Una resistenza privata
«Fulvia, Fulvia, amore mio». Davanti alla porta di lei gli sembrava di non dirlo al vento, per la prima volta in tanti mesi. «Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto… Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi sono visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso».
(Una questione privata, Beppe Fenoglio, Einaudi 2014)
Fulvia dannazione, la tua bocca è nelle ciliegie di Alba, le tue mani sono nei racconti di Poe, il tuo passo di sedicenne è nel grammofono. Integra tu non esisti più da nessuna parte, se non nella vittoria alla fine della guerra.
Per il giovane partigiano Milton il conflitto armato perde di importanza, le bombe e i colpi di fucile diventano un rumore di sottofondo quando scopre che la sua Fulvia incontrava di notte e nel silenzio Giorgio, il suo più caro amico. A seguito di questa scoperta inizia l’odissea di Milton, egli si allontana dal suo gruppo in cerca del rivale, partigiano in un’altra brigata, per avere risposte, la conferma del duplice tradimento. In questo viaggio il protagonista non troverà l’ex amico, tuttavia il Lettore incontrerà la varietà umana e morale dietro l’apparentemente compatta retorica della Resistenza.
Fenoglio in Una questione privata, pubblicato postumo nel 1963, descrive abilmente le differenze tra i partigiani delle varie fazioni, differenze sociali e di classe tanto radicate nel microcosmo della Resistenza nelle Langhe da non poter essere messe da parte neanche la straordinarietà degli eventi e dall’esistenza di un nemico comune. Fenoglio, insieme a Calvino, è uno dei pochissimi autori ad affrontare la realtà della guerra civile italiana alla fine della seconda guerra mondiale senza creare piatte celebrazioni, senza cioè sminuire la reale natura degli uomini.
Il rapporto tra il personaggio di Giorgio e i suoi compagni bene rappresenta la difficoltà di interazione tra antifascisti liberali e comunisti, tra i figli di contadini e gli studenti universitari che lottano fianco a fianco senza essere uniti.
Irrompe Milton a svelare le antipatie tra i partigiani e “il figlio di papà” Giorgio, catturato dai fascisti nell’indifferenza dei suoi stessi compagni. Milton in un tentativo disperato di liberarlo prenderà a sua volta come ostaggio un graduato fascista con l’intenzione di fare uno scambio. Alla fine il soldato morirà, vanificando le intenzioni di Milton. Un atto partigiano che non ha a che fare con la guerra ma con una questione eminentemente privata.
Quello che fa Fenoglio con Una questione privata è allontanarsi dal memoriale comune tra i suoi contemporanei, per abbracciare una narrazione più complessa, ricca di digressioni, più “propriamente romanzesca”, come sottolinea l’autore stesso in una lettera a Livio Garzanti. Egli ha l’intenzione di raccontare un unico episodio nel quale “far confluire tutti gli elementi e gli aspetti della guerra civile”. Attraverso il peregrinare del protagonista, mosso da motivi egoistici, è possibile penetrare nella partigiana realtà del tempo, come fa notare il docente universitario e critico Gabriele Pedullà nell’introduzione a Una questione privata del 2014: “La vera novità […] va identificata nel diverso rapporto che il protagonista intrattiene con gli eventi della seconda guerra mondiale e nel rifiuto del narratore di concedere alcunché, da questo momento, alla pura rievocazione”. Eppure momenti evocativi non mancano, Milton suo malgrado troverà la Storia, e scoprirà che questa è fatta dalla volubilità umana.
Uno dei momenti più bui della narrazione e del movimento partigiano è nel fitto dei boschi di Trezzo, presidiati dai partigiani di Stella Rossa dove Milton incontra una brigata con una storia da raccontare, una punizione ai danni di una maestra fascista:
“Rapiamola a zero […] L’avevano presa e la insaccarono su una sedia, a cavalcioni. La gonna le montò su, mostrava mezze le coscie. […]. Ragazzi, non assistete mai alla rapatura di una donna, non vedetele mai la zucca, non cercate nemmeno di figurarvela. È la più brutta patata che ci sia, e l’impressione si allarga a tutto il resto del fisico. Però, per quanto orribile, è anche una cosa che inchioda. Eravamo tutti fissi, come ipnotizzati, e la maestra non si ribellava più ma continuava a insultarci e maledirci, con una voce ormai rauca che faceva anche più effetto. Qualcuno dei nostri uscì alla chetichella. La maestra faceva ancora qualche mossa di sofferenza o di dissenso e la gonna le montò più su, ora mostrava la giarrettiera. Max si asciugava il sudore e diceva a Polo di far presto. […] Quasi tutti i nostri se l’erano filata. Uscii anch’io e sapete come li trovai? Stavano allineati sul ciglio della strada, alle spalle del paese e fronte al vallone. Era già buio ma io vidi benissimo quel che facevano.”
L’ossessione per la sessualità e la violenza erano valori propri del fascismo mussoliniano, tanto da diventare oggetto dello scritto polemico Eros e Priapo dell’ex fascista della prima ora Gadda, recentemente pubblicato senza censure da Adelphi. Eppure Fenoglio associa questo tratto a componenti della Resistenza di cui il suo stesso protagonista faceva parte. Max e gli altri davanti alla scena della rapatura sentono salire un desiderio tanto impellente da dover essere espletato immediatamente. A spingerli a quell’atto collettivo, a quell’onanismo ridicolo, non è la sensualità della protagonista, anzi, senza capelli risulta agli spettatori brutta e inguardabile, quello che li inchioda è la violenza esercitata su di lei. È solo un caso che in quell’occasione si siano limitati ad uscire dalla stanza, come si evince dal precedente scambio di battute sulla nuova maestra del paese:
“«Lasciatela stare quella povera maestra», disse la vecchia. «E perché? Noi mica la cerchiamo per farle del male. La cerchiamo per farle del bene», e Pinco rise.”
La violenza, chiunque la compia, è sempre fascista, e sono in grado di esercitarla anche coloro che militano tra gli antifascisti, perché la Storia è fatta dagli uomini, e questi non hanno natura manichea. Anche se è chiaro e immutabile che l’esercito di Salò era il nemico e il male contro cui si doveva combattere Fenoglio era ben consapevole che all’interno di questi due grandi schieramenti vi era una realtà eterogenea ed è impossibile distinguere semplicisticamente i buoni dai cattivi in base alla fazione d’appartenenza.
Questo non significa sminuire la portata della Resistenza italiana, anzi, significa abbandonare le celebrazioni vuote che hanno caratterizzato la dittatura contro cui si è battuta.
“«Tutti, tutti li dovete ammazzare, perché non uno di essi merita di meno. La morte, dico io, è la pena più mite per il meno cattivo di loro». «Li ammazzeremo tutti» disse Milton «Siamo d’accordo». Ma il vecchio non aveva finito. «Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all’ultimo, li dovete ammazzare.»”
La violenza che nella guerra appare necessaria, in tempo di pace è sempre fascista, non è appannaggio di un singolo movimento politico ma di una ideologia comune e radicata. Già nel Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato nel 1925 a cura di Giovanni Gentile, il fascismo è descritto come una fede, “fede energica, violenta, non disposta a rispettare nulla che opponesse alla vita, alla grandezza della Patria”. Questo sentimento, la giustificazione della violenza, è il cuore del fascismo di allora e di oggi al di là dei simboli di partito.
Oggi infatti il fascismo va oltre il disciolto partito, cosi suoi elementi costitutivi possono essere veicolati agevolmente dai nuovi mezzi di comunicazione, il Parlamento ha cercato di arginare questa proliferazione con la legge Fiano, recentemente approvata alla Camera e prossimamente in discussione al Senato. La legge Scelba del 1952 sanziona la ricostituzione del partito fascista, ma non tutti i fenomeni che si rifanno a quell’ideologia, la legge Fiano permette invece di colpire proprio le manifestazioni che, lontane dalla dimensione esclusivamente partitica, inneggino al fascismo come fenomeno culturale. Manifestazioni pop di questo sentimento si riscontrano nel merchandising legato ai topoi del partito ma anche nel ritorno sulla scena politica di motti e atteggiamenti tipici del Ventennio, ma che non lo richiamano escplicitamnete. In Italia il dibattito su questo argomento sembra non essersi mai sopito, in realtà invece è stato relegato in una dimensione storica. La legge è certo utile, ma non è che una cornice entro cui si deve inquadrare un discorso d’ampio respiro che mostri il fascismo per quello che è: un fenomeno sociale che può coinvolgere anche chi non si definisce propriamente fascista.
La vicenda di Una questione privata è rimasta incompiuta, e il triangolo che coinvolge Milton, Fulvia e Giorgio non verrà mai risolto, certe storie non sono destinate ad avere un epilogo. Tuttavia, Fenoglio è riuscito a portare a compimento qualcos’altro: raccontando la vicenda sentimentale del partigiano Milton smette di usare la Resistenza per parlare della Resistenza, dandone così un quadro più completo, vicino alla realtà della guerra e alla natura uomini.
«Parlo dei miei due figli» rispose, accentuando il sorriso, «che mi sono morti di tifo nel trentadue. Uno di ventuno e l’altro di vent’anni. Tanto che mi disperai, tanto che impazzii, che mi volevano ricoverare anche quelli che mi volevano veramente bene. Ma adesso sono contenta. Adesso, passato il dolore col tempo, sono contenta e tanto tranquilla. Oh come stanno bene i miei poveri due figli, come stanno bene sottoterra, al riparo degli uomini».