Il fascino ribaldo di Firefly
Pensando a serie sfortunate come Firefly di Joss Whedon ci si domanda se sia servito più fegato per produrre un telefilm così fuori dai canoni, oppure per farlo cessare dopo soli 15 episodi. Trattandosi di una manciata di puntate deliziose, con protagonisti bravi e affiatati, script graffianti e tempi serrati, non c’è una spiegazione valida, ciononostante l’equipaggio dell’astronave “Serenity” ha salutato per sempre il suo pubblico nel dicembre del 2002. Davvero un bel regalo di Natale.
Questa defezione dovuta ad aride questioni di numeri, per contrappasso vedrà la rivincita del telefilm nel mercato dei DVD in cui la seria ha avuto un’impennata di vendite non comune, vincendo nel 2003 un Emmy Award per gli effetti speciali visuali e continuando a restare nel cuore dei fans attraverso altri media come fumetto e videogiochi, fino a diventare un film nel 2005.
Il suo punto di forza è la non facile commistione di fantascienza e western, un cocktail azzardato da pellicole fracassone come Cowboys and Aliens di Favreau, o drammatizzato da interpretazioni più sottili come il recente Westworld della HBO. In Firefly la falsariga estrapolata dalla guerra di secessione, prima fonte d’ispirazione per Whedon, sposa un carattere liberatorio di avventura pura (il mito della Grande Frontiera calato nello Spazio profondo), alleggerito da una robusta dose di ironia e persino spunti tra il rosa e il piccante.
Facile storcere il naso con diffidenza davanti a quel che potrebbe sembrare un pastiche grossolano, invece nel serial distribuito dalla Fox tutto funziona al meglio, attingendo agli archetipi dei due generi in maniera intelligente, consentendo alla quadratura della Space Opera di aprirsi a sipari brillanti che non sarebbero dispiaciuti a Billy Wilder.
Lo sfondo della storia è il conflitto che ha portato alla guerra civile le popolazioni umane sparse sulle propaggini di un enorme sistema solare. L’Alleanza vince i ribelli autonomisti diventando la forza egemone e imponendo le sue regole a tutte le colonie abitate, in genere pianetini inospitali, terraformati alla meno peggio, in cui proliferano soprusi e attività illegali.
Tra il vuoto dello spazio profondo e le arsure desertiche delle colonie, in un universo in cui non esistono forme di vita aliene, la lingua comune è pan-asiatica e la legge delle armi conta più di qualunque regola. Inoltre, dalle regioni più inesplorate del cosmo, provengono le incursioni dei Reavers, nomadi imbarbariti temuti come gli Indiani di un tempo. Una realtà cruda in cui vediamo l’ex sergente Malcolm Reynolds (Malcolm Fillion) acquistare una nave stellare malandata insieme al suo ex caporale Zoe Alleyne (Gina Torres), per dedicarsi al contrabbando, in fuga perenne dalle autorità e da qualsiasi imposizione delle società “civile”.
La rettitudine nascosta sotto i modi cinici da duro fanno puntualmente impegolare il comandante nell’involontario ruolo del giustiziere, coadiuvato o istigato dagli altri membri dell’equipaggio e dai propri passeggeri, tutte figure assolutamente degne di nota.
L’eterogeneità dei personaggi assortiti dal caso in una squadra anarcoide ma solidale, le loro storie private, l’origine dell’incontro col Capitano Reynolds sono un cardine narrativo che struttura gli episodi di Firefly. Ogni figura ha una caratterizzazione definita, un passato e delle dinamiche di comportamento che orientano le storie verso l’azione o la comicità pura, inoltre la psicologia di ognuno è per di più basata su contrasti estremi da ossimori viventi. Per esempio, l’ingegnere-meccanico Kaylee (Jewel Staite) è una graziosa ragazza che ha più empatia coi motori che coi sentimenti o con gli abiti femminili, oppure il rozzo, avido e a tratti spregevole mercenario Jayne Cobb (Adam Balwin), appare sempre pronto a vendersi a chiunque, ma che in fondo resta leale ai suoi compagni, o ancora il pilota Wash (Alan Tudyk), è il romantico marito di Zoe, che, nonostante l’indiscussa femminilità, è quella che porta i pantaloni in casa ribaltando gli stereotipi di genere. Al gruppo base è aggregata la bella Inara (Morena Baccarin), occupante di una navetta-alcova dove esercita la sua professione rispettata e legale di prostituta, un lavoro che nel futuro ha tratti quasi sacri avulsi da qualsiasi giudizio morale.
Il clima, già abbastanza surriscaldato della convivenza prolungata nei lunghi spostamenti tra pianeta a pianeta, è reso più conflittuale dalla presenza del misterioso dottor Simon Tam (Sean Maher) e di sua sorella River (Summer Glau), in fuga dalla caccia serrata dell’Alleanza, a causa degli esperimenti condotti sulla mente della ragazza, geniale e disturbata. Infine non poteva mancare un prete dagli oscuri trascorsi, Derrial Book, (il recentemente scomparso Ron Glass), figura ricorrente nei western più tradizionali di cui ricalca la funzione di voce della coscienza, ma anche di valido combattente, esperto d’armi quando si presenta la necessità.
L’atmosfera violenta del più selvaggio Far West, già preannunciata dalla ballata country della sigla di Sonny Rhodes, si sposa alla perfezione con gli elementi fantascientifici in brevi episodi autoconclusivi di 44 minuti, legati da un tenue fil rouge che li collega in maniera forse troppo libera per una serie contemporanea, in genere più simile a un feulletton vincolati da mille sottotrame.
In Firefly predomina un linguaggio schietto e originale, basato sulla freschezza della messa in scena, ottimi dialoghi e personaggi croccanti. In questo mondo singolare vediamo convivere mezzi di locomozione come astronavi e cavalli al galoppo, le armi richiamano le vecchie colt dei pistoleros e il look degli abiti semi-anacronistici creano una dimensione alternativa in cui è plausibile passare da una stazione spaziale a una rapina al treno alla Tom Mix.
La stessa morale dei protagonisti è ibrida e commista di canaglieria e nobili ideali (mai dichiarati o ammessi), un tratto che rende la ciurma di Malcolm umana, realistica e sfaccettata, oltre che assolutamente godibile.
La possibilità di chiudere la vicenda sospesa intorno al mistero di River, la pressione dei fan consentono all’astronave Serenity di apparire sul grande schermo nel 2005, in una pellicola che riscontra un notevole gradimento del pubblico, ancora in attesa di una ripresa della serie. Voci di corridoio parlano infatti di una possibile reunion dell’equipaggio, in parte riversato con successo in serie popolari come Castle (Nathan Fillion) o Gotham (Morena Baccarin).
Su un’effettiva messa in cantiere non ci sono dati certi, ma solo una condizionale da parte della Fox: la difficile presenza di Whedon, al momento impegnatissimo coi suoi Avengers.
Ci si può domandare se sia un effettivo tributo alla memoria di una serie rimasta un piccolo mito. Il tempo non sgualcisce i personaggi, ma gli attori sì, e ritrovarli maturi e appesantiti a un quindicennio di distanza può essere un colpo più mortale di un proiettile. Pardon, raggio laser…