Spazio, tempo e altri demoni di Grabinski
“Agli albori del secolo scorso, questo scioccante e sottovalutato scrittore polacco vide l’orrore che infestava la modernità. I suoi fantasmi e i suoi demoni non abitano tombe o rovine, ma treni a vapore, cavi elettrici e le città in rapida espansione. L’antitesi del fantastico nostalgico.”
(China Miéville)
“Un mese dopo, nella stazione l’eco dell’incidente iniziò la sua cupa risonanza. Incominciò con ombre sospette sui muri del magazzino presso il binario 1. Szatera se ne accorse per la prima volta il 1 agosto, al transito del treno merci da Zwijachel. Al passaggio dei vagoni, l’ombra che proiettavano sui vagoni non corrispondeva loro né per dimensioni né per forma.”
(Stefan Grabinski – L’Engramma di Szatera, 1922)
“Entrando nel paese un fetore insopportabile mi invase immediatamente le narici, come un miscuglio di zolfo e asfalto insieme. La fonte della sua provenienza era probabilmente il lago, le cui malsane acque lambivano la parte meridionale dell’insediamento. Non un singolo albero, non un solo filo d’erba rallegrava la tetraggine del villaggio”
(Stefan Grabinski – Il Villaggio Nero, 1924)
Nell’ultimo decennio vi è stata nel nostro Paese una vera e propria riscoperta dello scrittore polacco Stefàn Grabinski (1887-1936). Ciò è dovuto principalmente all’opera benemerita dei tipi della Hypnos, una delle case editrici nostrane più attive nella ricoperta di classici del fantastico. Ciò sebbene il rapporto di Grabinski con l’Italia sia risalente nel tempo: L’Autore aveva visitato il nostro Paese e lo adorava, facendone addirittura l’ambientazione di alcune sue opere, e originariamente due suoi racconti (Il treno fantasma e Segnali) furono tradotti e pubblicati nel 1928 su La Stampa, forse la prima traduzione e pubblicazione fuori dal paese d’origine. Poi, un oblio di quasi un secolo, finché nel 2010 la fanzine Hypnos (che poi si sarebbe trasformata in una rivista di grande cura grafica, e soprattutto in una Casa Editrice specializzata nella riscoperta di autori weird ingiustamente dimenticati) traduce e pubblica altri due racconti, L’area e Nello scompartimento. Nel 2012 Hypnos, divenuta ormai casa editrice a tutti gli effetti, pubblica “Il Villaggio Nero”, volume che raccoglie storie brevi pubblicate originariamente tra il 1918 e il 1924 in antologie diverse, corredato da una introduzione a cura di China Miéville. Nel 2015 invece Stampa Alternativa pubblica Il Demone del Moto. Racconti fantaferroviari, che raccoglie parte della sua prima produzione (alcuni racconti erano già pubblicati nell’antologia della Hypnos). Infine, nel 2017 Il Villaggio Nero viene ripubblicato nella collana Urania Horror, in un volume, Cerimonie Nere, che accompagna a Grabinski due romanzi horror, La Città Vampira di Paul Fèval e La Cerimonia di Laird Barron. Si auspica che in futuro vengano tradotti in italiano i suoi romanzi(quattro pubblicati durante la sua vita, più un paio di opere rimaste incompiute o allo stadio di manoscritto) o che il corpus delle sue storie brevi, pubblicate durante la sua vita in sette antologie, possa trovare traduzione integrale.
Qual’è l’importanza di un autore come Stefàn Grabinski? Tutt’ora definito il “Poe polacco” o il “Lovecraft polacco” (di quest’ultimo, in effetti, fu anagraficamente coevo), tali definizioni a un attento esame della poetica di Grabinski si rivelano alquanto restrittive, se non del tutto fuorvianti. Difatti, sebbene possano ravvisarsi similitudini, soprattutto nel raffronto con Poe, esse sono molto di superficie, e legate alla struttura e le trame delle sue storie, che seguono i canoni tipici del tradizionale racconto gotico e del weird moderno, che proprio Poe ha contribuito in larga parte a codificare. Laddove viceversa il retroterra e il contesto storico e geo-culturale che ispira le opere dell’autore polacco è radicalmente, sostanzialmente diverso.
Grabinski si mostra approfondito conoscitore della tradizione letteraria gotica del secolo precedente (in alcuni racconti, in particolare l’Area, si può leggere un trasfigurato riferimento al capolavoro di E. T. A. Hoffmann L’uomo della sabbia). Del resto egli era anche, oltre che letterato e filologo, studioso delle religioni e della demonologia. Tuttavia, se la struttura delle sue storie è tipica dei canoni del racconto gotico, weird o soprannaturale, con tutti gli elementi tipici del genere (ampio spazio a sequenze oniriche, il realizzarsi frequente della tipica “esitazione” teorizzata da Todorov, ovvero il dubbio instillato nel lettore se l’evento fantastico si è realmente verificato oppure è frutto di una falsa percezione legata a un disagio psichico), le tematiche delle storie rappresentano con frequenza una rottura rispetto alla tradizione precedente, caratterizzando Grabinski come uno degli autori più innovativi della sua epoca. Due sono principalmente i leitmotiv che, nelle sue storie, si sovrappongono e predominano nella tessitura di stampo gotico delle sue trame: da un lato il ruolo sempre più predominante delle scoperte scientifiche e tecnologiche, capaci non solo di ridefinire la concezione del mondo da parte dell’umanità, nonché di modificare in modo radicale il nostro modo di vivere, la nostra concezione delle distanze e dello scorrere del tempo; per altro versante, gli studi di psicanalisi, avanguardistici per l’epoca.
La visione della realtà e dei suoi fenomeni secondo Grabinski riflette il contesto culturale dell’Europa a cavallo tra le due guerre mondiali: una società che, accantonato l’iniziale entusiasmo per i rapidi progressi tecnologici dell’inizio Novecento, si confronta con la faccia oscura dell’età moderna: da un lato l’infrangersi dell’ottimismo della Belle Epoque nella tragedia della Grande Guerra, l’accresciuto potenziale distruttivo degli arsenali militari, ma anche il potenziamento dei mezzi di trasporto, che arriva a ridefinire in modo drastico la nostra idea del movimento, delle distanze spaziali, dello stesso scorrere del tempo. Emblema di questa tematica si può considerare il trasporto ferroviario, motivo ricorrente in modo quasi ossessivo nei suoi racconti. Scelta non casuale, considerando che almeno agli albori del Novecento (quando fu soppiantato come avanguardia tecnologica dall’invenzione dell’aeroplano), il treno fu la più rappresentativa icona dell’avanzare del progresso e della civiltà industriale. Esso diviene nell’opera di Grabinski non solo catalizzatore ed evocatore di entità astratte che trovano incarnazione in forma umana (Il demone del moto), ma anche microcosmo in grado di alterare i comportamenti del viaggiatore e la percezione del proprio sé (Nello scompartimento), mentre le stazioni ferroviarie divengono crocevia di energie misteriose, inesplicabili fenomeni a metà tra déjà-vu e manifestazione spettrale, veri e propri loop di una realtà i cui meccanismi fenomenici si scoprono ineffabili e pericolosi (L’Engramma di Szatera) D’altro canto, ulteriore attrito interiore viene all’uomo dall’impietosa indagine della nascente psicanalisi, che ridefinisce e degrada a fenomenologia meccanicistica e sintomo patologico le manifestazioni oniriche e le alterazioni della percezione nello stato di veglia. Così, molti racconti si muovono in bilico tra cronaca di degenerazioni della psiche e la manifestazione terrena di entità astratte e trascendenti (il Tempo in Saturnin Sektor; l’elemento del fuoco in La vendetta degli elementi). Il tutto in uno stile conciso ma funzionale al senso di straniamento che assale i protagonisti delle storie, soprattutto nelle narrazioni in prima persona. Per questo Grabinski viene paragonato al Kafka delle sue pagine più ambigue e disturbanti, e può accostarsi anche a quelle più angosciose del ceco Karel Čapek, altro coevo che s’interessò, nella sua narrativa breve, dell’indagine sul relativismo delle percezioni e i misteri della psiche umana. Neppure l’erotismo resta fuori dalla sua visione angosciosa, anzi proprio su questo tema Grabinski elabora alcune delle sue storie più disturbanti, spesso venate da suggestioni necrofile: cronache di predazione vampirica riletta in chiave assolutamente moderna (A casa di Sara), o di ossessioni erotiche verso donne perite in circostanze tragiche (il celebre L’amante di Szamota, unica sua opera ad avere una trasposizione cinematografica); potrebbe aver influito la sua fallimentare esperienza coniugale(ulteriore elemento biografico in comune con H. P. Lovecraft). Da quanto detto finora, si evince che Grabinski è in realtà un precursore di tematiche che la letteratura weird svilupperà solo alcuni decenni dopo. La sua poetica di fantasmi generati in stazioni ferroviarie, nelle ciminiere industriali (Il Bianco Lemure), e in generale nei luoghi di aggregazione e coesione urbana anticipa in qualche modo la rivoluzione annunciata nel secondo dopoguerra da Fritz Leiber con il suo racconto-manifesto Fantasma di fumo: presenze arcane che non sono il retaggio di superstizioni sopravvissuti al progresso e preservate in località isolate e lontane dalla civiltà tecnologica. Al contrario, le presenze evocate da Grabinski sono il collaterale, e forse necessario, compendio di inquietudini e fobie evocate dalla modernità, la faccia oscura del progresso tecnologico che destabilizza i ritmi fisiologici dell’essere umano.
Anche nei racconti di stampo più marcatamente onirico e che sembrano invece investigare maggiormente le problematiche della patologia mentale, questa ossessione per gli oscuri contraltari del progresso è sempre sublimata: Nella descrizione dello spaventevole Villaggio Nero che nel racconto omonimo il protagonista visita durante un vivido incubo, a onta dell’atmosfera apparentemente fuori dal tempo e della modernità, l’ambiente porta inequivocabili stimmate d’inquinamento e degenerazione ambientale: l’orribile lago di acque bituminose adagiato su un letto d’asfalto a ridosso del misterioso villaggio sembra uscito, più che dalla penna di un autore gotico, dalle più orride fantasie di uno scrittore di fantascienza post-atomica.
In queste storie dal respiro metafisico e ampio spazio a digressioni filosofiche, l’uomo non è semplicemente vittima od osservatore passivo di fenomeni immanenti. Al contrario, egli stesso è un fondamentale catalizzatore innescando, grazie ai suoi ricordi e alla sua brama di rivivere determinati eventi, quella sorta di fantasmi sui generis che popolano queste pagine, oppure di svelare con il suo sguardo una dimensione di realtà “aliena” (Lo sguardo). Anche perché l’uomo è portatore della essenziale forza creatrice rappresentata dal pensiero. Emblematico di tale concezione poetica è il piccolo capolavoro L’Area, largamente autobiografico, con protagonista uno scrittore ritiratosi dalla vita pubblica e dalla produzione artistica (triste profezia dell’ultimo scorcio di vita di Grabinski, segnato da sempre nel fisico e nell’animo da una tubercolosi contratta in età precoce). La morbosa fantasia dello scrittore Wrzesmian si concentra sull’abitazione disabitata antistante alla sua, giungendo a dare corpo e auto-consapevolezza alle inquietudini che infestano la sua mente. In questo magistrale capovolgimento del canone classico della casa stregata, una mente turbata finisce per infestare in maniera letale un luogo in origine disabitato e innocuo.
Vissuto in povertà e solitudine negli ultimi anni della sua esistenza, Grabinski è stato salvato da un imperdonabile e ingiusto oblio soprattutto grazie all’opera di Miroslaw Lipinski, scrittore americano di origine polacca, che ne ha tradotto buona parte dei racconti brevi in lingua inglese. Molto stimato dal celebre autore di fantascienza Stanislaw Lem, ammirato da un grande del weird moderno come Thomas Ligotti, Grabinski resta tuttora un autore in grado di perturbare e far riflettere, al pari di altri che, dopo di lui, hanno seguito la sua lezione cercando di esorcizzare gli spettri e le inquietudini della società tecnologica.
Nota: gli estratti dai racconti L’Engramma di Szatera e Il Villaggio Nero sono tratti dall’antologia Il Villaggio Nero (2012, Edizioni Hypnos) nella traduzione realizzata da Andrea Bonazzi.