Horror Ex Machina
La nascita e la popolarità del moderno racconto dell’orrore coincidono storicamente con l’affermarsi della cultura illuministica e, nel prosieguo del suo sviluppo, con la rivoluzione industriale e un’epoca di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. I progressi della scienza medica, fisica e filosofica, nonché l’affermarsi di nuove tecnologie, costituiscono non solo dettagli d’ambientazione e contesto, ma leitmotiv ispiratori di molti capisaldi del romanzo gotico quali Frankenstein, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde, Dracula. Pochi decenni dopo, i progressi dell’esplorazione terrestre, della scienza astronomica e della fisica saranno elementi ispiratori dell’opera di Lovecraft, il quale affranca definitivamente il racconto perturbante dalle sue radici gotiche e dall’ingombrante bagaglio di superstizioni e credenze popolari, per arrivare a concepire il concetto di “orrore cosmico”. Non deve quindi meravigliare che la narrativa dell’orrore sia particolarmente sensibile a recepire i cambiamenti della società e la vita dell’uomo.
Nel Novecento il rapporto sempre più stretto con gli strumenti tecnologici e il loro ingresso in tutti gli aspetti del vivere quotidiano si riverbera anche nella letteratura weird. E se in precedenza le riflessioni sullo sviluppo scientifico e tecnologico della società erano state appannaggio della narrazione di “science fiction”, con sempre più frequenza in questo secolo l’epicentro delle paure più inconsce e inconfessabili non è più legato ai mostri e gli spauracchi del folklore e delle leggende, ma esse si focalizzano sulle tecnologie e le macchine che la società dei consumi ha reso accessibili a pressoché ogni individuo. In un’analisi di questi mutamenti culturali non può non menzionarsi l’importante movimento cyberpunk, che soprattutto nei primi anni ’80 (in modo per certi versi parallelo a quanto avveniva nell’horror con il movimento splatterpunk) in aperta rottura con la fantascienza tradizionale e legata all'”Epoca d’Oro” del genere, introduce elementi perturbanti nella narrazione, interrogandosi sulle conseguenze e l’impatto sull’essere umano delle nuove tecnologie e le trasformazioni, fisiche e mentali, che egli subisce in conseguenza. Ciò è particolarmente vero quando osserviamo la produzione cinematografica di questo periodo, in cui importanti registi si fanno ambasciatori di un nuovo senso estetico e una nuova visione del perturbante che si interroga sul tema della mutazione organica da un lato, e della commistione e fusione tra organico e meccanico dall’altro. Pensiamo a David Cronenberg e John Carpenter, esponenti del cinema della “Nuova Carne”. Pensiamo al Ridley Scott di Blade Runner, che mette in scena il confronto tra uomo e androide e anche la visione di una società abbruttita e iper-tecnologica, e alle contaminazioni biomeccaniche di Alien. Le opere che abbiamo citato sono alternativamente etichettate come di genere fantascientifico oppure horror, segno che in un certo senso le distinzioni di genere iniziano a divenire prima elastiche e poi così labili da perdere, in un certo senso, significato. Man mano che nuove generazioni di autori si affacciano sulla ribalta internazionale diverrà sempre più arduo in molti casi stabilire netti confini tra il weird e la fantascienza, al punto che si assisterà alla nascita di un nuovo sottogenere definito weird science fiction.
Il tema del controverso rapporto tra l’uomo e la tecnologia traspare già dalle opere di un geniale autore polacco attivo a cavallo tra le due guerre, Stefan Grabinski, il quale, pur restando nell’alveo stilistico del racconto gotico, introduce elementi perturbanti legati alla quotidiana modernità. In America è Fritz Leiber a indicare la strada che altri seguiranno nell’immediato dopoguerra, ovvero quello dell’altra faccia, minacciosa e subdola, della società tecnologica in cui viviamo.
Richard Matheson è sicuramente un autore che si è mosso con estrema disinvoltura tra i confini di genere, con una produzione letteraria spaziante dal weird più classico e pulp alla fantascienza distopica, dal racconto paranoico a scenari futuribili e spesso distopici. In molti dei suoi racconti brevi gli oggetti tecnologici di uso comune possono rivelarsi minacce mortali. Un esempio è il televisore in Su dai canali, che si rivela il varco d’accesso per creature minacciose la cui provenienza resta sconosciuta. In Vibrazione, un organo elettrico da chiesa rivela una minacciosa vita propria.
Parallelamente, in altri racconti Matheson affronta a partire dagli anni ‘50 il tema del confine tra umano e artificiale, tra biologico e meccanico. In Deus ex Machina il protagonista si taglia radendosi e vede fuoriuscire dalla ferita olio lubrificante e cavi elettrici al posto del sangue (forse un omaggio, oppure rimando casuale, nel film cult Tetsuo (1989) di Shin’ya Tsukamoto il protagonista scopre anche lui mentre si fa la barba i primi sintomi della sua mutazione biomeccanica). In Lazzaro 2 il cervello di un giovane suicida viene trapiantato in un corpo robotico, per assecondare il desiderio dei genitori di riaverlo in vita. Altri racconti indagano il controverso rapporto tra umano e meccanico in chiave più marcatamente distopia e futuribile, ma non meno perturbante. In Fratello della macchina scopriamo quanto è labile il confine tra il disagio esistenziale di un essere umano e quello di un androide artificiale. In Quando chi è sveglio si addormenterà l’esistenza dell’umanità futura è totalmente asservita alla manutenzione delle macchine che ne assicurano la sussistenza, mentre le droghe falsano la percezione della realtà per assecondare il desiderio umano di avventura e impedire l’estinzione della specie. In Acciaio il protagonista combatte un match di boxe contro un automa che riproduce fedelmente le fattezze umane, mentre egli stesso combatte fingendosi viceversa un automa, in un sottile gioco di imitazione reciproca il cui spunto finisce per passare in secondo piano di fronte alla magistrale descrizione di questo scontro drammatico che contrappone la carne e il metallo.
Il tema del rapporto tra uomo e macchina è presente, seppure in modo latente, anche nella celebre novella Duel. La caratterizzazione sia del protagonista, Mann, che di Keller, il folle camionista senza volto che lo perseguita sulle autostrade della California è espressione di una società contemporanea in cui il mezzo di trasporto individuale finisce per divenire un’appendice anatomica e mentale dell’uomo. Mentre Keller resta indefinito nelle sue caratteristiche somatiche(tranne che per le mani, non a caso l’appendice del corpo che interagisce direttamente con il camion), il suo mezzo di trasporto è descritto e caratterizzato con dovizia di particolari. Lo stesso Mann è descritto come un individuo che trascorre buona parte della sua vita quotidiana in viaggio sulla sua auto, con la quale arriva ad avere una relazione così stretta e istintiva da farla apparire quasi un’appendice del suo corpo. Da questo racconto lungo Steven Spielberg trarrà il suo fortunatissimo debutto cinematografico. E proprio questo film sarà d’’ispirazione nelle sue atmosfere di teso e paranoico road movie per un celebre film di fine anni ’70, La macchina nera, in cui una inquietante automobile Lincoln priva di conducente terrorizza gli abitanti di un villaggio texano.
James Ballard è un autore che si è distinto per aver concepito delle narrazioni distopiche che partono dall’analisi del umanità dell’epoca post nucleare per arrivare a brillanti e impietose riflessioni sui malesseri più profondi della società industriale e post industriale. In Il condominio, l’utopistica visione di un architetto che ha costruito un modernissimo complesso residenziale naufraga nell’alienazione e il conseguente abbruttimento a uno stato tribale dei suoi occupanti. In Crash, la riflessione sul decorso psicologico post traumatico delle vittime di incidenti stradali porta a teorizzare una nuova concezione dell’erotismo: culto della velocità e dell’automobile, brivido del pericolo, voyeurismo macabro e feticismo per le mutilazioni e le cicatrici, sono e altre le pulsioni cui soggiaciono i protagonisti del romanzo, in una destrutturazione e rielaborazione spesso violenta e traumatica delle regole dell’attrazione e della sessualità.
Altro autore che, muovendosi con disinvoltura tra fantascienza e horror è assurto nel tempo a pioniere della già menzionata weird science fiction è Harlan Ellison. Il celebre Non ho bocca e devo urlare è un esempio di perfetta alchimia tra fantascienza post apocalittica e atmosfere orrorifico – visionarie. Le macchine pensanti delle varie nazioni belligeranti della guerra del futuro si sono unite in una coscienza collettiva che ha spazzato via i suoi creatori, mantenendone in vita solo uno sparuto gruppo di sopravvissuti. Il potere raggiunto dalla Macchina Suprema sulla materia è tale da riuscire a preservarli dall’invecchiamento biologico per sottoporli a infinite ed eterne sevizie, incluso il riplasmarli nelle forme di suo gradimento. Qual’è la ragione del dichiarato, implacabile ed eterno odio che essa nutre per l’umanità? Forse un retaggio della sua originaria costruzione a fini militari? Forse un riflesso della natura della razza umana che l’ha creata? Ellison non ce lo dice, ma ci viene naturale interrogarci non solo di quanto sopravviva della condizione e dignità umane nel protagonista narrante alla fine della storia, ma anche quanto vi sia di umano nel sadismo della macchina che lo tiranneggia.
Stephen King è un autore che si può considerare continuatore naturale del weird sensazionalistico e pulp delle riviste americane della prima metà del secolo scorso. Molte opere strizzano l’occhio, pur con uno stile moderno e accattivante, al gotico soprannaturale e ai suoi epigoni in Lovecraft e Matheson. Tuttavia non mancano nei suoi racconti macchinari che rivelano una vita minacciosa. Tra i primi esempi ci sono la macchina da lavanderia industriale in “The mangler” (che si rivelerà posseduta da un demone)e gli automezzi che si rivoltano contro l’umanità in Camion (di cui egli stesso diresse una liberissima e non memorabile trasposizione cinematografica). Ma l’esempio più iconico è certamente Christine, la Plymouth protagonista del romanzo omonimo. Arnie non è l’unico tra i vari outsider che trovano completamento della propria identità nel rapporto con la propria auto tra quelli che popolano le pagine di King, ma di certo ne realizza la descrizione più dettagliata e interessante. L’automobile protagonista della storia non è solo dotata di vita propria e di capacità autoriparanti, ma riesce a condizionare la personalità del suo “padrone” fino a rovesciare il rapporto di appartenenza. Del romanzo John Carpenter realizzerà una riuscita trasposizione cinematografica nel 1978. Proprio da Carpenter e altri registi verranno opere che nel decennio successivo si interrogheranno in modo più esplicito sulla contaminazione più fisica e intima tra organico e meccanico, tra umano e artificiale.