Venezia 74, “The Leisure Seeker” di Paolo Virzì ovvero sotto il vestito niente
Oggi il Concorso veneziano ha dato spazio al primo dei quattro film italiani in corsa per il Leone d’oro, The Leisure Seeker, il nuovo film di Paolo Virzì, tratto da una novella di Michael Zadoorian, In viaggio contromano, che ha portato il regista livornese a girare per la prima volta negli Stati Uniti. La storia ruota attorno a John e Ella Spencer, due anziani coniugi, entrambi in precarie condizioni di salute (Ella ha un cancro ma è lucida e vitale, John è affetto dal morbo di Alzheimer, ma ancora fisicamente forte), che un bel giorno decidono di partire all’insaputa dei figli a bordo di un vecchio camper, chiamato appunto “The Leisure Seeker”, con il quale la coppia era solita viaggiare negli anni ’70. La destinazione è Kay West, dove si trova la casa natale di Ernest Hemingway: John è infatti un professore di lettere ormai in pensione che, nonostante i suoi disturbi, è ancora capace di mandare a memoria interi brani tratti dalle opere dell’autore de Il vecchio e il mare. Tra momenti rischiosi, proiezioni di vecchie diapositive e avventure esilaranti, il viaggio sarà anche un’occasione per ripercorrere la storia del loro amore e portare alla luce anche qualche segreto…
Diciamo subito che gli applausi scroscianti e convinti che hanno salutato i titoli di coda del film in Sala Grande al termine della seconda proiezione per la stampa ci trovano decisamente in disaccordo. Secondo road-movie consecutivo di Virzì dopo La pazza gioia, The Leisure Seeker è un’opera che trasferisce molto dello spirito del film precedente: lì si provava ad indagare il disagio psichico, qui si mettono al centro i problemi legati alla senilità. Ci siamo trovati di fronte una commedia che vanta una buona confezione ed un ritmo agile e scorrevole ma che si rivela ben presto più astuta che profonda, nel suo continuo ammiccamento allo spettatore, nel suo crogiolarsi dentro cliché abusati e risaputi e facendo ampio sfoggio di tutte le situazioni classiche del film di viaggio. Ti aspetti, ad esempio, che la polizia prima o poi fermerà i fuggiaschi dando vita ad un momento di paura e suspense ed ecco John sbandare col mezzo e una volante inseguire la coppia. Il mezzo potrebbe rompersi o guastarsi e puntualmente una gomma scoppia, i due potrebbero finire minacciati da balordi e allora compaiono i soliti giovinastri che tentano una rapina. Inoltre, con l’elezione di Donald Trump gli Stati Uniti rischiano di diventare un Paese peggiore o lo sono già diventato (ma sarà poi davvero così?) e vai con la scena-spot contro il nuovo inquilino della Casa Bianca. Sebbene il regista, con scelta intelligente, si tenga lontano dai luoghi canonici e dagli scenari classici del viaggio on the road, sostituendo l’iconica Route 66 del libro con la più anonima Route N. 1, il film appare come una giustapposizione di scene, qualcuna delle quali riuscita e divertente, altre inutilmente reiterate e poco felici, senza che vi sia una vera progressione drammatica e una reale capacità di scavo psicologico dei personaggi. The Leisure Seeker finisce così per reggersi quasi esclusivamente sulle spalle dei due protagonisti, Donald Sutherland e Helen Mirren (entrambi eccellenti), il cui mestiere non basta a riscattare un’opera troppo preoccupata di piacere e troppo prudente rispetto alle situazioni scabrose, immediatamente seppellite da un gag ogni volta che si presentano. Sceneggiato dal regista insieme a Stephen Hamon (scrittore dal quale il regista aveva tratto Il capitale umano), Francesco Piccolo e Francesca Archibugi, The Leisure Seeker è quindi una saga del déjà-vu, un film convenzionale incapace di andare oltre l’apparente scintillio dell’abito della festa.
Sempre per il Concorso, inoltre, ieri è stata invece la volta del delizioso La villa di Robert Guédiguain, opera che condivide con il film di Virzì il tema della vecchiaia ma che, diversamente dal film italiano, è ambientata in un unico luogo (la magione del titolo) e punta su uno stile asciutto e misurato. La vicenda ruota attorno ad una riunione familiare di tre anziani fratelli (due uomini e una donna) che vengono in soccorso del padre, colpito da un ictus, e cercano di fare i conti con gli screzi e le tensioni del passato. Regista il cui cinema indaga da sempre i rapporti umani e mette spesso al centro il tema della lotta di classe, Guédiguain è considerato da molti una sorta di “Ken Loach francese”. Quasi in ossequio al dettame di François Truffaut secondo il quale il cinema va fatto con le persone che si amano, l’autore marsigliese mette in scena qui i suoi attori-feticcio, tra cui la moglie Arianne Ascaride e Jean-Pierre Darroussin, per parlare con sobrietà e delicatezza di temi importanti come i legami (e i conflitti) familiari, il rapporto tra i vecchi e i giovani, gli ideali politici che il regista vorrebbe eterni e inscalfibili e, naturalmente, l’amore. Che va e viene, proprio come la vita.