Berlinale 2018, Aleksej German Jr. racconta lo scrittore Sergej Dovlatov

La vita è breve. L’uomo è solo. Spero che questo possa bastare
perché io possa continuare ad occuparmi di letteratura
Sergej Dovlatov

Alla Berlinale oggi è stato il giorno, tra gli altri, di Aleksej German Jr., che torna nella capitale tedesca tre anni dopo il suo bellissimo Under Electric Clouds, vincitore nel 2015 dell’Orso d’argento per il miglior contributo tecncio. German Jr., uno dei più talentuosi autori del cinema contemporaneo, ha presentato in Concorso Dovlatov, suo quinto lungometraggio di finzione dopo i buoni esiti di The Last Train e Garpastum, lo splendido Paper Soldier e il già citato Under Electric Clouds. Il nuovo parto creativo del regista russo racconta sei giorni nella vita del brillante e talentuoso scrittore Sergej Dovlatov, per la precisione dal 1 al 6 novembre 1971, nei giorni precedenti le celebrazioni del 54° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Insieme al suo amico Joseph Brodsky, grande poeta poi insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987, il protagonista eponimo lotta per affermare il suo talento e preservare la sua integrità, in un momento storico in cui l’inflessibile macchina della propaganda russa emarginava scrittori e artisti non allineati, colpevoli di inseguire una letteratura ed un’arte che, anziché rifugiarsi nelle epoche passate per cantarne le gesta, vorrebbe discutere criticamente il presente. Alcuni di essi, tra cui gli stessi Dovlatov e Brodsky, furono costretti all’esilio negli Stati Uniti,  e allo scrittore di Ufa, le cui opere sono oggi lette da milioni di russi, fu riservata soltanto una gloria postuma: scomparso all’età di 49 anni a causa di un attacco di cuore, egli infatti non sopravvisse al suo successo.

German Jr. descrive il suo eroe, alternando la sua vita privata con il racconto del suo talento e della sua intelligenza. Bigger than life secondo la definizione che ne dà il regista, Dovlatov vive poveramente nella Leningrado (ora San Pietroburgo) degli anni ’70, dividendosi tra passeggiate con la figlia, infruttuose partecipazioni a feste dove spera di farsi accreditare da persone vicine al Partito per entrare a far parte dell’Unione degli Scrittori, ripetute visite agli editori nel vano tentativo di vedere pubblicate le sue opere, le quali sono invece destinate al macero, come tutte quelle degli artisti invisi al regime. Pur senza utilizzare i colori virati in seppia del suo secondo film, Garpastum, German Jr. disegna sullo schermo una città nebbiosa, plumbea, inospitale, riscaldata solo dall’ironia del suo protagonista e da alcune riunioni in cui si avverte il cameratismo che unisce questi reietti della società, condannati all’oblio e all’emarginazione quando potrebbero invece formare l’élite culturale del Paese.

Come in Paper Soldier, vincitore del Leone d’argento a Venezia nel 2008, German Jr. incide il bisturi nel corpo putrescente di una rivoluzione ormai abortita, di una società tutta ripiegata verso il passato. La società sovietica appare congelata dentro la stantia celebrazione di un grande momento storico, ridotto ormai a mero rituale, dal quale manca ormai qualunque traccia di splendore e di orgoglio in un presente soffocato dalla burocrazia, dove domina la frustrazione e pullula il mercato nero, una società che lascia che i suoi migliori talenti vivano di stenti, in una situazione di totale indigenza, tale da spingerli, come nel caso di Dovlatov, a elemosinare il denaro per comprare una bambola alla figlioletta. Il gruppo di artisti frequentati dal protagonista finisce per risultare una sorta di comune esiliata in un ghetto, relegata fuori da una Storia, a sua volta preda dell’immobilismo.

Quasi a sottolineare il tema del film (la vicenda di uno scrittore), Dovlatov è un film la cui sceneggiatura, scritta dal regista con Yulia Tupikina, abbonda di dialoghi, a differenza del più laconico Under Electric Clouds. Sebbene non privo della solita cura certosina nella costruzione delle immagini, il film è infatti scandito da numerosi e fittissimi scambi verbali tra i personaggi, interpretati da attori tutti perfettamente in parte (tra i quali spicca la prova del serbo Milan Marić nel ruolo del protagonista). al punto che in più di un’occasione spesso le loro parole si fanno portatrici del senso ultimo della storia. Animato da un profondo fervore morale, Dovlatov si presenta così come un’appassionata requisitoria a favore della libertà intellettuale e della dignità dell’artista, ed è l’ennesima conferma del talento di un regista indispensabile ed imprescindibile nel panorama cinematografico odierno.

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