Intervista a Giovanna Marini, protagonista del documentario della Meditfilm prodotto dal basso che guarda alla musica dalla parola Sud

Vengo a voi su questo palcoscenico

Per compiere un sublime gran miracolo

Vengo qui a mostrare come è bello creare

Mi do tutta all’essere creato pongo in esso ogni mio ideale

Mi ci specchio come fossi io

Giovanna Marini, La creatora – 1972

 

 

A Sud della Musica – La voce libera di Giovanna Marini è il documentario che ha come protagonista Giovanna Marini, storica cantautrice e studiosa della musica popolare italiana. Il film si pone come obiettivo quello di raccontare e descrivere il viaggio umano e musicale di questo personaggio attraverso i segni di una cultura, quella meridionale, ricca di esperienze e di insegnamenti. “Un viaggio incontenibile e inesauribile di una viandante che non vuole smettere di inseguire gli odori, i sapori e i colori di una cultura sempre in pericolo”.

Il documentario, scritto da Giandomenico Curi, Tommaso Faggiano e Fabrizio Lecce e diretto da Giandomenico Curi, regista di lungo corso nell’ambito teatrale, radiofonico, televisivo, cinematografico e documentarista (nonché autore di libri sul cinema e sulla musica), è prodotto e realizzato da Meditfilm, società di produzioni salentina, attraverso una campagna di Crowdfunding (Produzioni dal basso) che, fedele alla politica di gestione che contraddistingue il collettivo indipendente pugliese, finanzia questo progetto programmando la copertura di tutte le voci necessarie alla sua realizzazione. Dallo sviluppo alla postproduzione, fino alla promozione stessa dell’opera, questo prodotto audiovisivo si allinea ai temi e alla ricerca di un gruppo che concretizza il suo osservatorio demo-etno-antropologico anche nella rivista sul web Luoghi e Visioni – Frammenti di Antropologia Visuale, supportata da un comitato scientifico e da una redazione che fa del Sud uno dei suoi punti di osservazione privilegiati.

Attraverso questo link è possibile accedere alla pagina del Crowdfunding – Produzioni dal basso, con relativa consultazione dei dettagli sulla parte gestionale del progetto.

Il documentario di Giandomenico Curi, autore di altri documentari di genere (alcuni girati per conto di Amnesty International, dell’ANED – Associazione Ex Deportati, dell’Istituto Luce e della Shoah Foundation di Spielberg), che sarà girato tra Roma e la Puglia tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018, oltre alla protagonista Giovanna Marini, conterà sulla presenza di Paolo Pietrangeli, Sara Scalia, Piero Brega, Gianni Nebbiosi, Enza Pagliara, Canzoniere Grecanico Salentino, Antonio Infantino, Luigi Chiriatti, Susanna Cerboni e il Coro della Scuola di Musica Popolare di Testaccio.

Giovanna Marini, in compagnia della sua assistente Sara Scalia, ritorna in Salento per rivisitare e rivivere dei luoghi che all’inizio degli anni ’70 hanno rappresentato un momento fondamentale per la sua esperienza artistica. In un sud che non nasconde le sue marcate differenze dall’Italia settentrionale, Giovanna Marini ha incontrato le sorelle Mariuccia e Rosina Chiriacò, cantrici di Sternatìa, e un giovane Luigi Chiriatti, diventato un importante editore della tradizione popolare. Il folk revival, su cui Giovanna Marini ha sin dagli anni ’70 posto questioni delicate, la cosiddetta canzone narrativa, la figura femminile e contadina di alcune regioni meridionali e altre ricerche dirette sono al centro di un osservatorio personale che attraversa i decenni della storia musicale italiana. Quella che oggi può essere considerata una tra le ultime voci autorevoli del panorama artistico che affonda le sue radici in lunghi anni di fatiche e sperimentazioni, “l’antropologa viandante”, non dimentica un momento che lei stessa considera decisivo. Rivista Milena ha avuto l’opportunità di intervistarla sulle intenzioni e sui significati intorno a questo nuovo progetto artistico.

Le due parole che emergono subito da questo progetto sono ‘Sud’ e ‘Lotta’. Cosa significano oggi per Giovanna Marini?

Il sud è un luogo ricchissimo di musica, di canti, di tradizioni. La mia esperienza artistica e il mio sentimento politico hanno sempre guardato a questa parola. Sud per me è stata anche un’indicazione ricevuta da personaggi che oggi sono quasi dimenticati, ma che hanno avuto un’importanza fondamentale. Tra la musica, la storia e la politica, uomini come Diego Carpitella, Gianni Bosio e Giuseppe Di Vittorio, solo per citare i primi che mi vengono in mente, hanno rappresentato punti di riferimento che mi hanno fatto comprendere presto la profondità e il valore del sud e i significati antichi che certe tradizioni e certe lotte hanno portato e portano con la loro grande umanità. E che mai passi in secondo piano il loro grande carico umano, prima di tutto umano. Ricordo le donne che cantavano durante la raccolta delle olive e il loro canto esprimeva un linguaggio che diventava sempre un punto di interesse forte, al centro di uno studio che mi faceva cercare le note, ma poi finiva per farmi trovare le persone.

Come si è svolta questa lunga fase di esperienza e di conoscenza?

Ho lasciato che i luoghi, i fatti, le parole e i suoni attraversassero i miei studi precedenti. Mi facevo travolgere. Per me era curioso verificare questo passaggio dagli studi rigorosi sulla musica barocca a queste forme intime di sperimentazione. Un passaggio dal gelo dell’accademia al calore dell’ascolto di realtà nuove, tutte da esplorare. Molte persone preferiscono ascoltare, meditare, studiare intorno a certi fenomeni. Io amavo domandare, curiosare, scrivere, prendere appunti. La mia è stata una conoscenza diretta, ricca di entusiasmi. Per questo dopo molto tempo ho scelto di portare allievi e giovani musicisti in Salento. A Lecce, a Martano e in altre località ho voluto condurre chi, come me, ha potuto sperimentare la stessa opportunità dello stesso tipo di conoscenza.

E tutto questo, nel tempo, si è inevitabilmente unito all’esperienza politica?

Ho preso parte al Nuovo Canzoniere Italiano, proveniente anche dall’esperienza con il Cantacronache di Torino, quando in alcuni ambienti musicali italiani i temi politici erano presi in seria considerazione. Eravamo negli anni ’60 e ’70. Già allora andavo a cantare in Puglia, a Taranto, quando, per esempio, il problema dell’ILVA era al centro di delicate lotte sindacali. Di conseguenza il percorso politico non poteva fare a meno di non soffermarsi su quello della tradizione culturale. Era un metodo che caratterizzava le sensibilità di molti artisti e musicisti che in quegli anni entravano a far parte di gruppi e di collettivi.

Come vede a questo progetto di produzione dal basso? Come lo inquadra rispetto alla tradizione delle produzioni indipendenti?

Per fare una battuta, mi verrebbe da dire che sono tornati i concerti a cappello. Tuttavia, considero questo genere di iniziative in maniera molto positiva. È segno che qualcosa si muove. Le persone si danno da fare. Darsi da fare è un segnale incoraggiante in un’epoca come questa. Sentire la necessità dell’iniziativa, quella per realizzare le idee, per intenderci, andrebbe insegnata e sensibilizzata nelle scuole. Oggi accadono cose assurde e queste assurdità non suscitano più sdegno e reazione. Se quello che oggi si sente dalla bocca di personaggi come Trump fosse stato ascoltato una volta, di certo la gente si sarebbe riversata per le strade. E questo è solo uno dei tanti esempi. Ricordo un aneddoto accaduto a Conversano, nel periodo della legge sul divorzio. Eravamo negli anni ’70 e il parroco si era espresso favorevolmente. Saputa la sua posizione in disaccordo con l’opinione prevalente del clero, la Chiesa ebbe una reazione molto severa, provvedendo subito nei confronti del sacerdote. Questa decisione scatenò una specie di sommossa da parte di molti abitanti di Conversano, che volevano molto bene al loro parroco. L’affetto, la stima e il legame prevalsero su ogni dibattito politico. L’umano sopra l’ideologico.

Già allora una parte della Chiesa si apriva a visioni nuove su temi molto discussi.

Certo, anche il papa attuale ne è un esempio significativo. Bergoglio sotto alcuni punti di vista è molto diverso dai suoi predecessori. Oggi invece la politica e il suo dibattito sono in mano ai blog. Molti giovani fanno politica da superomisti. Sembra che esista una regola assoluta che imponga di trattare ogni argomento sopra le righe, in eccesso. Pare che l’obiettivo sia quello di informatizzare a tutti i costi il mondo. Così facendo non ci si accorge che, paradossalmente, lo spazio d’azione si riduce sempre di più. Si riduce la possibilità del pensiero.

E i grandi temi si allontanano sempre di più. Con l’illusione di sembrare più vicini?

Prendiamo l’immigrazione. Conosciamo quello che ci viene addosso, quello che vediamo quando arrivano queste persone disperate che fuggono alla ricerca di speranza, ma sappiamo pure che nei luoghi da dove arrivano molte sono costrette a restare. Vivono in condizioni estreme, al limite della dignità umana. Sono i prigionieri dei nuovi lager. Cosa scriverebbero queste persone se avessero a disposizione un blog?

Una delle ballate dei suoi lavori sulla canzone narrativa s’intitola L’Eroe. Per Giovanna Marini chi sono gli eroi di oggi?

Sono le persone che denunciano la mafia, sono quelle che rischiano la vita per difendere le cose, sono quelle che parlano e agiscono secondo libero pensiero. L’uomo che dice quello che pensa e che ha una volontà chiara. Chi la esprime senza timori e senza riserve, chi veramente si esprime è l’eroe di oggi. 

Giovanna Marini, al di là della sua grande esperienza, della sua conoscenza, del suo bagaglio artistico che oggi rappresenta un patrimonio, consegna al progetto della Meditfilm anche una parte dei suoi ricordi. Lo fa, però, sempre col senso rinnovato della nuova scoperta. A Sud della Musica è origine e destinazione. Ascoltandola, come se le sue sensazioni, le sue riflessioni, le sue idee non si fossero mai allontanate nemmeno per un istante da questi ricordi proiettati al presente e al futuro, dalla voce di Giovanna Marini si avverte inconfondibile il significato più profondo di quel genere di tradizione che visita e si fa visitare, funzionando pure con chi è venuto da lontano per conoscerla. Il ritorno, forse, per quella tradizione è una forma di conquista e per chi l’ha amata è una forma di appartenenza.

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