No babies, thanks! (Terza ed ultima parte)

La prima e la seconda parte del presente contributo sono leggibili ai seguenti link: parte prima e parte seconda

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di Eliana Petrizzi

6. Ed ancora: quante donne decidono di mettere al mondo un figlio perché ne hanno veramente voglia? E quante, invece, lo fanno schiacciate dal condizionamento sociale? Dalle mie parti, se hai trent’anni e non ti sei ancora sposata c’è qualcosa che non va. Se poi ti sposi e non fai subito un figlio, di certo avrai problemi fisici o di coppia. Conosco donne che hanno consultato cartomanti o avviato pratiche di adozione dopo soli tre mesi durante i quali, pur provandoci, non erano riuscite a restare incinte. Tutto comprensibile in un contesto in cui chi non è madre è un refuso della specie, un esito indegno dell’evoluzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la gran parte dei genitori è assolutamente impreparata, quando non addirittura negata, a costruire un essere umano, che è cosa diversa dal mettere al mondo un figlio. Si tratta di persone incolte e rudimentali, il cui prodotto sono ragazzi svogliati e violenti, e ragazzine idiote dalle predilezioni effimere. Questi adolescenti diventeranno otto volte su dieci padri assenti e madri inadeguate. C’è da rifletterci seriamente.

7. Giungere al culmine del proprio tempo senza rimpianti, aver lasciato qualcosa agli altri, con la salute che solo l’amore e un intelletto curioso riescono a procurare: non c’è modo migliore di salutare la vita, e di sopravviverle. Ognuno, naturalmente, fa questo come crede. Trasmettere attraverso un figlio è una vocazione al futuro come un’altra: io non ce l’ho, non so come si fa, da dove si comincia. Mi stanco presto di ogni cosa. Franca mi dice: “Ma a che scopo fai questo e fai quello se poi non lo lasci a nessuno?” Preferisco seminare vivendo, per arrivare alla morte con la valigia leggera. Quando chiedo ai miei amici perché trovino così naturale fare figli, la loro risposta è sempre la stessa: “Per continuare dopo la mia morte”. Ma ne sono proprio sicuri? Se hai educato con amore i tuoi figli, di certo avrai con loro un rapporto profondo. Ti accudiranno se starai male, e dopo la tua morte custodiranno di te ogni cosa. Per lo stesso motivo, avrai nipoti che soffriranno sinceramente per la tua perdita. Ma già i loro figli avranno di te un ricordo vago, conserveranno di te forse qualche proprietà e un cognome. La verità è che il sangue non dura. Come ai funerali, a piangere il morto sono le prime due file. Alla terza, la vita ha già preso altre strade.

So per certo che né la cultura né l’intelligenza hanno generato in me un buon carattere, né la predisposizione all’amore oblativo. Ho sempre nutrito fondati dubbi sulla mia capacità di accudimento, di rinuncia, di pazienza, addirittura sulla mia voglia di trasmettermi. Chi mi conosce dice: “Peccato, sei un’artista. Pensa quanto avresti potuto dare a un figlio di diverso, di più profondo rispetto a tutte noi”. Come mai invece nessuna mi ha detto: “Sei un’artista. Pensa ad altro”? Mio figlio sarebbe stato un diverso di sicuro, per l’esattezza uno squilibrato, e mia figlia mi avrebbe detestata senza ombra di dubbio. Non so cosa sia una mistificazione d’amore. Non ho mai difeso i difetti di chi ho amato, né ho mai tentato di giustificarli. Ho anzi sempre pensato all’amore come ad un difetto cognitivo, che può indurre a pericolose sopravvalutazioni. A me i bimbi piacciono pochi giorni dopo la nascita. Poi, eccoli diventare impegnativi, faticosi, arroganti, noiosi. Mi affascina di più la persona adulta, con una coscienza definita e il carico degli anni. Quando ho provato ad immaginarmi madre, non mi sono trovata a mio agio in nessuna fase della vita di mio figlio. La mia sensazione è stata quella di uscire in strada in pieno inverno con gli abiti zuppi. Le cose che a dire di tutte sembrano faticose, ma per le quali trovi infine una forza insperata, a me sono sempre apparse incomprensibili e contro natura. E se mio figlio fosse stato uno di cui il mondo avrebbe potuto fare tranquillamente a meno? Sarebbe stato questo il mio tributo alla vita? Per colpa mia o mio malgrado? Resta il fatto che nelle mie prefigurazioni non ho mai considerato nulla di buono: più paure che speranze. E con questo ho detto tutto.

8. Quando ho fatto outing in una serata tra conoscenti, esponendo le mie idee da non madre ad un nutrito consesso di neo-mamme e di giovani donne che non vedevano l’ora di partorire, quelle che mi hanno disprezzata da subito hanno trascorso il tempo a cullare il loro piccolo, ostentando una tenerezza che, secondo loro, avrebbe dovuto farmi sentire carente. Altre che concordavano con me, ma che non avrebbero mai potuto ammetterlo, si tenevano in disparte lanciandomi cenni d’intesa. Le altre hanno cercato a turno di farmi cambiare idea, con motivazioni troppo frivole per poter essere prese seriamente in considerazione. La loro conclusione è stata: “Quindi tu disprezzi la famiglia e odi i bambini?!” Il punto da correggere è proprio questo. Io non disprezzo la famiglia e non odio affatto i bambini, semplicemente non mi piacciono in modo particolare; un po’ come quando ti trovi davanti al dipinto studiato a scuola per anni e di cui tutti hanno sempre parlato, ma ti limiti a guardarlo da lontano perché non hai nessuna voglia di osservarlo da vicino.

Non serve liquidare la questione del non fare figli con motivazioni del tipo ‘Limitiamo il sovraffollamento del pianeta e le orde di disoccupati’. Di sicuro, che un figlio oggi più che mai vada pensato seriamente lo credo eccome. Forse questo genererà meno figli, ma neanche tanto, visto che ci saranno sempre miliardi di persone che procreeranno per caso, per incoscienza, per sciatteria o per dovere, assicurando in questo modo la sopravvivenza della specie. Costruire un essere umano: questo vuol dire fare un figlio. Per la stessa ragione, penso che genitore non sia necessariamente chi ti ha partorito, ma chi ti ha generato a una vita che vuol dire soprattutto coscienza, relazione, sensibilità, incontro con la preziosa complessità del mondo, apertura alla vastità dell’esserci, del fare e del donare: impresa ardua di cui solo pochi genitori sono davvero capaci. Talvolta non basta neppure l’amore, che troppo spesso fa rima con errore. Avendo sempre creduto di essere tra le inadeguate, mi sono onestamente astenuta. Generate pure, fate figli. Ma prima di costruire una casa, sondate il terreno e scegliete i materiali giusti, sforzandovi di capire che decidere di vivere senza un tetto sulla testa è a volte una scelta non meno faticosa, e di certo più onesta di voler vivere per forza al riparo, o di credere di meritarlo.

 

 

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