Quer pasticciaccio brutto di Carlo Emilio Gadda: tra tenera viltà e grande libertà di pensiero
di Marco Antonio D’Aiutolo
Carlo Emilio Gadda (1893-1973), uno dei più grandi scrittori del Novecento non solo italiano, è la terza figura dell’excursus sulla letteratura omosessuale del nostro Novecento sulla quale mi sto soffermando con la rubrica “Esistenze Affrancate”. Francesco Gnerre, nel suo Eroe Negato, introduce l’autore sostenendo che, rispetto agli altri scrittori, su di lui “il discorso è più complesso”. Egli elenca le testimonianze di coloro che lo avevano conosciuto e frequentato per mostrare come, a quanto pare, Gadda fosse terrorizzato all’idea che gli altri potessero capire i suoi gusti sessuali. Non posso quindi non cogliere in lui molti aspetti ancora presenti in una bella fetta di omosessuali di oggi che percepiscono e vivono la propria esperienza sessuale e d’amore come un pasticciaccio brutto.
L’espressione è presa in prestito proprio da uno dei più noti romanzi di Gadda dal titolo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, a cui spero di dedicare un contributo nei numeri seguenti. Nel presente mi soffermerò invece su quella che Pietro Santi, in una poesia scritta in occasione della morte dello scrittore, ha definito “tenera viltà”. Santi riporta un aneddoto, raccontando che una volta gli aveva procurato un ragazzo. Il giorno dopo, il commento di Gadda fu che era andato tutto bene, tuttavia si era preoccupato dell’inquilino dell’appartamento inferiore, un avvocato, perché le scarpe del ragazzo avevano fatto un rumore insolito. “È uscito la sera tardi – Santi riporta le parole di Gadda in Diario con gli amici («Quaderni di Barbablù», 1980) – e si sentiva fare tom, tom per le scale, e sotto ci sta un avvocato: chissà cosa avrà pensato!”. La conclusione di Santi era che la paura di Gadda che ‘si sapesse’ arrivava anche a questi eccessi.
L’altro “colorito episodio”, narrato sempre da Pietro Santi, è riportato da Attilio Lolini. Qui Gadda appare ancora più ingenuo e sprovveduto. L’autore de La cognizione del dolore (un altro suo noto e straordinario romanzo), viene ritratto “come un maldestro ‘adescatore’ di marinai”. Gadda infatti gli aveva parlato di un marinaio che lo guardava su una panchina di Piazza d’Azeglio a Firenze. Per cui Santi decise di fargli uno scherzo. Due giorni dopo vide il marinaio e gli disse di “tirarlo fuori” davanti a Gadda. “Si tratta di un celebre scrittore” – aggiunse. – “Il marinaio deve aver fatto come gli avevo detto perché qualche giorno dopo Gadda venne da me trafelato: ‘Sai cos’è successo? Una cosa terribile’. Poi dall’altro ebbi notizie più dettagliate: il Gadda non osò abbordarlo, ritornò indietro due tre volte sbirciando, ma non osò sedersi sulla panchina accanto al marinaio”. (A. Lolini, 1989).
La timidezza e la goffaggine mostrate da Gadda in fatto di sesso diventano oggetto di una serie di aneddoti relativi ai continui scherzi dei suoi amici. Francesco Gnerre ne riporta un altro, narrato da Nico Nardini, che si svolse durante una colazione a casa di Goffredo Parise. Al centro della sala c’era una statua in legno, a doppia sagoma, di un Mister Universo in posa, realizzata da Mario Ceroli. In attesa di Gadda, i due pensarono di infilare, “nel punto competente della statua, un enorme fallo composto di giornali arrotolati, di un avvolgimento di carta igienica e di un preservativo che modellava il tutto”. Inizialmente Gadda finse di non notarlo, “ma durante il pranzo sbottò contro le manipolazioni e l’enfasi della pop-art, ma Goffredo lo rimbeccò dicendo che, se si riferiva alla scultura di Ceroli, quel fallo corrispondeva esattamente alla media misura delle nuovissime generazioni. Si accaniva a farlo credere all’Ingegnere che finì per accettare lo scherzo con quel sorriso che dilagava in tutto il viso rivelandone il fondo goloso ed erotico”. Parise continuò con allusioni scherzose alla sfera omosessuale, con racconti inventati che potevano turbarlo, con ipotetiche gite nelle borgate romane, descritte come “vero Eden dell’eros giovanile; gite che non furono mai realizzate anche se Gadda più di una volta fu tentato di prenderle in considerazione”. (N. Nardini, 1989).
Effettivamente, gli episodi narrati in questi aneddoti suscitano profonda tenerezza. Per giunta, riportati da scrittori e poeti amici, diventano, ai miei occhi, ancora più avvincenti. Ma, secondo Gnerre, essi esprimono anche l’inquietudine di un’omosessualità negata che trapela nelle opere del grande autore milanese.
Ad esempio, nei suoi scritti Gadda è di solito reticente nella descrizione della bellezza maschile, sebbene non manchino ritratti notevoli di giovanotti ben torniti. Nei suoi libri, l’omosessualità non appare mai in primo piano. In Quer pasticciaccio brutto di via Merulana, il tema di fondo è sì l’omosessualità, ma solo femminile. “E non è da escludere – osserva Gnerre – che tra i motivi di questa scelta ci sia anche la paura ossessiva dello scrittore che si potessero trovare pretesti per illazioni riguardanti la sua vita privata”. Neanche in questo caso mancano però allusioni o riferimenti disseminati “ad una sessualità in qualche modo ambigua e fuori dalla Norma: dalla violenta misoginia alla difesa del celibato alla precisione maniacale con cui elenca a volte personaggi della storia e della cultura che sono stati omosessuali”.
Tuttavia, per quanto concerne l’omosessualità Gadda esprimeva giudizi sempre improntati a grande libertà di pensiero. Giulio Cattaneo racconta che quando Gadda negli anni Cinquanta lavorava a Roma alla radio e gli giungevano richieste disparate che analizzava attentamente, metteva alcune di queste in una cartella con su scritto: “Reparto deficienti: moto perpetuo e quadratura del circolo”. Ma, in particolare, si accaniva contro affermazioni esplicitamente omofobe, malgrado la sua “pacatezza di giudizi moderati”. Una volta, infatti, (e non era raro che accadesse) si abbandonò a esclamazioni rabbiose davanti a un testo radiofonico in cui il sodalizio Verlaine-Rimbaud veniva definito “vita obbrobriosa” nelle pagine di un noto studioso di letteratura francese. Gadda osservò: “Obbrobriosa, imbecille, ma se si divertivano moltissimo”. (G. Cattaneo, 1991).
Concordo allora con Gnerre, secondo il quale l’inquietudine di quell’omosessualità negata è da ricercare forse nella “forte carica eversiva” nei riguardi del perbenismo borghese. Essa si manifesta nell’uso di un linguaggio disarmonico dove si intersecano dialetti, tradizione aulica, coprolalie, linguaggi settoriali di tecniche e mestieri: “una lingua caotica per rappresentare un mondo caotico, perché, sotto l’apparenza dell’ordine, secondo Gadda brulica un movimento di passioni e di sentimenti inconfessabili, regnano la casualità e l’ambiguità”.
Ho già avuto modo di trattare il tema dell’eversione, quando ho parlato della teoria del “mondo capovolto” a proposito del film Il vizietto. È un’operazione non solo artistico-letteraria, ma anche etico-politica: sia gruppi di artisti o letterati, sia gruppi di individui in generale o comunque comunità minoritarie, discriminate dal sistema sociale e culturale, tendono, con il proprio stile di vita, a far perdere forza all’assetto assiologico dominante (impianto di valori: causa della discriminazione) fino a contraddirlo, sbiadirlo, sovvertirlo.
Quest’attività di capovolgimento è presente in tutta l’opera gaddiana. Ciò che vale nel sistema vigente (ad esempio, una vita coniugale “imposta”) perde valore e fa acquistare validità a ciò che è disvalore (ad esempio, il celibato). È ciò che avviene in Quer pasticciaccio. Nel romanzo, ambientato in epoca fascista, viene ad esempio criticata la tassa sul celibato. Qui a trasformarsi in pasticciaccio brutto è proprio quel perbenismo borghese, tema dei suoi romanzi o racconti.
Un ultimo passaggio che può essere utile riportare per sottolineare il capovolgimento dell’assetto valoriale e l’affermazione del mondo capovolto è contenuto in un passaggio del suo racconto “Prima divisione nella notte”, incluso nella raccolta dal titolo significativo Accoppiamenti giudiziosi. In questo racconto, il personaggio di Carla mostra al narratore una serie di fotografie del suo ragazzo. Questo passaggio permette a Gadda, da un lato, di effettuare una lunga descrizione della bellezza maschile, dall’altra di aggiungere, tra parentesi, che quella bellezza era “però dalla Carla sola captabile, volendo stare alle norme”. Una spia linguistica che, secondo Gnerre, “tradisce un desiderio”. Lo studioso, infatti, riflettendo su questa espressione, è portato a domandarsi se essa non implichi un’attrattiva verso quel corpo da parte dello scrittore, un’attrattiva inquieta e combattuta, ma anche difesa e giustificata nella sua validità.