Gli incubi di Lovecraft: i ritornanti dall’Altrove

Le origini della figura del morto vivente del folklore haitiano, il cosiddetto zombie, affondano nel folklore caraibico e in quella mistura frutto del retaggio di culti africani, superstizioni cristiane e magia nera, diffusa tra gli schiavi haitiani con il nome di voodoo. Nella tradizione caraibica lo zombie è un essere umano che viene depredato della sua anima dal bokor (lo stregone che pratica tali rituali di magia nera). Secondo la credenza, l’uomo che subisce questa sorta di maleficio, va incontro a una rapida morte, e dopo il seppellimento lo stregone, che tiene prigioniero lo spirito del defunto, può farlo uscire dal sepolcro e asservirlo al suo potere. Sembra che tale credenza abbia una radice reale dovuta a delle pratiche di avvelenamento perpetrate tramite una tossina contenuta nella carne del pesce palla e di alcuni rospi diffusi nelle paludi del luogo. Tale veleno, che agisce provocando paralisi muscolare, opportunamente dosato provocherebbe uno stato di morte apparente, che consentirebbe successivamente ai responsabili di tali nefandezze di assoggettare e ridurre in schiavitù i malcapitati, approfittando dello stato confusionale indotto dagli effetti postumi della tossina e della somministrazione di droghe.

Volendo analizzare il contributo di Howard Phillips Lovecraft alla moderna accezione del morto vivente, ritornante, zombie o qualsivoglia termine si decida di usare, va fatta una premessa doverosa: a differenza di altri illustri narratori americani suoi contemporanei e corrispondenti (vedi il reverendo Henry Stanley Whitehead o Robert E. Howard, che invece ci hanno lasciato mirabili racconti sulle leggende legate al voodoo), il Nostro fin dall’inizio della sua produzione narrativa non appare particolarmente interessato a esplorare le tradizioni magiche degli afroamericani (sebbene lasci trasparire un collegamento tra i tam tam delle popolazioni afro e il culto dei Grandi Antichi in Il richiamo di Chtulhu). Tuttavia, analizzando la sua produzione troviamo alcuni esempi di cadaveri animati in molte sue storie. Uno dei primi esempi è il suonatore di viola che continua imperterrito a suonare anche quando il suo corpo è ormai freddo in La musica di Erich Zann. Sebbene il tema preponderante del racconto sia un altro, ovvero l’onnipresente tema della dimensione dell'”Altrove”, che in questo caso viene evocata usando la musica come chiave d’accesso a una dimensione al di fuori dell’ordinario, l’agghiacciante e macabro finale trova la sua forza proprio in questa immagine grottesca. Altro esempio di storia in cui Lovecraft esplora il tema  del ritorno dalla morte è quella che ha come protagonista l’enigmatico Dottor Muňoz  del racconto Aria fredda. Costui è un dotto uomo di scienza e medicina che, grazie ai prodigi della tecnologia ha scoperto il modo di arrestare il decadimento del suo corpo inanimato. L’uomo si illude di aver sconfitto la morte, spada di Damocle che pende sul capo di ogni sventurato essere umano, e accetta di buon grado tutte le precauzioni e le restrizioni alla propria libertà di movimento che il suo stato comporta, in quanto è costretto a restare sempre nella propria abitazione, ovvero l’ambiente adeguatamente climatizzato che gli consente grazie alle basse temperature di  arrestare, o quantomeno rallentare considerevolmente il processo di decomposizione del suo corpo. Ma un guasto all’apparecchio di refrigerazione del suo appartamento gli sarà fatale, e farà conoscere al narratore della storia un orrore indicibile.

Di ben maggiore interesse, alla luce di quelle che saranno, molti decenni dopo, le evoluzioni della figura del ritornante, è il ciclo di racconti di Herbert West, Rianimatore. Come per molte altre  delle opere che Lovecraft realizzò su commissione, egli non ebbe mai una grande opinione di questo ciclo di episodi scritto per ragioni di sussistenza, e il suo giudizio può apparire, nella nostra ottica da posteri piuttosto ingiusto. Al di là dei pregi di uno stile narrativo qui particolarmente asciutto, il ciclo di Herbert West mostra comunque molte tematiche tipicamente lovecraftiane, a partire da quella tipica della voglia di conoscenza e sperimentazione che finisce per scivolare nella fredda e sfrenata ambizione di superare i limiti umani. Contiene inoltre un interessante sdoppiamento, nelle figure del carismatico e calcolatore protagonista e del suo comprimario narratore della vicenda, dei tratti caratteriali dell’autore mirabilmente sublimati. Ma, soprattutto, i morti viventi presenti in questi racconti presentano caratteristiche anticipatrici degli zombie cinematografici moderni. Essi, frutto di incontrollati esperimenti con un siero che produce in loro una resurrezione imperfetta, sono privi di facoltà senzienti, incapaci di parola, animati da impulsi aggressivi e cannibalistici in ragione di un parziale deterioramento dei loro tessuti cerebrali. Nell’angoscioso finale della storia, dopo aver assediato in massa l’abitazione di Herbert West, il loro sciagurato creatore, ne hanno infine la meglio. L’importanza del precedente lovecraftiano sta anche nel fatto che qui il morto vivente non solo viene svincolato dal folklore caraibico, ma anche da una spiegazione sovrannaturale in senso stretto, anzi questa storia può essere considerata uno dei primi esempi di weird science fiction.

Tale intuizione di Lovecraft resta sostanzialmente un caso isolato, almeno fino al secondo dopoguerra, con l’avvento di Richard Matheson, il quale pone le basi, sia pure indirettamente, per la rivoluzione che il regista George A. Romero più tardi apporterà alla figura del morto vivente originario della cultura caraibica. Alle suggestioni folcloristiche e i culti proibiti degli ex schiavi delle piantagioni si sostituisce il panico da invasione, o da contagio, che nella cinematografia horror e fantascientifica statunitense della metà del Novecento sono entrambi modi per mascherare la psicosi da invasione comunista. Ai riti magici si sostituiscono, come causa del ritorno dei morti, epidemie sconosciute o esperimenti scientifici incontrollati. Lo zombie è pronto quindi a divenire, come avverrà sul finire degli anni ’60, simbolo di disagio sociale e satira della moderna civiltà industriale e delle sue diseguaglianze.

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