Caproni, chi era costui?
L’addio al liceo degli studenti italiani nel 2017 è passato attraverso un illustre sconosciuto. Seduti tra banchi scarabocchiati, per l’occasione opportunamente distanziati, ragazzi e ragazze hanno trovato tra le tracce d’esame i versicoli di un certo Giorgio Caproni.
Caproni, chi era costui? Gli studenti certo lo ignorano. I programmi per i licei comprendono una vasta selezione di poeti contemporanei ma i docenti, nel migliore dei casi, si limitano a citare Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, magari Cesare Pavese, costretti a saltare tutta la poesia che va da Mario Luzi ad Amelia Rosselli. Ciò è dovuto alla mancanza di tempo in relazione alla vastità del programma e alla difficoltà nell’inserire questi poeti in una precisa corrente stilistica. Difatti, le banalizzazioni sono direttamente proporzionali al numero di secoli intercorsi tra la nascita dello scrittore e quella degli studenti. Le due banalizzazioni per antonomasia della letteratura italiana riguardano la figura di Beatrice come donna angelicata, e soprattutto il carattere soporifero del romanzo storico di Alessandro Manzoni. Croce degli studenti italiani con l’unica delizia del ritratto della monaca di Monza.
L’opera di Manzoni, dai versi nella milanese lingua madre fino al fiorentino, è imprescindibile per capire la lingua italiana e le difficoltà di comunicazione all’alba dell’Unità. A scuola tuttavia questa evoluzione, che ha a che fare con la società, e anche con la politica di una storia relativamente recente, viene affrontata in modo acritico e statico. Il libro dei Promessi sposi viene posto dagli insegnanti come pietra miliare della letteratura senza spiegarne il perché. Ciò non basta più: in questo momento storico il valore della letteratura è in discussione e non può arroccarsi dietro dogmi. Il precoce abbandono degli studi indica quanto il sistema scolastico sia incapace di rispondere alle esigenze dei ragazzi.
Gli studenti ignorano che fu Manzoni a forgiare la lingua che dalla Quarantana (l’edizione del celebre romanzo manzoniano pubblicata tra il 1840 e il 1842) è arrivata fino a Caproni, al quale poi è toccato di svelare l’inconoscibilità della poesia, fino a identificarla, in una delle ultime raccolte del poeta, in una Bestia intangibile, espressione stessa dell’uomo creatore d’arte.
Quest’uomo viene rappresentato nei Versicoli quasi ecologici, oggetto della prova di maturità, vincitore nella tradizionale contrapposizione tra cultura e natura; negli ultimi versi tuttavia si comprende che cercando di sottomettere quest’ultima l’uomo provoca la sua stessa rovina. Il componimento, inserito nella raccolta Res amissa, è stato scelto probabilmente per il modo semplice con cui questo tema estremamente attuale viene trattato.
[…] Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.
(Res amissa, 1991)
Nonostante la qualità dell’opera sia in grado di toccare la tanto diffusa sensibilità verso l’ambiente, le critiche sono state numerose. Anche la stampa e i telegiornali hanno alimentato le perplessità per la scelta di questo autore. Con divertimento, le trasmissioni del servizio pubblico si sono interrogate sull’identità di Caproni e sul perché riesumare un autore conosciuto solo a Livorno, sua città d’origine. Un disservizio reso ai docenti che eroicamente hanno portato tra i banchi le sue poesie, e anche agli studenti, perché insinuano la necessità di conoscere perfettamente l’autore e le sue opere per affrontare un’analisi del testo.
Il dileggio nei riguardi della scelta operata dal MIUR, oltre a motivi politici, è da imputarsi alla poca fama del poeta presso il grande pubblico, secondo un’ottica che non premia la qualità delle opere ma la quantità delle ristampe. Qualche anno fa fu oggetto d’esame un testo di Claudio Magris, forse l’autore vivente più importante in Italia. La scelta anche in quell’occasione fu seguita da polemiche, mitigate dalla vendita delle sue opere più che dalla sua qualità di grande autore, espressione di una società mitteleuropea che arriva ad abbracciare anche l’Italia.
Il rigetto della scuola italiana nei confronti di un sapere che non sia solo funzionale al conseguimento di un voto sterile, ma che serva agli studenti per imparare a pensare e a inserire poeti e stili all’interno della giusta corrente, è la conseguenza della svalutazione della classe docente e del mal contento che questa ha causato. La scuola, sfinita, ha rinunciato a educare e a dare una direzione alla spontanea curiosità degli studenti, preferendo spingerli a memorizzare e premiare chi assorbe passivamente senza approfondire, ché l’interrogazione serve per dare un numero. Alla luce di ciò è facilmente è comprensibile il terrore dei maturandi davanti a Caproni. Avrebbero preferito analizzare il testo di un autore ben conosciuto, come Giacomo Leopardi, perché incapaci di eseguire un’analisi testuale che vada oltre la ripetizione meccanica dei luoghi comuni dell’autore.
“Bisogna sapere che don Abbondio si dilettava di leggere un pochino ogni giorno; e un curato suo vicino che aveva un po’ di libreria, gli prestava un libro dopo l’altro. Quello su cui meditava in quel momento don Abbondio […] era un panegirico in onore di san Carlo. Il santo v’è paragonato, per amore allo studio, ad Archimede; e fin qui don Abbondio non trovava inciampo; perché Archimede ne ha fatte di così curiose, ha fatto dir tanto di sé, che, per saperne qualche cosa, non c’è bisogno d’un’erudizione molto vasta. Ma dopo Archimede, l’oratore chiamava a paragone anche Carneade: e lì il lettore era rimasto arenato.”
Nel giorno della prima prova di maturità Leopardi ha fatto la parte di Archimede, contrapposto al misconosciuto Caproni-Carneade.
All’opposto della memorizzazione passiva c’è quella che in modo calzante il giornalista Christian Raimo definisce “fuffa”: gli studenti vengono incoraggiati ad abusare di creatività e invenzione nell’analisi, scrivendo testi fantasiosi e poco pertinenti. Fanno ciò per sopperire alla mancanza di strumenti adeguati, o perché lo stesso professore ne è sprovvisto, o perché ha ritenuto gli studenti non avvezzi a un tipo di lavoro tanto complesso.
Il vuoto nella scuola italiana diventerà il vuoto della cultura italiana, sempre più i ragazzi saranno incapaci di sfruttare le competenze acquisite nel percorso di studi, perché poco allenati a elaborare pensieri ragionati e originali. Questa è la generazione della conoscenza immediata e superficiale. Non si può cambiare il modo di apprendere che le tecnologie e i ritmi di vita hanno messo a disposizione delle nuove generazioni, ma si può cercare di adeguare l’insegnamento a loro, senza snaturare i contenuti.
Probabilmente molti studenti odieranno Caproni e i suoi versicoli, colpevoli di aver insidiato il rito di passaggio verso l’età adulta, ma forse altri saranno spronati a indagare. Fino a riconoscere che, oltre alle ansie dell’adolescenza, la scuola non è solo il luogo per conseguire un voto monetizzabile in concorsi pubblici o soddisfazione genitoriale, ma l’inizio di un percorso finalizzato alla conoscenza e all’ampliamento della propria umanità. Impareranno a distinguere le letture di consumo dalla letteratura, e a inserire un autore all’interno di una linea stilistica variabile ma sempre analizzabile.
La lingua che dalla manzoniana “risciacquatura dei panni in Arno” arriva fino al bestiale possesso espresso da Caproni è frutto di un unico movimento. La continuità all’interno della varietà è ciò che gli studenti dovrebbero essere in grado di cogliere, un lavoro di comprensione e pensiero autonomo, espresso nei termini scientifici propri della materia. Per imparare a riconoscere questa Bestia violenta e multiforme che è la poesia.
La Bestia assassina.
La Bestia che nessuno mai vide.
La Bestia che sotterraneamente
– falsamente mastina –
ogni giorno ti elide.
La Bestia che ti vivifica e uccide…
……
Io solo, con un nodo in gola,
sapevo. È dietro la Parola.
(G. Caproni, Il conte di Kevenhüller, 1986)