Il racconto dell’Ancella: la distopia del presente
«La donna impari il silenzio con totale sottomissione. […] Non permetto a nessuna donna di insegnare o di usurpare in qualsiasi modo l’autorità maschile. La donna deve conservare il silenzio. Poiché Adamo fu formato per primo e poi venne Eva. E Adamo non fu sedotto, la donna fu sedotta e si rese colpevole della trasgressione.»
(Il racconto dell’Ancella, Margaret Atwood, Ponte alle grazie, 2017)
Questa è la Repubblica di Galaad. Nel racconto biblico, Galaad è una regione a est del fiume Giordano, ma nel tempo descritto dalla scrittrice canadese Margaret Atwood si tratta di nuova società teocratica insediatasi dopo un golpe negli Stati Uniti. La vita dei suoi abitanti è regolata dalle gerarchie di una dottrina religiosa che prende spunto dall’episodio della Genesi in cui Rachele, sterile moglie di Giacobbe, offre al marito la propria serva Bilha per generarle un figlio. Questa nuova religione impone un nuovo tipo di costruzione sociale, più Naturale perché più aderente ai precetti della Bibbia, in cui le donne che non possono avere figli. La maggioranza, in un pianeta martoriato da scorie nucleari e pesticidi, viene divisa in categorie con funzioni ben delimitate e immutabili: le Nondonne, mandate nelle Colonie a pulire le scorie radioattive, tra queste le vecchie e le omosessuali; le prostitute di Gezebele, frequentate perché ritenute necessarie dagli stessi uomini che le dichiarano illegali; le Marte, che si occupano della gestione della casa; le Zie, responsabili di educare e riprogrammare le donne al loro nuovo destino; le Mogli dei Comandanti, che hanno diritto ai figli partoriti dalle Ancelle.
Infine le Ancelle sono le donne fertili, le poche rimaste, assegnate per due anni a una famiglia composta da una Moglie e dal suo Comandante, di cui assumono il patronimico. Le Ancelle, più ancora delle altre donne, devono essere silenziose e invisibili, soprattutto durante i giorni fertili, quando hanno rapporti con il proprio Comandante durante una Cerimonia alla presenza della Moglie. Le Ancelle devono generare figli come Bilha ha fatto per Rachele.
A Galaad non si hanno rapporti adulteri, e non ci si sposa per libera scelta: hanno diritto di sposarsi, attraverso matrimoni programmati, i Comandanti e gli Angeli, i soldati tornati meritevoli dal fronte. Nessuna donna può leggere, scrivere, avere un’istruzione o delle proprietà. Il maschilismo patriarcale di Galaad è anche sociale, colpisce non solo le donne, ma anche gli uomini, con più o meno forza a seconda del loro livello nella gerarchia sociale.
Secondo Atwood il suo racconto, pubblicato per la prima volta nel 1985, non è ascrivibile al genere distopico. Le basi per una società fondata sull’estremizzazione religiosa e nazionalistica sono già presenti nella società dei nostri giorni. Non è un caso che il fenomeno The Handmaid’s Tale sia esploso proprio negli ultimi: nella realtà di oggi esistono infatti situazioni in cui la mentalità e i precetti ideologici della civiltà galaadiana sono già realtà, anche se espressi attraverso istituti differenti. Ciò è vero non solo per paesi dove sono istituzionalizzate restrizioni dei diritti civili nei confronti delle donne, ma anche in quelle del mondo occidentale, dove fenomeni come il gender gap, le molestie sul luogo del lavoro, la colpevolizzazione delle vittime e l’esaltazione del machismo sono frequenti e metabolizzate. Queste sembrano le premesse, neanche troppo labili, per l’avvio di una futuro nuovo mondo fatto di supremazia oligarchica e distorsioni religiose.
Il libro ha ispirato un’ omonima serie TV di grande successo e, benché fedele al romanzo sotto numerosi aspetti, ha con questo una differenza sostanziale: il punto di vista.
Nella seria la protagonista è June, una donna combattiva, disposta a fare la sua parte nella lotta contro il sistema che la schiaccia, senza eroismi ma con intelligenza e mezzi adeguati alla sua posizione. June è una persona non comune. La protagonista del romanzo invece non è fautrice di ribellione, è la donna comune, racconta lo stato presente delle cose senza slanci verso il futuro.
L’anonima protagonista del libro è chiunque, non si presenta con un nome ma con il patronimico del suo Comandante, Difred. Non è votata al bene, né al male, solo alla sopravvivenza. Difred sa che il mondo in cui viveva è perso per sempre, e per le nuove generazioni non è mai esistito, non ha più quindi una vita a cui tornare. La sua resa è chiara quando rifiuta la proposta dell’amica Ancella Diglen, una partigiana che cerca informazioni per aiutare gli altri ribelli del Mayday, e si tira indietro: “Non voglio più andar via, scappare, attraversare il confine verso la libertà. Voglio restare qui, con Nick, dove posso vederlo“. La protagonista si rende conto di essere un puntino minuscolo nel disegno di Galaad, e che non riuscirà a sovvertirlo. La chiave di questa lettura è esplicitata nell’ultimo capitolo del testo di Atwood: durante un “Simposio di Studi Galaadiani” tenutosi nel 2195 uno dei relatori, il professore Pieixoto ammette: “la nostra autrice, dunque, era una tra molte, e deve essere vista entro le ampie linee del momento storico di cui faceva parte”. Tuttavia l’arrendevolezza di Difred non è passività, la sua resistenza è cercare di sopravvivere nel mondo in cui si trova, senza smettere di desiderare. Lo fa rubando piccole cose, o momenti, e vivendo la relazione con Nick, l’autista del suo Comandante.
Il racconto dell’ancella, di cui su questa rivista ci occupiamo anche in un altro contributo, tratta in modo nuovo temi divenuti retorici, e quindi svuotati della loro forza. La protagonista è continuamente stuprata dai Comandanti presso cui risiede e dal sistema che ha legalizzato questo meccanismo, eppure non ha perso il desiderio sessuale, desidera vivere una relazione amorosa e sessuale. Questo è un modo nuovo e poco accettato di pensare la vittima di una violenza, talvolta neanche riconosciuta come vera e propria vittima, in quanto non capace di suscitare empatia nell’opinione pubblica. Una vittima che non si comporta come tale, che non respinge il proprio corpo e la sessualità non è capita e quindi continuamente rivittimizzata. Questo accade in Galaad, ma anche nel nostro mondo.
“Che cosa, in quello che stava succedendo, ci dava l’impressione di averlo meritato?” – si chiede Difred quando ancora non era Difred, nel momento in cui scopre di non avere più accesso ai suoi conti, di aver perso il lavoro, non perché licenziata, ma perché per le donne è diventato illegale lavorare. Uno dei quesiti che ci si pone più spesso quando si pensa alle persecuzioni e ai genocidi ai danni di minoranze è perché coloro che subivano soprusi non siano scappati prima, alle prima avvisaglie, ci si chiede come abbiano fatto a non rendersi conto pienamente di quanto stava accadendo fino a quando non è accaduto. L’instaurarsi della dittatura galaadiana, è stato graduale, imposto attraverso una sicurezza sempre più opprimente a causa di tensioni terroristiche, dalla tensione sociale per la bassissima crescita demografica e dalla tecnologia che ha eliminato l’uso di soldi contanti in favore delle transazioni digitali. I personaggi della Storia e del racconto non si sono resi conto di quanto stava accadendo fino a che il sistema non è definitivamente collassato.
Tutti questi sono temi chiave delle opere distopiche e rendono Il racconto dell’ancella senza dubbio parte del genere. La provocazione di Atwood, il suo negare che vi appartenga, significa che è la nostra stessa realtà ad essere distopica. Anche la manipolazione dei media ha favorito l’inconsapevolezza dei cittadini: “Le storie dei giornali erano come sogni per noi, brutti sogni sognati da altri”. I mezzi di informazione assumono un forte impatto anche a Galaad, tanto che durante le esecuzioni pubbliche, riprese dai media del regime, i crimini dei condannati non si pronunciano nemmeno più perché questo costituiva un incentivo all’emulazione. Ma significa anche esecuzioni sommarie perché il governo non deve più giustificare le pene capitali.
Galaad tuttavia non è un mondo di soli uomini costruito da soli uomini, anche se è esclusivamente a questi che è destinato, Il personaggio di Serena Joy, moglie del Comandante proprietario di Difred, era un attivista e predicatrice televisiva: “i suoi discorsi trattavano della santità della casa, di come le donne dovessero restare a casa. Lei non si atteneva personalmente a quei principi, ne parlava soltanto, ma dava a intendere questa sua manchevolezza come un sacrificio che compiva per il bene di tutti. […] Ora non tiene più discorsi. Ha perso la parola. Se ne sta nella sua casa, ma non sembra che le piaccia. Chissà come sarà furiosa di essere stata presa in parola”. Serena Joy rappresenta la misoginia delle donne verso le altre donne, spesso accusa Difred di essere di essere una donna di facili costumi, ma è anche Serena a partecipare al rapporto tra l’Ancella e il marito, secondo i dettami biblici che lei stessa un tempo difendeva. Nella repubblica di Galaad, Serena è solo una Moglie dedita al giardino e senza voce. Il suo opposto non è Difred, ma sua madre, personaggio sconosciuto alla serie ma che nel romanzo assume una forte valenza simbolica perché rappresenta il femminismo intransigente, non capace di piegarsi a nessuna regola anche solo velatamente patriarcale. La madre di Difred finisce nelle Colonie, probabilmente per il suo attivismo e non solo a causa dell’età avanzata, la figlia invece non è in grado di seguirla e sceglie di essere Ancella.
“Diceva Zia Lydia, la carne è debole. La carne è forte, la correggevo dentro di me. Loro non ne possono fare a meno, diceva lei, Dio li ha fatti così ma non ha fatto così anche voi. Vi ha fatto diverse. Dipende da voi porre i limiti. Più tardi sarete ringraziate.”. Le Zie sono le figure più controverse dell’opera: pur essendo donne propugnano con fervore il maschilismo della religione di stato e sono le principali fautrici delle torture subite dalle Ancelle. La Repubblica di Gaalad, pur restando misogina e patriarcale, si avvale di una struttura matriarcale al suo interno. Le Zie sono le donne che si occupano di educare le Ancelle al loro nuovo ruolo, attraverso di loro lo stato centrale veicola un lato del maschilismo poco discusso: quello che vuole gli uomini come esseri dotati di poco autocontrollo, incapaci di resistere alle pulsioni che un buon dio ha instillato in loro. Questo è un luogo comune del maschilismo utilizzato contro gli stessi uomini. Secondo questa mentalità il peso dell’atto sessuale, compreso quello non consensuale, ricade sulla donna che ha provocato tali istinti nell’uomo il quale, come un infermo mentale, non avrebbe potuto reagire diversamente limitandosi a seguire la sua natura.
Molte religioni odierne, comprese quelle cristiane, propongono questa idea di uomo. Così Janine nella sua Testimonianza al centro di formazione e riprogrammazione per le Ancelle racconta di avere subito violenza di gruppo, ammettendo di essere stata lei stessa la causa, in qualche modo deve averli provocati. Quando Janine viene costretta a mostrare il suo volto rigato di lacrime, il volto di una vittima che non ha diritto a essere vittima, le altre donne presenti sono disgustate da quell’immagine. In quel volto dalle ciglia bruciate rivedono loro stesse e la propria impotenza. Il tema della rivittimizzazione è relativamente nuovo in Italia ma ben noto ad Atwood già negli anni Ottanta. Come il peso del rapporto sessuale e dello stupro, anche quello della riproduzione grava sulla donna: “Qui non esiste più un uomo sterile, non ufficialmente. Ci sono solo donne che sono fertili e donne che sono infeconde, questa è la legge”. Nell’universo galaadiano, le donne non in grado di procreare sono Nondonne, mentre gli uomini restano uomini.
In questa società non esiste l’amore, ma solo la Natura, ciò che una volta fu romantico oggi è eroico. Anche una carezza diventa un atto di resistenza. Anche una notte di sesso con Nick è, come l’atto del rubare piccole cose, una affermazione di libertà minima, gesti apparentemente poco significanti, come un fiammifero nascosto sotto il materasso, ma necessario alla protagonista per sentirsi padrona della vita che non riavrà mai.
I piani narrativi si confondono, la conversazione con Nick, l’amore con il marito disperso, una conversazione con le Zie, tutto si sovrappone nel tempo immobile della protagonista. Difred non sa riconoscere cosa è stato vero e cosa no del suo passato, tutto sembra irreale, tutto può essere distorto. Questa confusione, il lavaggio del cervello continuato aiuta le masse a essere placide, perché come afferma il Comandante: “«Ciò che è pericoloso in mano alle moltitudini» ha detto con un tono che poteva essere ironico e forse lo era, «non costituisce un rischio se affidato a coloro i cui motivi sono…» «Irreprensibili?» Ha annuito, grave. Impossibile dire se era sincero o no.” Le regole che valgono per tutti, non esistono nella relatività dell’oligarchia.
Difred vive in un regno di ombre fatto di relatività e schiavitù. Non esiste un dio ma una lunga discesa negli inferi. La speranza di fuga e di salvezza che muove la ribelle Diglen sembra essere un dono che follemente Difred arriva a rifiutare, spinta da un primordiale istinto di sopravvivenza. La corsa verso la luce al di fuori del tunnel infernale terminerà per Diglen con l’impiccagione. Difred invece sopravvive per quanto può, sa che i mortali non escono dall’inferno.
“Piexoto: «Noi possiamo evocare Euridice dal mondo dei morti, ma non possiamo far sì che risponda; e quando ci voltiamo a guardarla la intravediamo solo per un istante, prima che scivoli via sfuggendoci di mano. Come tutti gli storici sanno, il passato è un grande spazio buio, colmo di echi. Le voci che ci raggiungono di lì sono intrise dell’oscurità della matrice da cui provengono e, per quanto ci si provi, non sempre possiamo decifrarle con esattezza alla luce più chiara del nostro tempo»”