazione. Lunedì alle 8.15 inizia la sua nuova avventura lavorativa.
Sorrisi e salutai.
A casa erano in festa. A cena vennero anche mia sorella con marito e figlia. Mamma aveva preparato la cena delle grandi occasioni. Partecipai poco. I giorni che seguirono non vidi Caterina.
La domenica mi presentai al bar alle 14.00. Non c’era nessuno. Presi un caffè e mi sedetti in postazione. Fissavo la televisione ancora spenta. Poi iniziarono a venire i soliti avventori. Pochi minuti prima dell’inizio Giuseppe mi chiese se poteva prendere la sedia di fianco alla mia, gli risposi che aspettavo una persona.
Alla fine del primo tempo Giuseppe guardò me e la sedia vuota mentre andava in bagno.
A venti minuti dalla fine della partita vidi Caterina. Le indicai il posto vuoto. Si sedette, lo sguardo al televisore.
– Domani inizio a lavorare – le dissi – sono diventato commesso in un negozio di giocattoli molto importante. Mi dicono che sia una bella cosa… Stiamo vincendo uno a zero, ha segnato Insigne. Quest’anno sta giocando troppo bene. Devi vedere che gol ha fatto.
Si girò verso di me ci guardammo e io un po’ guardavo lei un po’ guardavo il neo sul collo. Sorrise. Tornò a guardare la partita e mi prese la mano.