“Twin Peaks”, episodi 7-8: Atomic BO(m)B
This is the water. And this is the well.
Drink full and descend.
The horse is the white of the eyes
and dark within.
Succede a volte di avere delle aspettative (alte o basse) su un prodotto culturale, sia esso un film, un libro o una serie TV. Nel caso di Twin Peaks, al di là delle questioni meramente estetiche o di fattura, ci si chiedeva cosa fossero ancora capaci di inventarsi David Lynch e Mark Frost dopo averci mostrato nani, spiriti malvagi e logge nere dal décor surreale, e dopo aver affollato il paesaggio narrativo di tipi umani eterogenei quanto bizzarri.
Gli episodi 7 e 8 confermano ancora una volta l’impressione iniziale: quella, cioè, di trovarsi di fronte ad un magma che solo lo scioglimento (o meglio, gli scioglimenti) ci saprà dire se sia caotico o, al contrario, perfettamente orchestrato. L’esperienza e la familiarità con Lynch portano a credere e forse anche a sperare nella seconda ipotesi: come abbiamo già detto nei contributi precedenti (1 e 2), il caos di Lynch è solo apparente in quanto, anche nei film più apparentemente astrusi come Strade perdute e Inland Empire, il regista ha dimostrato di avere perfetta padronanza e cognizione di quanto andava narrando, non richiedendo altro che dall’altra parte vi fossero spettatori attivi, pronti ad entrare nel mondo che egli andava loro preparando.
Così, se l’episodio 7 sembra voler aiutare a dipanare almeno qualche filo dell’aggrovigliatissima matassa che si va disponendo, quello successivo apre nuovi sorprendenti scenari, oltre a presentarsi come uno dei più affascinanti di tutta la serie. Andando con ordine, il primo dei due episodi dei quali ci andiamo qui occupando, ha un po’ il sapore di un “album di famiglia”, sia per i personaggi che vi agiscono, sia per i numerosi riferimenti con vicende direttamente legate alle due precedenti stagioni. Infatti, vediamo lo sceriffo Truman telefonare via Skype al dottor Hayward (interpretato da Warren Frost, padre di Mark, morto durante le riprese) per chiedergli di raccontare il suo ultimo incontro con Dale Cooper quando questi uscì dalla Loggia Nera dove era entrato per riportarvi a casa la giovane Annie Blackburn (circostanza mostrata in Fuoco cammina con me, il film del 1992 ispirato alla serie). Ancora: scopriamo che i fogli ritrovati nei bagni dal vice-sceriffo Hawk sono tre delle quattro pagine strappate del diario di Laura Palmer grazie alle quali viene ricostruito proprio quell’evento. Inoltre, dopo averla intravista per un breve memorabile attimo nell’episodio 6, facciamo finalmente la conoscenza di Diane (interpretata da un’iconica Laura Dern), la persona con la quale l’agente Cooper era costantemente in contatto nelle prime stagioni. Infine, assistiamo alla telefonata dello sceriffo Truman al fratello malato Harry che non vediamo né ascoltiamo, e alla visita di Benjamin Horne e Beverly Paige in una delle stanze del Great Northern Hotel, dove si ascoltano dei brusii provenienti dalle feritoie del muro, e che sono forse l’inquieto lamento della defunta Jocelyn “Josie” Packard (interpretata, come si ricorderà, da Joan Chen).
L’episodio 7 è uno dei più lineari nello sviluppo narrativo: mostra, infatti, il tentativo di omicidio ai danni del Cooper buono che riesce a neutralizzare il nano Ike “The Spike” Stadtler che appare improvvisamente in scena armato di pistola (come la statua fuori degli uffici dell’assicurazione ripetutamente fissata dall’uomo), l’incontro tra Diane e il Cooper malvagio (che la donna riconosce subito non essere “il Cooper che conosceva”), e la fuga di quest’ultimo dal carcere con la complicità del commissario in una delle scene più enigmatiche del film, in cui si fa misterioso riferimento a delle “zampe di cane” e ad una “fragola”.
Tuttavia, quasi a sconvolgere deliberatamente la messa in ordine (almeno parziale) degli eventi, nell’episodio 8 siamo scaraventati in tutt’altro territorio, sia per quanto concerne i contenuti che la forma scelta. In maniera meravigliosamente improvvisa, infatti, vediamo irrompere e irradiare lo schermo una fantasmagoria dalla potenza visiva debordante, sorprendente, destabilizzante. Dopo i numerosi viaggi nello spazio, ora è il momento di compiere due viaggi nel tempo, che seguono una sequenza in cui Ray sembra uccidere il Cooper malvagio, resuscitato poco dopo da alcune presenze zombesche provenienti dalla Loggia Nera e in mezzo alle quali spunta il volto ghignante di BOB. Nel primo dei due viaggi, si retrocede al 16 luglio 1945, giorno del primo esperimento nucleare effettuato dagli Stati Uniti nel deserto del New Mexico, e denominato “Trinity”. In una lunga sequenza dagli echi kubrickiani (noi abbiamo pensato alla celebre sequenza dell’occhio in 2001: Odissea nello spazio) si assiste ad una sorta di Big Bang posticipato dal quale si sprigionano fumi e molecole, in mezzo ai quali si intravede ancora una volta il volto di BOB. Atomic BO(m)B, verrebbe da dire. La scena era tra l’altro annunciata dalla foto che, nell’episodio precedente, faceva mostra di sé alle spalle di Lynch/Gordon Cole mentre questi era intento a fischiettare in attesa dell’arrivo del collega Albert.
La suggestione kubrickiana viene confermata dal tema musicale scelto, la Threnody for the Victims of Hiroshima di Krzysztof Penderecki, utilizzata anche in Shining. L’orrore ha un volto (quello di BOB) ed ora anche una colonna sonora. Dopo questa formidabile sequenza, Lynch ci porta in un ambiente chiuso, scenograficamente simile a quello di Eraserhead, in cui vediamo il Gigante che contempla su uno schermo alla scena cui noi abbiamo appena assistito. Nella stanza c’è anche una giovane donna cui il Gigante lancia una palla luccicante, all’interno della quale compare il volto di una giovane Laura Palmer, probabile immagine dello spettatore e della visione cui egli sta assistendo. In un formidabile gioco di rispecchiamenti multipli, dunque, il regista guarda al suo cinema mentre lo spettatore “si” guarda nell’atto di contemplare l’oggetto filmico creato dal regista e simboleggiato dalla sua immagine più iconica, la giovane ragazza uccisa, eternata dalla sua foto di reginetta della scuola.
Tra le altre cose, l’episodio 8 è anche la perfetta risposta alla querelle cinema vs. televisione in cui, specie nell’epoca del digitale, la seconda si mostra ormai sempre meno subalterna quando a maneggiare lo strumento è un autore così talentuoso, capace di creare immagini e visioni che il piccolo schermo (questo sì) ha il solo torto di mortificare. L’origine del Male – sembra suggerire questa straordinaria sequenza – non è altro che una scheggia impazzita, una molecola sfuggita dai fumi apparentemente indistinti di un’esplosione, e che l’era nucleare è una sorta di nuovo “Anno Zero” dell’umanità. Il secondo viaggio nel tempo ci porta undici anni dopo quell’evento, nello stesso luogo dove esso avvenne. Alcune figure zombesche, probabilmente le stesse intraviste dopo la presunta morte del Cooper malvagio, si aggirano sull’autostrada: una di esse, che nei titoli di coda viene indicato con l’appellativo di “Woodsman”, si reca nei locali di una radio, uccide due persone e provoca il sonno di altre tre, declamando con voce metallica la strana filastrocca riportata in esergo a questo approfondimento (“Questa è l’acqua. E questo è il pozzo. Bevi fino in fondo e càlati. Il cavallo è il bianco degli occhi e oscuro all’interno”).
Se questo abbia un significato e quale esso sia, al momento non è dato sapere. Non resta anche a noi che “bere fino in fondo” e “calarci” in quella che, al di là del medium scelto e della “oscurità” che si trova “all’interno”, resta una vera e propria scorpacciata di cinema.