Venezia 74, “First Reformed” di Paul Schrader: l’ultima tentazione di Toller
In una giornata d’apertura tutta all’insegna del cinema statunitense, dopo il film d’apertura Downsizing di Alexander Payne, ieri sera è stata la volta di First Reformed, il nuovo, straordinario parto creativo di Paul Schrader. Il titolo fa riferimento ad un’antica chiesa luterana della quale è parroco Toller, un ex cappellano militare devastato dal dolore per la perdita dell’unico figlio, che aveva lui stesso spinto ad arruolarsi per andare a combattere in Iraq, in obbedienza agli ideali patriottici ereditati dalla famiglia. Pastore con poche pecore da accompagnare, Toller viene un giorno avvicinato da Mary, una giovane ragazza in attesa di un figlio, preoccupata per lo stato mentale del marito Michael, afflitto da una profonda e inguaribile depressione e al quale Toller cerca invano di elargire conforto e consiglio spirituale.
Da sempre interessato ai temi spirituali, nel corso della sua carriera il regista e sceneggiatore del Michigan ha più volte descritto gli impervi labirinti spirituali percorsi da anime tormentate, raccontando storie di uomini alla ricerca dell’atto o del gesto capaci di riscattare una vita trascorsa sotto il segno della mediocrità o della disfatta. La lista potrebbe essere lunga: dal celeberrimo Travis Bickle di Robert De Niro in Taxi Driver di Martin Scorsese ai più recenti Affliction e Adam Resurrected (da lui anche diretti) passando per L’ultima tentazione di Cristo e Al di là della vita, altre due sceneggiature firmate da Schrader e dirette da Scorsese. Presentando First Reformed, in corsa per il Leone d’oro, il regista ha parlato di un’opera pensata da lungo tempo, covata per circa cinquant’anni e scritta poi di getto, dopo una conversazione con Paweł Pawlikowski, regista polacco il cui Ida, altra storia a sfondo religioso, si aggiudicò due anni fa l’Oscar come miglior film straniero.
Il film, per quanto schraderiano a diciotto carati, è ricco di rimandi e filiazioni e si ispira a tutta una serie di opere del passato, modelli cui il regista guarda con attenzione ma che poi rimastica e rielabora attraverso il suo stile e la sua poetica. La storia è narrata attraverso la voice over del protagonista (un intenso Ethan Hawke) che tiene un diario, come il protagonista del capolavoro Diario di un curato di campagna di Robert Bresson, espediente già utilizzato da Schrader ne Lo spacciatore. Inoltre, il rapporto tra Toller e la giovane coppia di sposi e gli sviluppi narrativi non possono non richiamare alla mente Luci d’inverno di Ingmar Bergman. Tuttavia, c’è uno scarto significativo rispetto all’opera del regista svedese: mentre il pastore Tomas Ericsson interpretato da Gunnar Björnstrand lamentava il silenzio di Dio e la perdita della fede, l’assillo di Toller è meno metafisico e “astratto”, basato principalmente sul senso di colpa per la perdita del figlio, ma anche sulla preoccupazione per le sorti della Terra, sempre più avviata sulla via della distruzione ad opera degli uomini. Toller non dubita mai di Dio ma dei suoi simili, chiedendosi semmai se il primo potrà mai perdonare i secondi per avere messo a soqquadro la sua creazione.
First Reformed ha, tra i vari meriti, quello di una sceneggiatura straordinaria, che ha i suoi punti di forza nella densità dei dialoghi, secchi e precisi, nel perfetto equlibrio degli elementi, nella capacità di saldare le parti con il tutto, nel perfetto disegno dei personaggi. Condividendo con il film d’apertura il tema della difesa dell’ambiente, il grande film di Schrader riesce a coniugare in maniera quasi miracolosa il tema politico collettivo (la difesa dell’ambiente) con la vicenda tutta personale di un’anima alla ricerca di salvezza. In questo senso, la critica al trumpismo, con la sua crociata contro la tesi del riscaldamento globale, viene sviscerata in maniera esplicita nel corso della narrazione.
E’ sicuramente presto per dire se un’opera così ricca e affascinante possa candidarsi ad uno dei massimi riconoscimenti, specie se si considera che si tratta di un film forse non per tutti i palati e che potrebbe provocare spaccature all’interno della Giuria, solitamente composita per gusti e preferenze, della Mostra. Quello che è certo è che un Concorso come quello veneziano non può che guadagnare dalla presenza in competizione di lavori come questi, spiazzanti e per certi versi annichilenti, ma che fanno comprendere una volta di più il bisogno di figure come quelle di Paul Schrader nel panorama cinematografico internazionale.