Un ricordo del maestro Francesco Rosi
Io parto sempre dal principio che il cinema è conoscenza
Francesco Rosi
Francesco Rosi usava il cinema come un’arma da combattimento. La sua opera ha trasformato l’indagine sociale e politica in un vero e proprio genere cinematografico ma senza lasciare che il “genere” rinchiudesse i suoi film all’interno di una gabbia. I suoi lavori riuscivano a uscire fuori dalle pastoie della demagogia e dello schematismo grazie a una visione quasi sempre libera, problematica e aperta.
Napoletano di nascita, Rosi ha fatto del Sud lo scenario privilegiato di buona parte delle sue opere, il set dove ha girato i suoi grandi film di denuncia: la Napoli dell’insuperato Le mani sulla città (1963) ma anche del bell’esordio La sfida (1958), la Sicilia di Salvatore Giuliano (1962), di Cadaveri eccellenti (1976), (tratto da Il contesto di Leonardo Sciascia) e di Dimenticare Palermo (1990), la Lucania di Cristo si è fermato a Eboli (1979, da Carlo Levi) e dei Tre fratelli (1981).
Parlava un linguaggio semplice e schietto, Francesco Rosi, e così erano i suoi film: precisi, documentati, eloquenti nel loro afflato civile. Non aveva smanie autoriali il regista di Salvatore Giuliano, eppure proprio l’opera che raccontò la storia del famoso bandito di Montelepre fece scuola grazie a un sapiente e innovativo uso del flashback e all’utilizzo di tre diversi toni di bianconero che Rosi chiese al fido collaboratore Gianni Di Venanzo, direttore della fotografia dei suoi primi cinque film: un tono per la rievocazione storica, uno per la morte di Giuliano, un terzo per il processo di Viterbo. Non a caso questo film impressionò registi dal gusto molto più barocco come Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, la cui Film Foundation ha collaborato al recente restauro del film ad opera della Cineteca di Bologna.
Venezia e Berlino lo hanno omaggiato con un premio alla carriera (che va ad aggiungersi al Leone d’oro per Le mani sulla città e all’Orso d’argento per Salvatore Giuliano), a Cannes vinse una volta con Il caso Mattei (ex-aequo con La classe operaia va in paradiso: che stagione, quella, per il cinema italiano!), opera straordinaria che tracciava il ritratto di un capitano d’industria trasformandolo in una sorta di Don Chisciotte, vittima di un Potere oscuro ma forse anche dell’eccessiva sicurezza di sé. Il regista Roberto Andò, in occasione dei suoi ottant’anni, gli ha dedicato un documentario, Il cineasta e il labirinto (2002), mentre Giuseppe Tornatore ha scritto con lui un libro-intervista dal titolo Io lo chiamo cinematografo.
Francesco Rosi viveva ormai da anni a Roma ma volle festeggiare a Napoli i suoi novant’anni con una serata speciale al Teatro San Carlo, conclusasi con la proiezione della versione restaurata de Le mani sulla città. Alla sua città natale e a un altro dei suoi monumenti culturali, Eduardo De Filippo, Rosi aveva dedicato tra il 2003 ed il 2008 tre delle sue quattro regie teatrali: Napoli milionaria, Le voci di dentro e Filumena Marturano, tutte interpretate da Luca, il figlio del grande drammaturgo.
Per questa ragione, si potrebbe chiudere con un sentito appello all’amministrazione comunale: in occasione del terzo anniversario della morte di colui che è stato tra i più grandi cineasti napoletani, perché non ospitare proprio nel capoluogo partenopeo una retrospettiva completa dedicata al cinema di Francesco Rosi?
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