“Twin Peaks”, episodi 13-14: è il futuro oppure il passato?

Tutto ciò che vediamo o sembriamo
non è altro che un sogno dentro un sogno
Edgar Allan Poe, A Dream Within a Dream

Audrey Horne vuole andare alla ricerca del suo amante Billy ma non vi riesce perché psicologicamente intrappolata in casa ed incapace di uscirne. In una scena che suscita una profonda inquietudine Sarah Palmer sta guardando un incontro di boxe alla TV ma ben presto ci accorgiamo che l’apparecchio proietta la stessa scena all’infinito, scena che diventa una sorta di litania simile a quella dell’orso di pezza che, nella puntata 10, salutava Johnny Horne, il fratello debole di mente di Audrey. In uno dei momenti più struggenti della serie, Jimmy si esibisce al “Roadhouse” intonando “Just You”, la canzoncina semplice e un po’ banale che una volta dedicò a Laura Palmer e all’amica del cuore Donna, accoccolate sul pavimento ad ascoltarlo [una comparazione delle due sequenze è riportata nel video in calce a questo contributo]. Gordon Cole racconta ad Albert e Tammy un suo sogno (peraltro ricorrente) in cui Monica Bellucci, nella parte di sé stessa, gli dice: “Siamo come il sognatore che sogna e poi vive dentro il sogno. Ma chi è il sognatore?”, costringendo poi Gordon a voltarsi e a contemplare un’immagine di sé giovane (la scena è presa direttamente da Fuoco cammina con me) mentre Philip Jeffries (interpretato da David Bowie, cui la puntata 14 è dedicata) gli chiede se sia sicuro di conoscere la vera essenza di Dale Cooper. Così, mentre dopo la dislocazione e il decentramento dei primi episodi, tutto sembra pronto per la resa dei conti che dovrà necessariamente avere come palcoscenico Twin Peaks, tutti i personaggi della serie sembrano rinchiusi dentro delle vere e proprie trappole, oppressi dall’incapacità di agire, vittime di sé stessi, destinati alla reiterazione degli stessi errori, imprigionati dal peso dei propri ricordi e delle proprie ossessioni.

Come abbiamo visto, questa sorta di vizio e di colpa coinvolge il regista stesso e sembra raggiungere e prolungare la sua ombra anche sullo spettatore nel momento in cui David Lynch inventa e mette in campo alcune sequenze in cui i personaggi contemplano attraverso uno schermo le vicende di cui sono (o sono stati) protagonisti. Infatti, queste sequenze possono appartenere al presente, come nella scena in cui il “Bad Cooper” si vendica di Ray assassinandolo mentre il resto della banda assiste all’omicidio da uno schermo collocato all’interno del covo, oppure al passato. In questo caso, oltre alla già ricordata scena del sogno di Gordon, è possibile citare quella in cui Andy, catapultato nella Loggia Bianca, si trasforma da personaggio in spettatore di alcuni momenti dell’episodio 8 fino a vedere poi sé stesso insieme all’amata moglie Lucy, sotto lo sguardo vigile del Gigante, che finalmente si presenta a lui (e allo spettatore) definendosi “Fireman”, probabilmente il Vigile del fuoco, incaricato di provare a spegnere l’incendio del Male e della sofferenza.

Infatti, la tenebra e la violenza non smettono di assediare l’immaginaria cittadina statunitense: l’orrore prorompe quando, all’interno di un bar, Sarah Palmer spalanca letteralmente il suo volto mostrandone l’interno oscuro prima di mordere a morte un avventore alquanto screanzato. Intanto, nella foresta lo sceriffo Truman, Andy, Bobby e Hawk (mentre sono alla ricerca del palazzo immaginario di Jack Rabbit, di cui il maggiore Briggs narrava al figlio Bobby) scovano Naido, la donna senza occhi incontrata da Cooper nella Loggia Bianca nel corso della puntata 3 e la portano al sicuro in una cella dove si trova rinchiuso anche un misterioso uomo dal volto tumefatto che vomita saliva e sangue, e che potrebbe forse essere Billy, l’amante di Audrey, scomparso misteriosamente.

Con la consueta, sapiente alternanza di tempi dilatati e scorci fulminei, di sequenze dal tono lieve e scandite da racconti, e da momenti di distensione, che anticipano o seguono esplosioni horror, David Lynch sta accompagnando ormai lo spettatore verso l’incontro tra i due Cooper, la cui esistenza è divenuta ormai nota agli agenti dell’FBI che sono sulle sue tracce. Difficile dire se la conclusione di questo lunghissimo film di circa diciotto ore porterà ad una quadratura del cerchio perfetta o quantomeno accettabile. Ma, a dire il vero, questo forse importa meno perché ancora una volta Twin Peaks – The Return ci ha mostrato la sua essenza di opera aperta, il cui andamento sembra essere circolare piuttosto che orizzontale, simile a quel loop infinito dentro cui sono rinchiusi i personaggi, o alla spirale che li trasporta dentro i mondi paralleli delle Logge, mondi che si trovano vicinissimi, al limitare del bosco, lì dove iniziano e si rammemorano racconti infantili.

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